SCIENZA E RICERCA

Covid-19: cosa sappiamo sui "super diffusori"? E il virus si è davvero indebolito?

Uno dei casi più noti è quello di un coro all’interno di una chiesa a Mount Vernon, negli Stati Uniti: il 10 marzo uno dei membri del gruppo, che pensava di avere un semplice raffreddore e invece era positivo al virus Sars-CoV-2, ha contagiato 53 coristi su un totale di 61 persone presenti. Ma dinamiche simili si sono verificate anche all’interno di ospedali, carceri, residenze sanitarie per anziani, navi, stazioni sciistiche, palestre, ristoranti e impianti di confezionamento di carne.

A ricostruire la tendenza di Covid-19 a dare luogo a catene di contagio che si sviluppano in cluster, a volte originati da una singola persona, è la rivista Science in un articolo che approfondisce i possibili motivi alla base degli episodi di “super diffusione” e spiega perché, oltre a R0 ed Rt, per comprendere l’evoluzione dell’epidemia sia necessario considerare anche un altro valore. Si chiama fattore di dispersione (k) e descrive quanto una malattia tenda a raggrupparsi: in particolare, se questo valore è intorno a 1, come nel caso dell’influenza, la diffusione non si concentra in cluster. Al contrario, valori più bassi di k, come è per Sars-Co-V-2, indicano che la trasmissione proviene da un piccolo numero di persone. L'articolo, realizzato dal giornalista scientifico Kai Kupferschmidt, ricorda che meccanismi di superspreading erano già stati accertati nelle epidemie di Sars e Mers e il professor Jamie Lloyd-Smith del dipartimento di Ecologia e biologia evoluzionistica dell'università della California aveva concluso, in un saggio pubblicato su Nature nel 2005 insieme ad altri coautori, che la Sars aveva un k di 0,16. Per la Mers il valore è intorno a 0,25.

Gli scienziati stanno adesso cercando di stabilire l'esatto valore del fattore k: secondo un team di ricercatori dell'università di Berna, che a gennaio hanno simulato l'epidemia in Cina per diverse combinazioni di R e k e hanno poi confrontato i risultati con quanto effettivamente accaduto, il virus Sars-CoV-2 ha un k leggermente più alto di Sars e Mers. Ma in un preprint di marzo, Adam Kucharski, divulgatore scientifico e docente alla London School of Hygiene and Tropical Medicine dove insegna modelli matematici, ha stimato che è solo 0,1

Secondo gli esperti citati nell'articolo di Science la scoperta di questa tendenza del virus a diffondersi a grappoli, attraverso focolai specifici, è una buona notizia perché suggerisce di prestare particolare attenzione ai contesti e ai luoghi in cui potrebbero avvenire episodi di super diffusione e al tempo stesso consente un allentamento delle restrizioni laddove i rischi sono minori, soprattutto all'aria aperta. Affinché si verifichi un evento di super diffusione non è infatti sufficiente la sola presenza di una persona con un'elevata carica virale, ma entrano in gioco diversi fattori: nel caso del coro, ad esempio, è probabile che l'aerosol emesso cantando in un luogo chiuso e ristretto sia di molto superiore a quello che si disperde attraverso una normale conversazione. Ricostruire la catena di contatti relativa ad un singolo evento o contesto è sicuramente più semplice. Tuttavia, ricorda l'articolo, le criticità non mancano perché possono esserci dei bias nei ricordi delle persone - ricordare di aver assistito ad un concerto è più facile rispetto all'indicare il giorno esatto in cui si è andati a fare la spesa - o problematiche relative alla privacy. 

Un valore basso del fattore k, e quindi un contagio che si muove per cluster, può aiutarci a capire perché il virus abbia potuto muoversi sotto traccia in Lombardia e ci si sia accorti della sua presenza solo attraverso la diagnosi del paziente 1 di Codogno. Un ragionamento che ovviamente non vale solo per l'Italia ma riguarda l'andamento dell'epidemia nel suo complesso. 

