SOCIETÀ

Le disuguaglianze del clima

Inondazioni, uragani, prolungati periodi di siccità: che cos’hanno in comune? Oltre a essere tutti fenomeni meteorologici estremi, sono legati a doppio filo con l’emergenza dimenticata del cambiamento climatico. Non si tratta solo di una verifica empirica: i dati a disposizione degli scienziati dimostrano che già ai giorni nostri (ne è un esempio squisitamente nostrano quanto accaduto a Milano e a Palermo nel mese di luglio 2020) le modifiche al clima comportano l’insorgere – con sempre maggiore frequenza – di fenomeni meteo estremi e distruttivi. 

È il caso, più lontano e nemmeno rilanciato dai media nazionali, delle ultime, gigantesche, inondazioni in Bangladesh, che stanno mettendo in ginocchio il Paese, confinante con l’India, da oltre 165 milioni di abitanti. 

Un quarto del territorio è sommerso, milioni di persone hanno perso tutto. Prima delle inondazioni di questi giorni, sempre il Bangladesh era stato colpito, solamente due mesi fa, da un ciclone. Due eventi estremi, a distanza ravvicinata. È il caso? No. È colpa del cambiamento climatico? Non ne possiamo avere l’estrema certezza, ma con molta probabilità sì. E non potrà che essere peggio. Lo dicono gli esperti: se il clima continuerà a modificarsi, gli eventi di questo tipo non potranno che aumentare nel medio-lungo periodo, spezzando la già debole economia di un Paese il cui sostentamento principale si basa sull’allevamento di galline e capre. 

Appunto, la debole economia del Bangladesh. Come quella di tanti altri Paesi alle prese con le problematiche di cui alla prima riga di questo articolo. 

Già, perché il cambiamento climatico non deve spaventare solo perché – se non contrastato – porterà il pianeta Terra a non essere più ospitale per l’essere umano (come se fosse poco), ma deve spaventare per il suo essere estremamente iniquo

E si tratta, forse, dell’aspetto più iniquo in assoluto: coloro che sono meno responsabili dell’inquinamento del pianeta, ne pagano le conseguenze più pesanti

E il fronte, la prima linea di una guerra visibile solo nel risultato finale, è esteso. Le isole della Repubblica di Vanuatu (un arcipelago che si estende per 1.300 km nel Sud del Pacifico) stanno lentamente affondando. Le popolazioni dedite alla pastorizia nel Corno d’Africa si trovano al limite della sopravvivenza a causa di un prolungato periodo di estrema siccità: la mancanza di acqua sta uccidendo gli animali al centro del sostentamento degli abitanti, e secondo le Nazioni Unite, il rischio di una carestia è dietro l’angolo. Colpirebbe almeno 12 milioni di persone. Poi ci sarebbero Mumbai, i Paesi del Sudamerica, il resto dell’Africa… Un elenco fin troppo lungo per poter essere esaustivi in questa sede.

Secondo un recente studio, pubblicato sulla rivista Nature Communication, il 10% delle economie più ricche e sviluppate del pianeta sarebbe responsabile fino al 40% dei danni ambientali globali (compreso il cambiamento climatico), mentre il 10% della popolazione più povera peserebbe solo per meno del 5%. Un altro studio dell’Onu dimostra come il gap relativo al reddito tra Paesi ricchi e poveri sia raddoppiato dal 1990 ad oggi a cui aggiungere un’ulteriore riduzione del reddito, compresa tra il 17 e il 30%, proprio a causa del cambiamento climatico.

E il divario, stanti gli ultimi rapporti sull’andamento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, non potrà fare altro che aumentare. D’altra parte, la politica non appare molto incline a muoversi: i Paesi più poveri del mondo e più colpiti da calamità estreme a più riprese hanno chiesto al ricco mondo occidentale aiuti economici per far fronte alle emergenze. A parole, i soldi si sarebbero anche trovati: 100 miliardi di dollari sul piatto. Ma l’ultima, disastrosa, riunione delle parti sul clima (la COP25 di Madrid), tra le altre cose, non è riuscita nemmeno a ratificare un accordo sulla distribuzione del fondo e sui meccanismi per farlo. Tutto rimandato alla COP26 di Glasgow. 

Infine, l’emergenza pandemica sicuramente non sta aiutando a mantenere alta l’attenzione, con un’aggravante: Paesi già pesantemente colpiti da episodi climatici catastrofici (come l’India) stanno pagando anche un prezzo alto in termini di salute proprio a causa di Covid-19. 

Disuguaglianze su disuguaglianze: pandemia da una parte, disparità di trattamento, crisi climatiche. Sono gli ingredienti di un mix molto pericoloso e che non deve preoccupare solo i paesi cosiddetti poveri: il ricco occidente paga le sue fragilità sia in termini ambientali (non è esente da fenomeni meteorologici estremi) sia in termini sociali. Le iniquità generano migrazioni (anche quelle climatiche, le più recenti) e sappiamo, lo vediamo ogni giorno, come gli equilibri geopolitici e di redistribuzione delle ricchezze fatichino a trovare nuove forme di cooperazione, aggravando, di fatto, una situazione già di per sé grave.

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