Il 2017 è stato uno degli anni più devastanti per gli incendi boschivi in Europa con quasi 800.000 ettari di foreste bruciate e nel 2018, stando alla cronaca delle ultime settimane, la situazione apparentemente non sembra migliorare. In realtà, secondo i dati forniti dall’European Forest Fire Information System, quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2017 è segnato da un minor numero di eventi e da una minore estensione della superficie forestale percorsa dagli incendi. A sottolinearlo è Lorenzo Ciccarese, responsabile dell'area per la conservazione delle specie e degli habitat e per la gestione sostenibile delle aree agricole e forestali dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), a cui Il Bo Live ha chiesto una riflessione a fronte degli accadimenti recenti.
“Sta cambiando la fisionomia degli incendi forestali in Europa e nel mondo – osserva Ciccarese – e stanno mutando le condizioni climatiche su scala globale”. Un cambiamento nel regime pluviometrico, ad esempio, rende le foreste più suscettibili e vulnerabili agli incendi. Quelli che si sono verificati nel 2017 sono in gran parte dovuti agli stress idrici che si sono verificati per effetto dei cambiamenti climatici nel corso della stagione di crescita, cui va aggiunto un inverno caratterizzato da un regime pluviometrico ridotto rispetto al passato.
Molti studi dimostrano che la stagione degli incendi si è allungata di 35-40 giorni, addirittura di 80 in California, ciò significa che iniziano prima e finiscono dopo. Cambiando le condizioni meteoclimatiche, cambiano anche le intensità degli attacchi degli insetti, che rendono le piante più vulnerabili, e la presenza di rami secchi e piante morte a sua volta fa aumentare il materiale comburente e dunque il rischio degli incendi.
“Per gli scenari futuri – continua Ciccarese – la situazione è ancora più preoccupante, se pensiamo che da qui al 2100 in assenza di misure di mitigazione dell’effetto serra si potrebbe avere una riduzione anche del 30% della quantità di pioggia che cade nelle regioni meridionali e centrali del Paese. Le aree umide diventeranno più umide, le aree secche sempre più secche”. In Italia questo riguarda in particolare il Piemonte e in generale il nord-ovest del nostro Paese che diventerà ancora più umido e tenderà ad avere un regime più piovoso del passato; la Sicilia, la Basilicata e la Toscana invece avranno condizioni sempre più secche e questo produrrà un maggiore rischio di incendi forestali.
Davanti a questa situazione Ciccarese indica soluzioni di lungo e breve periodo. “È necessario ridare vitalità alle aree montane e collinari, alle aree remote del nostro Paese – argomenta – dove si concentra gran parte delle risorse forestali, che sono poi quelle che bruciano più frequentemente di altre. Molti incendi sono volontari e provocati dall’uomo, ma è evidente che l’abbandono della gestione forestale, il depopolamento delle aree rurali, in particolare montane del nostro Paese, contribuiscono ad alimentare l’intensità e la violenza di ogni incendio boschivo. Per questo è necessario pensare innanzitutto a delle politiche, a delle misure di intervento per queste aree del Paese che sono sempre più abbandonate e in cui la selvicoltura e l’agricoltura sono relegate a un ruolo sempre più marginale. Ci sono motivi diversi, dalla conservazione della biodiversità alla riduzione degli incendi alla rivitalizzazione dell’economia di queste aree, che spingono verso una gestione più attiva delle foreste”.
Se queste sono misure da adottare sul lungo periodo, secondo Ciccarese sul breve periodo è necessario concentrarsi soprattutto sulla prevenzione, sull’educazione dei cittadini, sul pronto intervento. Sarebbe utile ad esempio intensificare le attività di volontariato per evitare l’innesco o allertare immediatamente i soccorsi. Ciccarese insiste poi sull’importanza di condurre attività di informazione nei confronti della popolazione, dato che in Italia non esiste ancora la consapevolezza del ruolo di rilievo che le risorse forestali, e in genere le risorse naturali, svolgono rispetto all’economia del Paese. E infine serve coinvolgere i cittadini nella raccolta di dati e informazioni utili a chi dovrà poi intervenire per spegnere gli incendi, secondo un processo detto di “cittadinanza scientifica”.