SOCIETÀ

Dalle urne esce una Polonia filo-UE

Il risultato è clamoroso. E lo spoglio effettivo dei voti per le elezioni parlamentari polacche ha spazzato via tutti i condizionali e le prudenze legate alla lettura degli exit-poll, che pure avevano anticipato di un giorno, con notevole efficacia, quel che oggi appare certo: la vittoria-sconfitta del PiS (Diritto e Giustizia, in polacco Prawo i Sprawiedliwość), il monolite sovranista, populista, di destra reazionaria, che ha governato la Polonia dal 2015 a oggi minando alla radice l’indipendenza della magistratura e della stampa, calpestando metodicamente i diritti delle donne e delle minoranze, fomentando l’ossessione per i migranti, ignorando a più riprese gli “avvertimenti” dell’Unione Europea, peraltro con un’immagine profondamente minata dal recente scandalo delle tangenti in cambio dei visti. Il partito del premier uscente Mateusz Morawiecki e dell’ex primo ministro polacco, Jarosław Kaczyński, attuale presidente del PiS, è risultato ancora una volta il più votato (35,4%, ma nel 2019 aveva ottenuto oltre il 45%), ma non ha alcuna possibilità di riuscire a formare una maggioranza in grado di governare per un altro mandato. Perché è rimasta un miraggio la soglia del 40% che avrebbe garantito il premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale. E perché il PiS ha dato prova di una tale arroganza politica in questi anni che l’unica forza con la quale un’alleanza sarebbe stata possibile era la Confederazione di estrema destra (Konfederacja), formazione ultranazionalista, che si è fermata al 7%. La somma dei voti non fa 50. E, soprattutto, nella sua traduzione in seggi parlamentari, inchioda i populisti di estrema destra sotto la soglia dei 200 seggi, contro i 231 necessari per ottenere la maggioranza al Sejm, la Camera bassa polacca. Morawiecki aveva anche tentato un approccio in extremis con il Partito Popolare Polacco (PLS), agrario e conservatore, ma ha trovato le porte chiuse.

È il trionfo dell’opposizione, guidata dall’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che già domenica sera, appena chiusi i seggi e diffuse le prime proiezioni degli exit-poll, non ha esitato a esultare braccia al cielo: «La Polonia ha vinto, la democrazia ha vinto. Questa è la fine dei brutti tempi, questa è la fine del governo dei sovranisti». La sua Coalizione Civica (“Ko” dall’acronimo polacco, centrista ed europeista) ha ottenuto il 30,6% dei voti. Che sommati al 14,4% ottenuto dai suoi alleati di un’altra coalizione anti-sovranista, di centrodestra, la “Terza via” di Wladyslaw Kosiniak-Kamysz («Saremo l’àncora della democrazia») e al Partito della Sinistra (8,6%) formano una solida base di maggioranza al Sejm. Un voto che aprirà una nuova pagina sociale e politica per la Polonia, delineando nuovi equilibri anche all’interno dell’Unione Europea. E Bruxelles, per anni ossessionata dalle intemperanze di Varsavia (spesso in tandem con Budapest), può a ragione tirare un sospiro di sollievo

Il “fattore Duda” può diventare decisivo

Ora spetterà al presidente polacco, Andrezj Duda, ex deputato di Diritto e Giustizia, decidere come muoversi. Se affidare comunque l’incarico di formare il governo al leader del partito più votato, com’è consuetudine e com’è assai probabile, oppure se passare direttamente all’incarico per Tusk. Renata Mieńkowska-Norkiene, politologa dell'Università di Varsavia, si lancia in una previsione: «A mio parere, il presidente Duda nominerà Jarosław Kaczyński, almeno all’inizio, ma per ragioni abbastanza prosaiche: lì, in quei ministeri, c’è bisogno di fare pulizia, di ripulire i pasticci commessi». Come se ci fosse molto da scoprire, e molto da nascondere per chi ha governato negli ultimi otto anni. Lo stesso Kaczyński, presidente di Diritto e Giustizia, aveva già capito che tirava una brutta aria: «Abbiamo davanti a noi giorni di lotta e di tensioni», aveva dichiarato ieri di fronte ai suoi sostenitori. «Ma comunque, sia se saremo al potere sia se saremo all’opposizione, continueremo a realizzare il nostro progetto. La Polonia non sarà tradita». Un’ammissione di sconfitta. Peraltro il PiS non è riuscito nemmeno a superare il referendumpreteso dal governo, e boicottato dall’opposizione, in abbinata con le elezioni (su quesiti del tipo: siete favorevoli all’ammissione di migliaia di immigrati clandestini provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa, in conformità con il meccanismo di ricollocazione forzata imposto dalla burocrazia europea? Oppure: siete favorevoli all’eliminazione della barriera al confine tra la Repubblica di Polonia e la Repubblica di Bielorussia?). I voti si sono fermati al 41%, senza raggiungere il quorum del 50%: un’altra débâcle.

