SCIENZA E RICERCA
La melodia del linguaggio insegna la grammatica ai bambini molto piccoli
Il linguaggio umano ha un’incredibile forza espressiva. Ciò è dovuto alla nostra abilità di pronunciare frasi lunghe e complesse in cui le parole che sono correlate insieme possono essere talvolta molto distanti tra loro. Ad esempio, comprendiamo benissimo che nella frase “Lei dorme bene”, “Lei” è il soggetto di “dorme”, ma è altrettanto vero che capiamo lo stesso legame nella frase “Lei, che non beve caffè, dorme bene” in cui le parole “Lei” e “dorme” sono separate da altre.
Gli adulti sono esperti con la lingua perciò non ci sorprende che possano facilmente capire e produrre frasi come queste. Ma come funziona per i bambini molto piccoli, quelli che stanno appena imparando la lingua? Come fa il loro cervello a trovare le regolarità tra parole che sono separate da altre in una frase?
Fino ad ora i ricercatori pensavano che i bambini fossero in grado di imparare le relazioni tra parole distanti soltanto dopo il primo anno di età, cioè dopo aver iniziato a parlare. Un recente studio dal titolo Prosodic cues enhance infants’ sensitivity to nonadjacent regularities, pubblicato sulla rivista Science Advances, dimostra invece che i bambini sono in grado di imparare queste relazioni già a nove mesi.
La ricerca, condotta da Ruth de Diego Balaguer e Ferran Pons dell’Istituto di Neuroscienze dell’Università di Barcellona in collaborazione con Anna Martinez Alvarez e Judit Gervain dell’Università di Padova e del CNRS di Parigi, mostra come il cervello sia già sensibile a queste regolarità all’età di 9 mesi. La pubblicazione suggerisce che i bambini siano in grado di risolvere questo compito principalmente ascoltando molto attentamente la melodia del linguaggio. Attraverso le osservazioni del loro comportamento e monitorando le risposte cerebrali i ricercatori hanno notato che quando le parole, tra loro dipendenti, venivano pronunciate con una tonalità più alta – marcate cioè con l’intonazione – i bambini riuscivano a capire meglio le dipendenze tra le parole distanti.
Abbiamo approfondito la ricerca con Judit Gervain, docente del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università di Padova.
Professoressa, lei di cosa si occupa? Quali sono i suoi ambiti di ricerca?
Sono abbastanza nuova a Padova, sono arrivata con una chiamata d’eccellenza quasi tre anni fa da Parigi, dove ho lavorato per 11 anni come ricercatrice insieme all’equivalente francese del Cnr.
Ho un dottorato in neuroscienze cognitive e mi occupo dell’acquisizione del linguaggio di bambini molto piccoli, dalla nascita al primo anno di vita, quindi prima delle prime parole. Mi interessa scoprire come riescono a riprodurre anche una sola parola e quali meccanismi mettono in atto per imparare a produrre il linguaggio. Molto spesso i genitori pensano al linguaggio quando il bambino già dice alcune cose (più o meno da un anno in poi), ma in realtà per poter dire anche solo una parola devono imparare tanto; quindi ciò che mi interessa è l’esperienza prenatale visto che i bambini sentono già nel grembo materno la voce della mamma e questo in qualche modo plasma un po’ le loro capacità e quello che imparano durante il primo anno di vita.
In merito alla sua ultima ricerca le chiedo: con quanti bambini avete lavorato? Avete notato delle differenze nell’apprendimento tra maschi e femmine?
Abbiamo testato diversi gruppi di bambini: in un gruppo solitamente ci sono circa 25-30 bambini, come in una classe di scuola. In questa ricerca non abbiamo individuato differenze tra maschi e femmine, anche se è vero che per lo sviluppo del linguaggio in certi ambiti, soprattutto nell’acquisizione delle parole – quindi dal punto di vista lessicale –, ogni tanto ci sono studi che dimostrano un vantaggio per le femmine. Comunque, noi questo non lo abbiamo riscontrato e pensiamo che i meccanismi di base, quelli più fondamentali, non dimostrino differenze facilmente osservabili, o addirittura che non ci siano differenze.
Ho letto che il gruppo di lavoro di questa ricerca era internazionale, i suoi colleghi erano spagnoli se non sbaglio. Qual era la lingua madre dei bambini testati?
Lo studio è stato avviato quando ero ancora a Parigi, quindi i bambini erano di madrelingua francese.
Suppone che potrebbe esserci qualche differenza da lingua a lingua?
Assolutamente sì, una componente importante della mia ricerca è proprio cercare di capire i meccanismi specifici e fare un confronto tra le lingue, quindi anche se abbiamo una capacità abbastanza universale di imparare una lingua – a volte diversa da quella madre –, ovviamente ognuna mantiene una sua specificità e quindi i meccanismi di apprendimento si adattano flessibilmente al compito.
Oltretutto, il dipartimento di Psicologia di Padova offre diversi corsi in inglese, quindi ci sono molti studenti internazionali; adesso, per esempio, con i miei studenti turchi stiamo portando avanti una ricerca proprio sui bambini turchi. Ma non solo: ho avviato collaborazioni internazionali un po’ dappertutto, come in Giappone o nei Paesi Baschi. Io, poi, sono ungherese, quindi mi interesso anche dell’apprendimento dell’ungherese: il confronto tra le lingue è un aspetto molto importante nei miei studi.
Nella ricerca parla di “melodia”: c’è qualche collegamento con la musica?