C'è poi un altro tema di cui si sta discutendo molto in questi giorni e riguarda l'ipotesi che il virus Sars-CoV-2 si sia indebolito. Molti medici in prima linea negli ospedali riferiscono una netta diminuzione dei casi gravi e l'84% delle persone attualmente positive è in isolamento domiciliare perché la malattia è in forma lieve. Il presidente della Società italiana di virologia, Arnaldo Caruso, in un'intervista all'Adnkronos ha riferito che nel laboratorio di microbiologia dell'Asst Spedali Civili di Brescia, da lui diretto, è stata isolata una variante "estremamente meno potente" del virus, ma ha anche precisato che siccome "non sappiamo ancora se e quanto stia circolando, non è per questo che i casi di Covid-19 sono meno numerosi e meno gravi". Di parere diverso è invece Massimo Galli, primario del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, secondo il quale non ci sono prove che il virus si sia depotenziato. Ancora più clamore hanno poi suscitato le dichiarazioni di Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano e direttore della terapia intensiva che intervenendo alla trasmissione Mezz'ora in più su Rai Tre ha sostenuto che "Covid-19 dal punto di vista clinico non esiste più" e che "I tamponi eseguiti negli ultimi 10 giorni hanno una carica virale dal punto di vista quantitativo assolutamente infinitesimale rispetto a quelli eseguiti su pazienti di un mese, due mesi fa". Parole cui hanno fatto seguito reazioni contrarie, in particolare da parte di membri del Comitato tecnico scientifico che, pur riconoscendo come dato oggettivo l'alleggerimento della pressione sugli ospedali, hanno invitato alla prudenza spiegando che la circolazione virale è un processo dinamico e che i risultati a cui siamo arrivati attualmente in Italia sono stati possibili solo grazie alle rigide e prolungate misure del lockdown. 

Sulla possibilità di una mutazione che abbia reso meno aggressivo il virus Sars-CoV-2  è prudente anche l'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, che sottolinea come adesso ci sia una migliore gestione dei pazienti rispetto alle prime fasi dell'emergenza e ricorda anche che attualmente molti dei nuovi casi positivi sono asintomatici perché è cambiato il profilo delle persone testate. Con la professoressa Viola abbiamo parlato anche della tendenza di Covid-19 a raggrupparsi in cluster e le abbiamo chiesto di illustrare cosa indica il fattore k. 

L'intervista all'immunologa Antonella Viola sugli episodi di super diffusione del virus Sars-CoV-2 e sull'attuale andamento dei contagi con casi meno gravi e tamponi che rivelano una minore carica virale. Intervista e montaggio di Barbara Paknazar

"Il fattore k - spiega l'immunologa Antonella Viola - è un numero che ci dice quanto sia omogenea la diffusione di un’infezione. Più il numero è vicino a 1, più significa che questa diffusione è appunto omogenea e possiamo immaginarla come un tessuto che ha dei pois molto piccoli, molto fini e vuol dire che ogni soggetto positivo può infettare una persona o più persone, sulla base del valore R0 che caratterizza in modo diverso ogni infezione. Al contrario quando il numero k scende di parecchio sotto all’1 - e nell’articolo di Science viene proposto un valore pari a 0,1, quindi molto basso - invece di immaginare una fitta rete di pois nel nostro tessuto omogeneo dobbiamo prendere come riferimento un lenzuolo bianco con delle grandi macchie a spot: vuol dire che ci sono dei super diffusori, cioè delle persone che hanno una carica virale e una capacità infettante molto alta, che sono responsabili della maggior parte dei contagi. Quindi dall’altra parte ci dobbiamo anche aspettare che ci sono delle persone positive che invece non sono un grado di infettare".

Nel corso di questa pandemia sono stati registrati diversi eventi di super diffusione. "Per esempio - prosegue la professoressa Viola - il caso del famoso coro in cui una persona che cantava ha infettato più di 50 suoi colleghi e allora si è discusso sui fattori che favoriscono questa capacità infettante particolarmente alta in determinate condizioni. Da un lato la presenza di una persona con carica virale molto alta ma, nel caso specifico del coro, anche il fatto che cantando, in un ambiente chiuso, si è creato molto aerosol, sono stati prodotti molti droplets e si è sviluppato un contesto favorevole all’infezione. Così come è stato riportato il caso di una lezione di zumba: una situazione in cui un soggetto con un’elevata carica virale durante l’attività fisica ha prodotto molti droplets e aerosol in un luogo chiuso e ha dato il via ai contagi. Questa di per sè non è una grandissima novità perché sappiamo che ci sono dei virus, ad esempio l’influenza, che hanno un andamento più omogeneo con un fattore k più vicino a 1, mentre ci sono altre infezioni come anche l’HIV, per esempio, che invece hanno un fattore k basso con un ruolo importante di questi super diffusori.

