SOCIETÀ

La Nigeria, gigante dell'Africa, verso le elezioni

Non si tratta soltanto di sfogliare la rosa dei candidati, di ascoltare le loro promesse, di “pesare”, per quanto possibile, la loro solidità etica ancor prima che politica: in Nigeria sta per andare in scena una partita ben più ampia e rischiosa. Le prossime elezioni presidenziali (si voterà sabato 25 febbraio) saranno cruciali per determinare non soltanto la tenuta della democrazia del più popoloso stato africano (220 milioni di abitanti, sesto al mondo) ma dell’intero continente, sempre più minato al suo interno da violenze e colpi di stato, da estremismi religiosi, da tensioni separatiste ed etniche, da incertezze climatiche ed economiche che piegano le popolazioni più povere, con un crescente dilagare della criminalità, più o meno organizzata. La Nigeria parte con qualche vantaggio: ha la più grande economia del continente (davanti al Sudafrica), istituzioni solide (almeno all’apparenza), una democrazia che resiste da 23 anni, probabilmente l’esercito più potente e immense ricchezze naturali a disposizione (è il più grande produttore africano di petrolio). Per questo viene chiamata “il gigante dell’Africa”, punto di riferimento per le altre nazioni. Nic Cheeseman, professore di democrazia all’Università di Birmingham ed esperto di politica africana, ha risposto così a un giornalista del Guardian: «La Nigeria è un paese all’avanguardia: se le prossime elezioni avranno successo, e se saranno considerate democratiche, sarà un grande passo in avanti per la democrazia in tutta l’Africa. Ma attenzione: è vero anche il contrario». Come dire: se per qualche variabile la tenuta democratica del “gigante” dovesse cedere, potrebbe innescare un pericolosissimo effetto domino.

Il rischio c’è, ed è drammaticamente concreto. La Nigeria, nazione che comprende oltre 250 gruppi etnici ed è diviso tra un sud in gran parte cristiano e un nord in prevalenza musulmano, deve fare quotidianamente i conti con un’incessante escalation di violenza, con migliaia di episodi che si segnalano soprattutto nelle regioni del sud-est e del nord-ovest del paese. Gruppi armati secessionisti prendono regolarmente di mira le istituzioni. Oltre cento agenti di polizia sono stati assassinati negli ultimi due anni. Un’insicurezza che non ha precedenti e che aumenta con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, con la fine del secondo mandato di Muhammadu Buhari, al quale è stato impedito (per legge) di ricandidarsi. Per fare qualche esempio: il 19 gennaio un gruppo armato non identificato ha rapito e poi decapitato Chris Ohizu, presidente del governo locale per lo stato di Imo (che si trova nel sud). A fine gennaio una bomba è piovuta dal cielo, probabilmente lanciata da un drone, in una regione agricola nel middle belt, nel centro nord dello stato, uccidendo 54 pastori. Mentre il 5 giugno dello scorso anno un altro gruppo armato non identificato, applicando una tattica da guerriglia, ha aperto il fuoco in una chiesa cattolica, durante la messa domenicale, nello stato di Ondo: oltre 50 i morti. L’ong Acled (Armed Conflict Location and Event Data Project) colloca la Nigeria tra le aree più a rischio di conflitti, nel mondo, per il 2023. Scrive Acled, nel suo ultimo report pubblicato pochi giorni fa: «Lo stato di insicurezza senza precedenti rappresenta una sfida diretta al regolare svolgimento di elezioni in tutta la Nigeria. Attacchi contro i seggi elettorali, controllo statale limitato e circa 3,1 milioni di sfollati interni minacciano di influenzare la logistica delle elezioni e privare milioni di nigeriani del diritto di voto. Le milizie armate legate a gruppi politici si sono impegnate in numerosi attacchi contro i sostenitori di partiti politici rivali. Alcuni governatori statali sono stati accusati di assumere milizie o di utilizzare agenzie di sicurezza sponsorizzate dallo stato per colpire membri dell’opposizione e altri gruppi etnici. Una missione internazionale di osservazione elettorale ha concluso che la proliferazione di gruppi di sicurezza informali come “Amotekun” e “Ebubeagu” complica ulteriormente la sicurezza e aumenta le opportunità di violenza elettorale e malaffare. In caso di risultato elettorale contestato, le milizie che operano per volere delle élite politiche possono quindi contribuire ad accendere tensioni partigiane ed etniche nei principali campi di battaglia elettorali. È probabile che i gruppi jihadisti rimangano una grave minaccia per la sicurezza della Nigeria nel 2023».

L’esercito risponde con le bombe

Il governo federale è in evidente difficoltà nell’arginare l’ondata di violenza. Ancora Acled: «Le forze statali hanno effettuato attacchi aerei ad alto tasso di mortalità a gennaio, compresi rari bombardamenti nello stato di Sokoto (nel nord-ovest). Le forze militari hanno aumentato l’uso di attacchi aerei contro banditi e militanti islamici dall’agosto 2022. Tuttavia, alcune operazioni aeree hanno provocato gravi danni collaterali tra i civili. Nello stato del Niger una milizia di difesa locale è stata scambiata per una banda ribelle ed è stata bombardata mentre era di pattuglia, uccidendo decine di persone». Denuncia l’Economist: «In gran parte del nord-est i jihadisti dello Stato islamico della provincia dell'Africa occidentale (Iswap) e di Boko Haram vagano con libertà allarmante, uccidendo e tassando civili. Per sfuggire agli attacchi aerei i loro attacchi sono diventati più piccoli ma più numerosi. Mentre nel sud-est separatisti etnici Igbo sempre più violenti stanno cercando di riaccendere il sogno di un Biafra indipendente».

