SOCIETÀ

Migrazione e resilienza. Quali sfide e opportunità?

L’intera famiglia, compresa la parte che resta a casa, può beneficiare della scelta di uno dei suoi membri di migrare altrove, ma solo a determinate condizioni. Questo è uno dei risultati che emerge da una serie di studi pubblicati in un recente numero speciale di PNAS (intitolato “Migration and Sustainability”) che approfondiscono la relazione tra migrazione e sviluppo sostenibile (inteso come un progresso scientifico, culturale ed economico che soddisfi le esigenze sia delle generazioni presenti, sia di quelle future).

Gli autori di questo lavoro di ricerca – un gruppo internazionale e multidisciplinare coordinato dal professor Neil Adger dell’università di Exeter – ritengono che la tendenza a indagare i modelli di migrazione e le forme di sviluppo sostenibile come due dimensioni separate e indipendenti l’una dall’altra impedisca di rilevare la stretta connessione che esiste invece tra questi fenomeni. Exeter e coautori hanno quindi analizzato l’impatto sociale e ambientale della migrazione tenendo conto di diverse variabili che includono le perdite e i guadagni attesi per chi parte, per le comunità che li accolgono e per i luoghi di origine.

In particolare, in uno degli approfondimenti in questione, gli studiosi hanno indagato le modalità tramite le quali le migrazioni costituiscono una forma di adattamento ai cambiamenti climatici; sono state considerate non solo le condizioni dei singoli individui o dei piccoli gruppi familiari che si trasferiscono altrove, ma l’insieme delle relazioni che i migranti intrattengono con i membri delle loro comunità d’origine, rimasti nei luoghi di partenza. Una simile rete di legami familiari ed economici è ciò che gli autori definiscono un “sistema di sussistenza”.

I ricercatori hanno affrontato la questione ricorrendo a un approccio basato sulla “resilienza sociale translocale”, ovvero la capacità dei sistemi di sussistenza appena descritti di trasformare i propri contesti ambientali e sociali per diminuire la vulnerabilità a danni ecologici (ma non solo) senza subire perdite significative; la migrazione di un individuo, ad esempio, permette al sistema di sussistenza di cui fa parte di diversificare le fonti di reddito ampliando nel tempo la base patrimoniale (spesso destinata a pagare l’istruzione dei membri più giovani) o diminuendo la vulnerabilità totale del gruppo familiare ai rischi ambientali.

Sono stati scelti come casi studio i sistemi di sussistenza translocali di alcune comunità rurali della Thailandia, che è uno dei dieci paesi al mondo maggiormente danneggiati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Nelle aree rurali del paese si praticano prevalentemente forme di agricoltura pluviale su piccola scala, particolarmente vulnerabili a eventi metereologici e climatici estremi come siccità, inondazioni, sbalzi di temperatura e regimi di pioggia imprevedibili.

L’analisi si è concentrata, in particolare, sui flussi migratori provenienti da quattro distretti rurali della Thailandia e diretti verso le aree urbane del paese (migrazione interna) oppure verso Singapore o la Germania (migrazione internazionale). Lo studio si è basato su un set di dati empirici raccolti principalmente attraverso indagini statistiche, valutazioni del contesto di partenza e di quello di arrivo dei migranti e interviste ai componenti dei gruppi familiari coinvolti in prima persona. Nel dettaglio, il 53% delle famiglie intervistate contava almeno un membro che si era trasferito in un’altra area del paese, il 6% aveva almeno un componente migrato all’estero e il 15% rientrava in entrambe le categorie appena citate. Nella maggior parte dei casi, la scelta di migrare era riconducibile a motivi di necessità, più che a una libera scelta.

La migrazione interna era diretta principalmente verso l’area metropolitana di Bangkok e le zone turistiche sulla costa meridionale del paese. Per quanto riguarda invece gli spostamenti internazionali, gli autori hanno individuato due diverse tendenze: i migranti verso Singapore erano principalmente uomini in cerca di lavoro; al contrario, l’87% delle persone dirette in Germania erano donne che partivano prevalentemente per sposarsi.

