CULTURA

Inno a Ovidio, principe dell’eros e del cambiamento

Ciascuno può cercare e trovare il suo Ovidio. Questo è il mio”. La dichiarazione che Francesca Ghedini pone all’inizio del suo ultimo libro (Il poeta del mito. Ovidio e il suo tempo, Carocci, collana Frecce 2018), è allo stesso tempo appassionata ma non del tutto veritiera. Il volume infatti non è solo il frutto di una frequentazione pluridecennale da parte dell’autrice, docente emerita di archeologia presso l’università di Padova, con il grande autore latino, ma anche la sintesi e in un certo senso il coronamento di un programma scientifico imponente, che in oltre 10 anni ha portato alla pubblicazione di oltre 200 lavori scientifici da parte di diversi studiosi e che nelle settimane scorso ha dato luogo alla grande mostra Ovidio. Amori, miti e altre storie alle Scuderie del Quirinale. 

Questo non toglie che il libro della Ghedini sia caratterizzato anche da una profonda nota personale: fin dalla lettura delle prime pagine appare infatti subito chiaro che non è stato pensato per rimanere esclusivamente all’interno della comunità accademica, ma per diffondere anche presso un pubblico più ampio la passione per il cantore delle trasformazioni e dei teneri amori. Ne esce un ritratto a tutto tondo, utile per approfondire così come per accostarsi alla figura e all’opera del grande Sulmonese: uno dei poeti più prolifici dell’antichità – di cui tra l’altro, fatto più unico che raro, l’opera ci è giunta pressoché integra – la cui influenza è giunta fino a noi grazie all'interesse suscitato fin dal Medioevo.

La poesia di Ovidio non era funzionale al progetto augusteo di restaurazione dei mores repubblicani

Nei capitoli vengono via via ripercorse e illustrate la vita e l’arte di Ovidio, dalla natia Sulmona alla gaudente Roma della prima età imperiale, fino alla grigia Tomi (l’attuale Costanza, sulla riva romena del Mar Nero) che lo vede esule e disperato attendere invano il perdono di Augusto. A due millenni dalla morte il libro riesce anche a diradare, almeno in parte, la nebbia che ancora oggi avvolge le ragioni di quella relegatio in una terra tanto aspra e barbara, tanto più crudele per lui abituato alle raffinatezze della Capitale. A differenza di quelle di un Virgilio e di un Orazio, la poesia elegante ma spesso anche dissacrante di Publio Ovidio Nasone (specie nell’Ars amandi) non era infatti funzionale al progetto augusteo di restaurazione dei mores repubblicani, e inoltre gli fu probabilmente fatale la vicinanza ai circoli intellettuali e politici imperniati sulle due scandalose Giulie, maggiore e minore, rispettivamente figlia e nipote del princeps. Il poeta vivrà gli ultimi anni prima nell’attesa, nel rimpianto quindi nella disperazione, senza mai riuscire a voltare pagina e a rifarsi una vita nel nuovo ambiente, un luogo fino all’ultimo dipingerà come una sorta di deserto gelato, popolato di barbari vestiti di pelli.

Il bel libro di Francesca Ghedini è una vera e propria immersione nella Roma imperiale, nei suoi splendori e nei suoi intrighi, e allo stesso tempo permette di gustare le ricchezze della grande letteratura latina attraverso uno dei suoi maggiori esponenti. Una parte del libro è infine dedicata a un tema molto caro all’autrice,  quello del lascito del grande Sulmonese soprattutto nell’iconografia e nell’arte, che permette di valutare la sua enorme influenza nella storia culturale artistica occidentale, fino ai giorni nostri.

Si occupa invece delle Metamorfosi la riedizione di uno studio del compianto Emilio Pianezzola, per anni docente di letteratura latina all’università di Padova (Trasformare il mondo. Breve guida alla lettura delle Metamorfosi di Ovidio, Padova University Press 2018). Un volume piccolo ma prezioso per essere guidati per mano dentro l’opera ovidiana più nota e ambiziosa, al tempo stesso affascinante e difficilissima da inquadrare con le categorie concettuali odierne con i suoi 250 miti che ne fanno il più grande compendio della mitologia classica che l’antichità ci abbia tramandato. In essa rifluiscono e si intrecciano racconti delle imprese di dei, eroi, vittime e carnefici, in un caleidoscopio di immagini che si fissa per sempre nella mente del lettore, mentre il racconto della continua trasformazione obbliga a una messa in discussione delle apparenze, “quasi in un processo di ri-creazione della realtà”, che permette coglierne il significato più profondo. Un vero e proprio viaggio intellettuale che si presenta tanto più prezioso oggi, in questi ultimi scampoli di celebrazioni ovidiane.

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