SCIENZA E RICERCA

L'editoriale. Non si può più dire cieco e nano: siamo sicuri?

A proposito di scienza, mentre mi trovo ancora all’interno del Museo delle macchine Enrico Bernardi dell’Università di Padova, voglio raccontarvi una storia capitata di recente mentre discutevo con una correttrice di bozze con cui sto lavorando per un testo da pubblicare negli Stati Uniti. Poche settimane fa mi ha chiesto di cambiare alcune parole e io sono rimasto basito. Il libro parla di evoluzione e quando si parla di selezione naturale si dice sempre che essa è cieca, cioè che non ci vede. Perché è un meccanismo non intenzionale di accumulo di variazioni e mutazioni che emergono casualmente nelle popolazioni. Non vede il futuro, non ha intenzioni e direzioni e fini. Mi hanno fatto cambiare la parola “cieca,” perché rischia di essere offensiva nei confronti delle persone non o ipovedenti. Altro esempio: nel volume parlo di elefanti nani. Sono un caso di evoluzione: quando certi grandi mammiferi si devono adattare a contesti piccoli, come le isole, può essere vantaggioso, per loro, ridurre le dimensioni. Ma no: mi hanno fatto cambiare la parola nani, perché offensiva nei confronti delle persone di bassa statura.

Ora, mi sono chiesto: è possibile e lecito cambiare il significato di parole come queste, messe in un contesto che nulla c’entra, chiaramente, con i motivi per cui mi hanno chiesto di eliminarle? Ha senso, insomma, trattare le parole senza considerare l’intenzione con cui si usano e soprattutto ha senso prendere una parola e toglierla totalmente da un determinato contesto?

A me preoccupa questa deriva radicale del politically correct e di purificazione del linguaggio. Se proseguiamo su questa china, significa che quando uso la parola “nani” essa smette di avere tutta la sua polisemia e le sfaccettature e modificazioni di significato in base al contesto. Avrebbero un valore, in pratica, unico e non dovrebbero essere usate perché potenzialmente offensive. Sono un po’ perplesso: significa impoverire tantissimo il linguaggio che  - come ci hanno insegnato i grandi maestri - si basa proprio su polisemie e ambivalenze. È il bello dell’ironia, della poesia, delle metafore. È tutto basato su queste potenzialità polisemiche di una singola parola.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012