Virus, batteri, protozoi, funghi: nel nostro corpo – nel tratto gastrointestinale, ma anche nel cervello, sulla pelle, nella bocca – esistono circa 100.000 miliardi di cellule non umane con un patrimonio genetico di circa 9,9 milioni di geni non umani. Tecnicamente viene detto “microbioma”. È costituito da specie diverse con cui viviamo in simbiosi e influisce, ormai è dimostrato, sul nostro metabolismo anche in termini di salute e malattia. Dell’argomento abbiamo parlato con Vincenzo di Marzo, che da circa un anno copre la cattedra di eccellenza per la ricerca in Canada per svolgere studi sull’asse “endocannabinoidoma-microbioma nella salute metabolica” presso l’Università Laval di Quebec.
Negli ultimi anni si sta dedicando sempre maggiore attenzione allo studio del microbioma, perché?
L’idea che svariati regni e phyla di microorganismi, tra cui batteri, lieviti e virus, possano vivere in simbiosi con organismi pluricellulari più evoluti biologicamente, e in particolare con l’uomo, è affascinante ed è stata finora studiata relativamente poco, forse addirittura trascurata fino ad una ventina d’anni fa. Che questi microorganismi possano contribuire non solo a modulare il nostro metabolismo, migliorandone l’adattabilità, ma anche e forse soprattutto funzioni più complesse, come la risposta immunitaria ed il comportamento, rappresenta ormai non solo più un’ipotesi. Di contro, i meccanismi molecolari attraverso i quali questi microorganismi “parlano” con le cellule che li ospitano sono ancora largamente inesplorati. Anche se non bisogna cadere nella tentazione di pensare che il microbioma (ovvero l’insieme di questi microorganismi e il loro bagaglio di geni, proteine e metaboliti) possa spiegare tutto, e, quando malfunzionante, essere alla base di tutte le patologie, è molto probabile che nuove terapie per disordini che ancora sfuggono ad una cura soddisfacente, potranno essere ottenuti in un prossimo futuro anche da questi studi.
Quanto influisce il microbioma sulla salute dell'uomo?
Sicuramente molto di più di quanto si è pensato finora, anche perché si tratta di un “organo accessorio” che non è lì per caso, ma che è stato accuratamente selezionato dall’evoluzione. Basti pensare al microbiota delle… Orecchie. Esso è molto diverso da quello, ad es., orale o intestinale, ma identico per le due orecchie anche se di mezzo c’è …. Una testa intera! I microbioti sono in grado però di essere anche più flessibili ed adattabili degli organi veri e propri ai cambiamenti ambientali con i quali gli organismi pluricellulari sono spesso costretti (o, nel caso dell’uomo, spesso si costringono) a vivere. Il microbioma umano e degli animali quindi arricchisce notevolmente tale capacità, quella di adattarsi e rispondere a variazioni esterne, attraverso il suo bagaglio di geni, che è notevolmente più abbondante di quello delle cellule che lo ospitano, ed è in grado di evolversi nel tempo molto più velocemente. I nostri geni in fatti possono adattarsi rapidamente a variazioni dell’ambiente o, nel caso dell’uomo, di stile di vita (incluse le abitudini alimentari) solo attraverso meccanismi epigenetici, visto che nel nostro caso la selezione naturale attraverso mutazioni genetiche casuali necessita di tempi lunghissimi. I geni dei microbioti possono mutare più velocemente, come dimostrato dall’esistenza di numerosi ceppi diversi della stessa specie di un microorganismo, ceppi che spesso hanno genomi anche molto differenti.
Quanto incide, ad esempio, su patologie come diabete e obesità?
Quello intestinale moltissimo, in quanto, ricoprendo l’intero tratto digestivo, si tratta di cellule che per prime vengono esposte ai componenti alimentari che regolano, e sono modificati fisicamente e chimicamente, dal nostro macchinario metabolico, e vengono modulate da essi. In età adulta, il nostro microbioma intestinale rispecchia in buona parte quello che mangiamo perché ci sono famiglie di microorganismi che preferiscono alcuni componenti alimentari piuttosto che altri, e li trasformano in molecole che possono avere effetti positivi o negativi sul nostro metabolismo. Se ci cibiamo preferenzialmente di tali componenti selezioniamo alcune famiglie piuttosto che altre, e quindi veniamo esposti ad alcuni metaboliti microbici piuttosto che ad altri, con effetti spesso anche opposti sul metabolismo di grassi e zuccheri. Ad esempio, una dieta ricca di fibre alimentari seleziona microorganismi che sanno metabolizzarle (traendone energia) in acidi grassi a corta catena, e questi sembrano avere effetti benefici sul corretto rapporto tra immagazzinamento e dispendio di energia, con conseguenti effetti sul peso corporeo e la quantità di tessuto adiposo.