Lo spoglio effettivo si è praticamente concluso oggi all’alba, per un voto che ha registrato un’affluenza alle urne del 74,3%, la più alta nei 34 anni di democrazia in Polonia, dalla caduta del comunismo nel 1989. Evidentemente il voto è stato sentito dagli elettori polacchi come un appuntamento troppo importante per essere trascurato. E Donald Tusk l’aveva detto esplicitamente: «Questa è la vostra ultima possibilità per salvare la democrazia». Detto, fatto: e i populisti del PiS sono stati accompagnati alla porta, fuori dal governo di Varsavia, fuori dal “patto di ferro” con l’altra pecora nera d’Europa, l’Ungheria illiberale di Viktor Orbàn. Antoni Dudek, politologo e storico dell’Università statale Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia (UKSW) la considera «…una gigantesca sconfitta del partito Diritto e Giustizia». Mentre il professor Olgierd Annusewicz, dell’Università di Varsavia, spinge oltre la sua analisi e predica prudenza: «I risultati mostrano che ci sarà un cambio di governo, ma questo cambiamento non permetterà all’opposizione di fare tutto ciò che vuole. L’attuale opposizione dovrà mettersi d'accordo con il presidente: questo rende il presidente Andrzej Duda la figura al momento più forte e influente del sistema politico polacco». Scrive il portale polacco Dziennik: «Jarosław Kaczyński ha costruito un partito di pensionati e agricoltori. Le elezioni di quest’anno hanno dimostrato che Diritto e Giustizia sta cominciando ad affrontare un problema demografico: si è trasformato in un partito dei pensionati. Non aveva nulla da offrire ai giovani. Tra gli alunni e gli studenti, il PiS ha i risultati peggiori di tutti i partiti che saranno rappresentati al Sejm».

Subito una revisione della legge sull’aborto

La nuova coalizione di governo potrebbe insediarsi non prima della fine dell’anno: se l’incarico di formare un governo sarà affidato, come prima scelta, a un esponente del PiS passeranno lunghi giorni di stallo, con l’attuale governo chiamato a sbrigare gli affari correnti. E con la nuova Camera bassa che dev’essere riunita entro il 14 novembre. Saranno giorni di trattative, ma se le forze politiche manterranno la parola data (è già partito il pressing del PiS per convincere i deputati di Terza via) l’esito non potrà che essere, a tempo debito, la formazione di un governo guidato da Donald Tusk. Che naturalmente non avrà vita semplice: la coalizione dovrà trovare al suo interno alcuni delicati punti d’equilibrio, tra la politica dei conservatori moderati, di centrodestra, e le forze più apertamente di sinistra: non sarà semplice. Uno dei temi più controversi in Polonia è la legge sull’aborto, che i sovranisti avevano reso quasi impossibile, consentendo eccezioni soltanto in caso di stupro o incesto e non, per dire, in presenza di gravi e irreversibili anomalie fetali. Sia Coalizione Civica sia la Sinistra hanno già annunciato che interverranno sul tema (avevano condotto insieme una campagna per consentire alle donne di scegliere di interrompere la gravidanza fino a 12 settimane dal concepimento). Pochi mesi fa Tusk aveva sostenuto: «L’aborto è una decisione della donna, non di un prete, di un pubblico ministero, di un poliziotto o di un attivista di partito». La coalizione Terza Via, di centrodestra, si è detta più propensa a sottoporre la questione a referendum, anche per non scontentare troppo la Chiesa cattolica, che in questi ultimi anni ha camminato a braccetto con i dirigenti del PiS.

Di certo il futuro governo, sempre al netto di poco probabili colpi di scena, farà tornare il sereno nei rapporti tra Varsavia e Kiev (l’invio di nuove armi in Ucraina era stato bloccato lo scorso mese per via di una disputa sulle esportazioni proprio del grano ucraino). Mentre è certo che riporterà la Polonia nell’alveo dell’Unione Europea, visti anche i trascorsi professionali del suo leader. Che ha già “promesso” che proverà in ogni modo a sbloccare circa 110 miliardi di euro di fondi UE destinati alla Polonia che sono stati congelati negli anni proprio a causa delle politiche imposte dal PiS, e dalle sue ripetute violazioni dello stato di diritto. «La Polonia è tornata», ha esultato ieri sera Manfred Weber, capo del Partito Popolare Europeo. Come è certo che Donald Tusk tenterà di porre rimedio ad alcuni dei più clamorosi guasti prodotti dai populisti in questi ultimi 8 anni nell’impianto democratico polacco, a partire dal ripristino dell’autonomia della magistratura, magari restituendo anche porzioni di libertà alla stampa, in larga parte trasformata in portavoce di un solo partito, il PiS, appunto. Ha ragione il professor Annusewicz: sarà determinante il ruolo del presidente Duda, che ha potere di veto sulla legislazione proposta dal governo (soltanto una maggioranza parlamentare di tre quinti potrebbe ribaltare un veto presidenziale, e i numeri in questo caso non sorridono a Donald Tusk) e che resterà in carica fino al 2025. Come sarà determinante il ruolo della Corte Suprema, il Tribunale costituzionale che è attualmente presidiato da giudici imposti, letteralmente, dal partito Diritto e Giustizia, e che potrebbe bloccare i tentativi di riforma. «Non sarà semplice ripristinare lo stato di diritto, ma questo è il primo passo»,  sostiene sul Guardian Jakub Jaraczewski, coordinatore della ricerca presso Democracy Reporting International, organizzazione no-profit di analisi politica con sede a Berlino.

Resta la bocciatura dei nazionalisti-sovranisti del PiS (alleati in Europa di Fratelli d’Italia), che rappresenta quasi un’eccezione, un’anomalia, perché rompe fragorosamente l’onda lunga dell’avanzata delle destre in Europa, dopo le affermazioni in Slovacchia, in Grecia, in Svezia e in Finlandia. Una battuta d’arresto, che fa il paio con il flop di Vox alle recenti elezioni spagnole, e che avrà di certo ripercussioni nel voto della prossima primavera per il rinnovo del Parlamento europeo. «La Polonia sembra essere tornata sulla strada filo-occidentale che aveva scelto 34 anni fa, dopo la guerra fredda», scrive Wojciech Orliński, giornalista e scrittore, ancora sul Guardian. «Il messaggio della società polacca è chiaro: non vogliamo politici che combattono contro l’Unione europea e che sostengono legami più stretti con la Russia. Vogliamo andare a ovest, non a est».

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