CULTURA

Georges Simenon: Maigret e oltre, fra l’Atlantico e il nostro Mediterraneo

Il famosissimo tradottissimo prolifico scrittore di lingua francese Georges Simenon (Liegi, 13 febbraio 1903 - Losanna, 4 settembre 1989) era di origine bretone, belga di nascita, francese d’adozione; ebbe varie mogli, quattro figli (certi), diecimila donne (così si tramanda secondo i propri stessi vaghi ricordi, di cui oltre ottomila occasionali prostitute), duecento pipe; col proprio nome e decine di pseudonimi scrisse duecento romanzi (“seriali” per ambiente e dinamica), molti gialli e noir, la serie Maigret (altri 75 romanzi e almeno 26 racconti), migliaia di narrazioni, interviste, reportage, inchieste, prefazioni, memorie. Innumerevoli le riduzioni delle sue opere e, in particolare, del suo “non alter ego” commissario, sia televisive (4 serie di successo con l’inarrivabile Gino Cervi in Italia) che cinematografiche (se ne sono contate almeno 17 con Maigret e 51 senza), meritato clamore internazionale. Il mercato italiano di Simenon è il più forte del mondo. Iniziò da giornalista, dal 1919 e per oltre tre anni alla Gazette de Liège (con lo pseudonimo di Georges Sim). Contemporaneamente collaborava con altre riviste, pubblicando il suo primo romanzo a soli 18 anni. Non lavorava né scriveva senza corrispettivo (“non c’è ragione di dare qualcosa per niente”), però scriveva tantissimo tutti i giorni, un bisogno vitale (come il sesso), notoriamente.

Il grande Simenon era innamorato degli ecosistemi di acque, fluviali marine oceaniche. Nacque, crebbe e maturò sui canali navigabili e sui bacini idrografici che si riversano nel Mar del Nord sull’Atlantico; divenuto ricco e famoso ha molto navigato per terra e per mare, all’inizio soprattutto dal sud della Francia nel Mediterraneo, sicché intraprese nel 1934 un lento viaggio - crociera per un originale reportage giornalistico - fotografico, affittando una barca a vela con adeguato equipaggio dall’isola di Porquerolles in Provenza (12 chilometri quadrati, per superficie la seconda isola mediterranea della Francia dopo la Corsica, la più grande e la più occidentale del piccolo arcipelago delle Isole di Hyères), con un ipotetico itinerario disegnato sulla mappa, rivelatosi poi molto diverso da quello realizzato effettivamente: Genova, l’Elba e l’arcipelago toscano, Napoli, Messina, Siracusa, Malta, Tunisi, Biserta, Cagliari. E ritorno in patria: Georges Simenon, Il Mediterraneo in barca, traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio, nota finale di Matteo Cogignola (soprattutto sull’esperta relazione con macchine e immagini fotografiche), Adelphi 2019 (orig. in francese 1934, Mare nostrum ou La Méditerranée en goélette), pag. 189 euro 16.

A vela (se ventosa), da maggio ad agosto1934, di qui lo spunto per dieci articoli di mare e gente di mare, apparsi subito (e per la prima volta) sul settimanale Marianne. Simenon aveva pubblicato in meno di tre anni già 19 Maigret quando partì. Era stato più volte in barca in gran parte del Mediterraneo e nelle isole greche (perlopiù piroscafi a motore, anche nel lusso); usava pure professionalmente la macchina fotografica, artigiano dell’uso pubblicitario delle immagini (per le proprie copertine, a esempio). Qui narra episodi, storie, aneddoti, esperienze legate alla navigazione e ai porti, ai venti e alle correnti, ai paesi visitati e all’antropologia umana incontrata, laddove tutto si ammanta di poesia (come scrive con ironia di noi latini), anche in tempi di crisi; mentre lui si definisce come concreto uomo del Nord, “una formica laboriosa e irrequieta”, per mestiere un “raccontatore di storie” che non scrive mai per quelli che già sanno.

Simenon aveva stabilito di affittare per sei mesi una goletta con relativi cinque rudi pittoreschi marinai (con cui si intendeva perlopiù a gesti), un veliero italiano che fino a quel momento aveva trasportato solo marmo di Carrara (“L’Italia è rimasta fedele alla navigazione a vela”). Partì dal sud della Francia, toccò coste e porti, tornò meno di quattro mesi dopo l’inizio. Lesse molto nel tanto tempo “morto”, Bibbia e classici greci e latini, sull’amaca o comunque all’aperto se possibile. Raccontò con acume e divertimento l’unicum del Mediterraneo occidentale di allora, ecosistemi e popoli abbastanza simili, secondo la sua motivata opinione, che utilizza frequentemente anche i riferimenti alla razza e alle razze (in passato “in pieno fermento”).

Simenon indica di continuo una linea di demarcazione economica e culturale fra i paesi del Nord Europa e i paesi dell’intero bacino mediterraneo, di cultura latina, una contrapposizione che alla fine diventa tra gli Stati Uniti d’America e i paesi del Mediterraneo, “agli antipodi”: nei secondi non ci si lamenterebbe della crisi di quegli anni, strutturalmente senza speranza e senza disperazione; ci sarebbero solo cose più piccole, minuscoli pescherecci e insignificanti miniere; sarebbero assenti borsa, oscillazioni di mercato, salari e, quindi, proletariato; vi vivrebbero ancora nei villaggi sulla costa tanti consanguinei (variamente), appartenenti alla stessa famiglia e alle stesse abitudini conviviali, accanto ad altri vagabondi o nomadi del mare, tutti capaci di portar con sé, emigrando, odori, spezie, chitarre, un profumo, una mollezza, un ritmo, e “cugini”; niente di essenziale sarebbe davvero in vendita (mentre là “tutto è in vendita”).