Da circa un anno lei copre una cattedra di eccellenza per la ricerca in Canada per svolgere studi su endocannabinoidoma-microbioma nella salute metabolica. Perché studiare il sistema endocannabinoide e la sua relazione con il microbioma?
Perché il sistema degli endocannabinoidi, assieme a quello di decine, forse centinaia, di mediatori biochimicamente correlati agli endocannabinoidi (l’endocannabinoidoma, appunto), è profondamente coinvolto nel controllo del metabolismo proprio come il microbiota intestinale, e perché esistono dati che indicano che alcuni effetti negativi sul metabolismo (e non solo) causati dalla disbiosi intestinale (ovvero l’alterazione della comunità microbica “commensale” provocata da una dieta squilibrata in grassi e zuccheri o dal trattamento prolungato con antibiotici) sono mediati dagli endocannabinoidi e, viceversa, che alcuni effetti importanti degli endocannabinoidi sul metabolismo sono dovuti a loro azioni sul microbiota. Infine, perché alcuni microorganismi “commensali” producono molecole derivate dagli acidi grassi che sono chimicamente simili agli endocannabinoidi e ai mediatori ad essi correlati, e si legano agli stessi recettori, andando quindi ad influenzare direttamente il “signaling” dell’endocannabinoidoma dell’intestino, o anche di altri organi. Vorrei anche ricordare a tale proposito che assieme alla Cattedra di Eccellenza, mi è stata data la possibilità di dirigere e finanziare una Unità di Ricerca Mista Internazionale per lo studio degli aspetti chimici e biomolecolari del microbioma in collaborazione con il C.N.R., ed in particolare il suo Dipartimento di Scienze Chimiche e Tecnologie dei Materiali, e quindi di continuare a trarre vantaggio delle enormi e preziose competenze che esistono in questo ente di ricerca nel campo della chimica delle molecole naturali, della farmaceutica, delle formulazioni e dei nuovi biomateriali ad uso biomedico.
Nel primo anno di studi quali risultati avete raggiunto?
Abbiamo messo a punto gran parte delle tecniche “omiche” (metagenomica, trascrittomica, lipidomica) specifiche necessarie per lo studio di due sistemi molto complessi come il microbioma e l’endocannabinoidoma, anche attraverso l’acquisizione di strumentazione all’avanguardia. Stiamo mettendo in evidenza come l’endocannabinoidoma sia profondamente alterato in topolini “germ-free”, ovvero fatti nascere e crescere in ambiente sterile e in modo da quasi non avere un microbiota. Di contro, stiamo analizzando il microbiota di topolini in cui i livelli di endocannabinoidi sono alterati a causa di delezione genetica degli enzimi che li degradano. Inoltre stiamo mostrando come effettivamente in modelli animali di resistenza all’insulina indotta da una dieta squilibrata in grassi e zuccheri, esistano delle correlazioni tra alterazioni del microbioma e dell’endocannabinoidoma. Abbiamo anche reclutato volontari sani ma con diversi stili di vita alimentare e peso corporeo per poter definire se esistano relazioni tra le sottili differenze nella composizione del loro microbiota fecale e le concentrazioni plasmatiche di endocannabinoidi e molecole correlate. Abbiamo iniziato studi di “culturomica”, che, attraverso l’uso di mezzi di coltura che specificamente indirizzino il metabolismo microbico a produrre molecole simili agli endocannabinoidi, possano portare ad identificare, a partire da campioni fecali o intestinali, nuove specie di microorganismi che svolgano un ruolo benefico o negativo sul metabolismo e le sue conseguenze, e che spesso sfuggono all’analisi metagenomica. Va infatti ricordato che in molti casi gli effetti della dieta o dello status metabolico sul microbiota intestinale sono molto sottili, e possono riguardare solo alcune specie “chiave” (come l’ormai famoso batterio commensale Akkermansia muciniphila). Infine, grazie all’Unità Mista Internazionale abbiamo anche fatto partire 8 progetti sul microbioma in collaborazione tra l’Università Laval ed il CNR.
Quali sono gli obiettivi a lungo termine?
Continuare ad identificare le relazioni causa-effetto tra il signaling endocannabinoidoma e quello iniziato dal microbiota intestinale, i loro meccanismi molecolari e le loro conseguenze fisiologiche e patologiche, anche a livello di quelle malattie del sistema nervoso centrale che spesso accompagnano l’obesità. Comprendere se e come alcuni stili alimentari e diete particolari, o alcuni nutraceutici e alimenti funzionali, alterano sia l’uno che l’altro sistema. L’ambizione è di identificare nuove molecole prodotte dal microbiota intestinale, da solo o in collaborazione con le cellule che lo ospitano, che possano essere utilizzate come farmaci, e nuove specie e ceppi di microorganismi che esercitino effetti benefici sul metabolismo e possano essere usati come probiotici.