Analizzando il panorama migratorio in questione, gli autori hanno individuato tre fattori determinanti in grado di favorire o ostacolare l’adattamento dei migranti e delle loro famiglie rimaste al paese d’origine: la scelta della destinazione (che dipende principalmente dalla situazione socioeconomica di partenza), il grado di inclusione sociale raggiunto nei luoghi di arrivo, e la robustezza dei rapporti intessuti tra i migranti e le loro comunità di provenienza.

Attraverso un confronto approfondito delle diverse situazioni rilevate, i ricercatori hanno individuato cinque possibili scenari, ognuno caratterizzato da diversi livelli di resilienza sperimentati dagli individui emigrati e dalle famiglie rimaste in Thailandia.

Guadagno sostenibile

Il migliore degli scenari possibili è quello in cui la migrazione di un familiare migliora le condizioni di vita complessive sia delle persone rimaste nel luogo d’origine, sia dell’individuo che si trasferisce, il quale riesce non solo ad accedere a fonti di guadagno stabili e a una qualità della vita buona, ma invia anche al resto della famiglia aiuti economici cospicui. Questo è principalmente il caso di migranti con un background socioeconomico di partenza mediamente alto, istruiti e in grado di posizionarsi meglio nel mercato del lavoro e di integrarsi nella società del paese d’arrivo.

Precarietà

Altre volte accade invece che nonostante la situazione economica delle famiglie di origine migliori grazie agli aiuti inviati, a farne le spese sono gli individui emigrati che sperimentano nei luoghi di arrivo condizioni di lavoro precario e pessime condizioni abitative. Il loro sacrificio serve a mandare a casa più denaro possibile, da cui dipende la sussistenza delle famiglie di provenienza.

Equilibrio fragile

Un’altra situazione che si può instaurare è quella in cui gli individui emigrati riferiscono delle condizioni di vita accettabili nei luoghi di arrivo ma non riescono a inviare a casa abbastanza fondi da migliorare effettivamente la vita delle loro famiglie d’origine. Nel complesso, quindi, il sistema di sussistenza nel suo complesso non trae grossi vantaggi dall’emigrazione di uno dei suoi membri.

Disallineamento

Esistono poi dei casi in cui gli individui emigrati riescono a integrarsi bene nei luoghi di arrivo, a scapito però delle loro famiglie rimaste a casa. Ciò accade solitamente quando i migranti si costruiscono una nuova vita nel luogo di arrivo e riducono o interrompono il sostentamento economico alle loro comunità di origine.

Insicurezza

Lo scenario peggiore è infine quello in cui sia la componente che parte, sia quella che resta, sperimenta un peggioramento complessivo delle condizioni di vita come conseguenza della migrazione: i familiari emigrati trovano lavori precari e mal pagati, vivono in contesti di isolamento sociale e sviluppano problemi di salute fisica e mentale. Allo stesso tempo, le famiglie di origine dipendono fortemente da quelle poche risorse che vengono inviate loro.

Sebbene la maggior parte delle famiglie coinvolte nello studio abbiano sperimentato un generale miglioramento delle proprie condizioni di vita (anche se in diversa misura), dai risultati dello studio emerge come gli esiti delle migrazioni tendano a esacerbare le disuguaglianze già esistenti, piuttosto che a livellarle: chi ha alle spalle una situazione socioeconomica stabile riesce a migliorare di più la sua condizione e quella della sua famiglia di origine rispetto a chi proviene da contesti di povertà estrema o particolarmente vulnerabili ai danni causati dai cambiamenti climatici.

Gli autori ritengono perciò che sia essenziale basarsi su questo genere di risultati per individuare le condizioni in cui la migrazione riesca effettivamente a migliorare l’adattamento e la sussistenza dei sistemi sociali ed elaborare, di conseguenza, politiche migratorie più consapevoli a livello sia locale che internazionale.

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