Hanno sicuramente delle caratteristiche in comune. Il linguaggio, in particolare quello parlato, è un segnale acustico, proprio come la musica. E anche il linguaggio, come la musica, è una capacità della nostra specie universale a tutte le lingue e culture perché il sistema percettivo è lo stesso: da cinquant’anni si discute per cercare di capire quali elementi hanno in comune musica e linguaggio. Le caratteristiche fisiche, infatti, sono le stesse: la durata di un suono, l’altezza, l’intensità, per esempio.
In questa ricerca, in particolare, abbiamo usato una lingua artificiale, cioè abbiamo creato un idioma che non esisteva per due motivi: uno era quello di prendere in considerazione solo le caratteristiche che ci interessavano per poter controllare tutti i meccanismi che si innescano durante l’apprendimento; l’altro è che questa nuova lingua, essendo del tutto sconosciuta, garantiva un terreno comune tra i partecipanti e diventava un vero e proprio compito di apprendimento. Per crearla abbiamo usato l’altezza dei suoni dove c'era una regolarità grammaticale strutturale più alta rispetto agli altri suoni, in modo da enfatizzare in qualche modo questa relazione grammaticale che si riscontra anche nel linguaggio parlato normale.
Mi spiego meglio: se voglio enfatizzare qualcosa lo dico con voce più alta, ad esempio nella frase “Devi mangiare la MELA!”, la parola “mela” diventa più lunga, più alta, viene pronunciata con più intensità. Quando parliamo modifichiamo spontaneamente queste caratteristiche per evidenziare quello che è importante e questo succede anche quando parliamo con i bambini: utilizziamo una tonalità più alta e una durata più lunga delle parole. Questa funzionalità di evidenziare le parole tramite l'intonazione, anche tra adulti, crediamo sia ciò che aiuta poi i bambini a imparare certe caratteristiche della grammatica.
Quindi c’è stato un lavoro preliminare per creare questa lingua artificiale, immagino non sia stato semplice.
La lingua artificiale è una tecnica, uno strumento che si usa regolarmente, poi per ogni studio o ogni serie di studi si crea una lingua a sé: questo fa parte del lavoro, è l’inizio della ricerca. Quindi anche noi abbiamo creato una nuova lingua neutra per stendere un terreno comune con colleghi di diverse nazionalità.
Ho letto dalla sua ricerca che avete misurato le risposte tramite la spettroscopia nel vicino infrarosso. In cosa consiste?
Si tratta di una tecnica completamente non invasiva che si è rivelata molto utile perché è facile da usare e sia bambini che genitori la accettano facilmente. Si utilizza anche con i grandi prematuri in ospedale per monitorare l’attivazione del cervello. In pratica posizioniamo sulla testa del bambino una piccola cuffia in cui sono presenti alcuni sensori che misurano l'ossigenazione del cervello: questo ci permette di localizzare l’attività e di conoscerne l’ampiezza confrontando diverse condizioni.
Nella nostra ricerca, per esempio, abbiamo testato una stessa regola grammaticale prima con un’intonazione speciale e poi senza intonazione: abbiamo confrontato la risposta del cervello e abbiamo osservato un’attività maggiore quando c’era questa intonazione, questa specie di “melodia” che evidenziava la regola.
Per i bambini questa tecnica è molto semplice perché vengono accompagnati da un genitore; noi proiettiamo un cartone animato e infiliamo questa cuffia sulla testa del bambino. In seguito presentiamo i suoni, le regole della lingua artificiale. I bambini ascoltano semplicemente, sono molto piccoli quindi non sono consapevoli che stanno imparando, ma in realtà stanno apprendendo molto mentre si divertono a guardare un cartone animato con una cuffietta sulla testa che non disturba in nessun modo. Essendo così piccoli, non riescono a rimanere attenti o coinvolti in un compito per più di 5-6 minuti, quindi i nostri studi sono sempre molto brevi.
I gruppi di bambini sono sempre gli stessi oppure cambiano da ricerca a ricerca?
Dato che ci interessa il primo anno di vita dei bambini, dopo un anno – ovviamente – non rientrano più nella fascia d’età di cui abbiamo bisogno. Non stiamo seguendo lo sviluppo individuale del singolo bambino, ma piuttosto la fascia di età e quindi stiamo reclutando sempre bambini nuovi anche attraverso il “Babylab” del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e dalla Socializzazione dell’Università di Padova, di cui faccio parte.
Babylab è un centro per la ricerca scientifica impegnato nello studio dello sviluppo cognitivo, socio-relazionale e cerebrale dei bambini fin dai primi giorni di vita: i componenti sono i diversi colleghi che si occupano di bambini piccoli, dalla prima infanzia fino ai 5 anni circa. Io mi occupo di linguaggio, altri colleghi di capacità motorie o matematiche o di lettura o altro ancora. Il nostro interesse principale è proprio questa prima fase dello sviluppo.
Quali sono le prospettive future di questa ricerca?
In generale il mio gruppo si occupa dell’acquisizione delle regole di grammatica: abbiamo osservato che l’intonazione, la melodia, la tonalità sono fattori che possono aiutare; attualmente stiamo facendo una mappatura di tutti gli elementi che aiutano i bambini a imparare la grammatica e le sue regole. Stiamo svolgendo altri studi sempre utilizzando una lingua artificiale nell’ambito di un progetto europeo ERC, della durata di 5 anni, focalizzati sui meccanismi di prima acquisizione della lingua.