Sulla carta nautica Simenon aveva tracciato una linea spezzata per il “magnifico” tragitto auspicato, da Marsiglia a Messina fino al Pireo, da Smirne a Beirut fino a Porto Said, da Malta alla Sardegna fino a Tunisi, Tangeri, Barcellona, ma le parti centrale e più terminale non riuscì a farle, in sostanza l’itinerario si limitò al Mediterraneo occidentale sotto le coste francesi, molto in acque italiane, fino alle coste africane, pur se i luoghi non rivisitati (insieme ad altri porti) questa volta vengono comunque citati con confronti e memorie di precedenti sbarchi. Il primo articolo da Porquerolles è datato 23 maggio (uscì subito dopo) e inizia con un ripetuto e sospeso tentativo di definizione (“Il Mediterraneo è…”) che si completa solo molte pagine (e articoli) dopo: “piccolissimo”, il miscuglio di pesci stravaganti e tipicità antropologiche, luogo geografico unificato anticamente (e in parte ancora) dalla cultura latina, ma soprattutto l’ecosistema marino dove spuntano di continuo “golfi e isole. Questo è il Mediterraneo. Asini e pecore, peperoni e olive”.

Nel secondo articolo (dopo una sosta in Liguria, lunga per mancanza di vento) si trova all’Elba, decide di non visitare la casa di Napoleone a Portoferraio, sottolineando che vi sono soltanto quattro buoni (indispensabili) motivi per scendere a terra dall’imbarcazione dove si risiede: portare la documentazione in capitaneria; farsi registrare in dogana “con documenti e soldi a portata di mano” (compreso spesso per le bustarelle); fare un salto al fermo posta nel caso di eventuali lettere ricevute; andare al bordello “per ritrovare le vostre abitudini, un ambiente familiare, qualche ragazza che parli la vostra lingua”. Ogni motivo rientra in successive descrizioni, più frequentemente il quarto con tutti i vari quartieri delle prostitute durante ogni sosta, una trattazione quasi esclusiva dal sesto all’ottavo articolo, che affrontano l’astinenza nella “nebbiosa” Malta, dovuta agli invadenti armati colonizzatori inglesi, le due zone separate di Tunisi (bianche e arabe, la seconda vietata), la “mecca della pederastia” descritta con distanza e condiscendenza in quel di Hammamet, fra altri bordelli prima e dopo, a lui più consoni.

Le isolette carcere italiane fanno spesso carattere della narrazione. Nel quarto articolo racconta la storia della donna senza cuore, inizia con un vaporetto nel mare azzurro che arriva su un’isola verdeggiante con un unico monte verso il cielo e in cima una fortezza, insomma “una delle tante isole del Sud Italia dove vengono portati i detenuti”. Al vecchio marinaio la storia l’ha raccontata un altro marinaio, ufficiale giovane bello istruito, lì incarcerato proprio per aver ucciso la moglie che lo aveva tradito quando era in mare. Cita sempre sommariamente le singole località incontrate (talora solo osservate dalla barca), non vi sono descrizioni “turistiche”, così come rari sono i riferimenti all’attualità di quelle settimane (giusto un cenno a Hitler, negativo, e a Mussolini, non negativo, o ai “gangster” siciliani, la mafia): scrive da lontano per lettori lontani.

Niente misteri o gialli o noirceur nel reportage, uno stile fresco e asciutto, lo sguardo attento a descrivere quel che vede e a raccontare quel che sente o ricorda (pure altre storie di altri viaggi), una frequente comparazione di usi e costumi per chiarirsi con i lontani lettori, parigini e francesi. Dieta a base di riso e spaghetti al pomodoro. Vino bianco ovunque, accanto ad alcolici locali-nazionali. Musica lirica e napoletana. Negli articoli ogni tanto appaiono a bordo altri passeggeri, la moglie (che punta la macchina fotografica sulla piccola folla del molo di Tunisi) e una cuoca (che trita aglio e cipolla o gestisce un coniglio marcio, forse), la narrazione andrebbe comparata con la biografia di Simenon, ciò che scrive è ovviamente una sua godibile ricostruzione della realtà, bisogna tenerne conto anche per i reportage, non solo per i romanzi.

Siamo vivi in tanti modi diversi, con le nostre abilità e disabilità, capacità e incapacità, vizi e virtù, pensieri e desideri, giudizi e pregiudizi. E abbiamo una componente “virtuale”, così come alcune “virtualità” sono una componente della realtà, alcuni personaggi letterari o cinematografici diventano “reali”, personalità incidenti nelle esistenze di altri. Jules Maigret è fra quelli significativamente presenti fra tantissimi di noi sapiens, nato presumibilmente nel 1887, a Saint-Fiacre un piccolo villaggio immaginario nell'Allier (regione Alvernia-Rodano-Alpi); padre Evariste, amministratore di un castello con almeno di ventisei fattorie, di una delle quali era fattore il nonno paterno; madre casalinga, Hernance, figlia del droghiere del paese, presto morta quando era in attesa del secondo figlio. Dopo un approccio a studi di medicina, Jules si trasferisce a Parigi per cercare lavoro, facendosi assumere a 22 anni come agente ciclista e iniziando la carriera che lo porterà a diventare il commissario più famoso e amato di Francia: centinaia di avventure fra gli anni Trenta e Sessanta, con lui fra i quaranta e i sessanta anni, senza troppa precisione di epoca contestuale e di età personale. Superfluo descriverlo nei tratti e nei modi (non proprio tutti ben coincidenti con Georges Simenon): non vi pare di averlo incontrato anche ieri per le strade dell’Île de la Cité o dei venti Arroindissement parigini?

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