L'osservazione di questa tendenza del virus Sars-CoV-2 a dare origine a cluster, approfondisce l'immunologa Antonella Viola  "è molto interessante dal punto di vista dell’organizzazione dei tamponi" e può avere un peso "anche sulle decisioni di sanità pubblica perché cambia un po’ le cose: dobbiamo capire quali sono i posti in cui si possono verificare questi episodi di super diffusione e focalizzarci soprattutto su questi. Il lockdown da questo punto di vista è stato estremamente efficace perché ha evitato proprio che si potesse creare un evento di super diffusione in quanto evitando luoghi chiusi e assembramenti questo è stato impedito. Adesso che la situazione è cambiata e ci saranno contesti come ristoranti, bar, cori, allenamenti delle squadre sportive, lezioni in palestra in cui si starà di nuovo insieme senza mascherina è possibile che se c’è un super diffusore possa partire il contagio. E’ per questo che il tracciamento dei contatti è così importante ed è decisivo per contenere la diffusione del virus".

Sulla possibilità che anche persone completamente asintomatiche possano essere dei super diffusori l'immunologa Antonella Viola puntualizza che "la certezza non c'è, ma sul fatto che gli asintomatici abbiano un ruolo importante nella diffusione di questa infezione non vi è alcun dubbio. Su quale sia la loro carica virale aspettiamo ancora di avere dei dati certi".

Quanto all'ipotesi che il virus Sars-CoV-2 possa essere diventato meno aggressivo, la professoressa Antonella Viola chiarisce che "le sequenze che sono depositate, e sono tante, non mostrano nessuna mutazione che possa essere associata a una minore aggressività da parte del virus. Non c’è nessun dato scientifico per quanto riguarda il virus che sia a sostegno di questa ipotesi. E’ vero - prosegue - che tanti clinici stanno osservando che la malattia si presenta in forme meno gravi ma questo si può spiegare in molti modi: è possibile che il lockdown, avendo funzionato molto bene, ha svuotato gli ospedali e ha reso posibile una gestione migliore dei casi, i pazienti arrivano in ospedale solo quando sono in condizioni critiche perché si è imparato a gestire il paziente a casa, l’approccio terapeutico è più chiaro e definito perché abbiamo capito meglio la patologia. Inoltre molte delle persone sensibili e fragili sono purtroppo morte e sono quindi già state colpite. Quindi - continua la docente dell'università di Padova - c’è tutta una serie di ragioni che possono da sole spiegare quello che stiamo osservando. Questo non esclude che se un giorno venisse fuori una pubblicazione scientifica che dimostra chiaramente che esiste una mutazione e che il virus ha acquisito questa mutazione e si è diffuso nella popolazione ne prenderemo atto.

Per quanto riguarda poi la minore carica virale che tende a essere riscontrata nei tamponi effettuati recentemente l'immunologa chiarisce che "la carica virale dipende dalla popolazione sensibile. Se una persona è sana nella maggioranza dei casi il virus entra ma la sua replicazione viene bloccata. Ricordiamoci che anche se sul sito dell’Oms oggi si parla di una mortalità tra il 5% e il 6%, probabilmente è sovrastimata perché non abbiamo il numero reale di tutti gli asintomatici. Se la mortalità alla fine, come si pensa, sarà tra l’1% e il 2% significa che il 98%-99% delle persone guarisce e la stragrande maggioranza di queste senza attraversare una sintomatologia grave. Quindi vuol dire che quando il virus entra nel nostro corpo il sistema immunitario riesce a impedirne la replicazione e di conseguenza la carica virale sarà più bassa. Inoltre non dobbiamo dimenticare che una volta la carica virale si andava a studiare sulle persone che erano in ospedale e avevano un quadro clinico grave, adesso stiamo effettuando i tamponi anche a persone sane che stanno bene. Il profilo della persona che viene sottoposta a tampone è estremamente cambiato".

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012