Poi c’è il business dei sequestri di persona, spesso di ragazzini o di pendolari, spesso a scopo di estorsione, ad opera di banditi comuni, di jihadisti, perfino di politici locali. Con i rapitori che spesso chiedono il pagamento del riscatto in valuta estera o in criptovalute. Scrive il sito Africa Intelligence: «Da quando Muhammadu Buhari è diventato presidente della Nigeria nel 2015, l’industria dei rapimenti è diventata più strutturata nel nord della Nigeria. Negli stati nord-occidentali, i banditi autostradali ora effettuano rapimenti che generano decine di milioni di dollari in riscatti. Politici locali, militari, jihadisti, notabili locali e leader religiosi sono coinvolti dietro le quinte». A sostegno degli sforzi del governo il Nigeria Security and Civil Defence Corps, (NSCDC), ha appena istituito un Centro nazionale di “sicurezza scolastica e risposta alle emergenze” per aumentare la sorveglianza e proteggere i bambini delle scuole. Fece scalpore, nel 2014, il primo caso eclatante del genere: il rapimento di massa di 276 studentesse che frequentavano la Government Girls Secondary School a Chibok, nello stato di Borno (nord-est), in gran parte cristiane, prelevate e portate via con la forza dai militanti islamisti di Boko Haram. Alcune sono riuscite a fuggire, altre sono tornate a casa dopo anni, ma molte di loro non sono state mai più ritrovate. Lo scorso dicembre un gruppo di giornalisti dell’agenzia Reuters ha pubblicato un’inchiesta in quattro puntate, dal titolo Nightmare in Nigeria: i giornalisti hanno scoperto che l’esercito nigeriano in questi anni aveva gestito un programma segreto di aborto di massa rivolto a donne e ragazze che erano state rapite e stuprate dai militanti islamisti. Un rapporto successivo, sempre sorretto da decine di documenti e di testimonianze, sostiene che l’esercito ha intenzionalmente ucciso bambini, presumendo che fossero, o che sarebbero diventati, terroristi. I leader militari nigeriani hanno negato le colpe, ma di fronte al crescere delle proteste internazionali il capo di stato maggiore della difesa Lucky Irabor ha dato il suo sostegno a un’inchiesta della commissione per i diritti umani della Nigeria, che dovrà indagare su quanto accertato dalla Reuters. L’indagine è cominciata pochi giorni fa. Nel frattempo l’inchiesta della Reuters ha vinto il Selden Ring Award for Investigative Reporting, uno dei più prestigiosi riconoscimenti per il giornalismo investigativo.

Le sfide di domani: disoccupazione, inflazione, corruzione

Premessa lunga, ma indispensabile per inquadrare la “cornice” dove collocare le elezioni presidenziali che tra pochi giorni si svolgeranno in Nigeria. Un quadro d’insieme che diventa perfino più importante dell’elenco dei candidati. Oltre ai temi appena trattati, con la piaga della corruzione tra i funzionari pubblici sempre in primissimo piano, il futuro presidente dovrà affrontare una situazione economica difficilissima, con l’inflazione alle stelle (sfiora il 22%), e con la valuta locale, la naira, in caduta libera. Peraltro, il presidente uscente Buhari proprio ieri mattina è stato costretto a prorogare fino al 10 aprile la validità delle vecchie banconote, le più piccole, nei tagli da 200, 500 e 1000 naira: le nuove banconote, in tagli più alti, sono introvabili. Non solo: la disoccupazione ha ormai raggiunto il 33% (tra i giovani la percentuale arriva al 42,5%: e la Nigeria è un paese al 70% composto da giovani). Secondo la Banca mondiale quattro nigeriani su 10 vivono al di sotto della soglia di povertà, senza avere disponibilità di energia elettrica, acqua potabile e servizi igienici, oltre a non avere accesso a forme d’istruzione.

Attorno alle operazioni di voto sono legate diverse incognite, visto che in Nigeria la compravendita dei voti, in denaro o “di scambio” e di brogli elettorali, è pratica diffusa. Una recente verifica condotta dall’Independent National Electoral Commission (Inec) ha accertato la presenza nei registri elettorali di oltre 53mila schede intestate a minorenni, che sono state perciò rimosse. Inoltre è stato messo a punto un nuovo sistema, Bimodal Voter Accreditation System (BVAS), che in sostanza può eseguire una doppia identificazione degli elettori attraverso le loro impronte digitali e il riconoscimento facciale, in corrispondenza della presentazione della tessera elettorale permanente (PVC).

Nulla garantisce ovviamente che tutto filerà liscio il 25 febbraio, nei 176.606 seggi che saranno aperti. Gli elettori, o meglio gli “aventi diritto”, saranno 93,5 milioni: poco meno del 40% ha meno di 34 anni. Sono 18 i candidati alla presidenza (ma si eleggeranno anche i membri del Senato e delle circoscrizioni federali nella Camera dei Rappresentanti). La tradizionale apatia degli elettori nigeriani (l’ultimo dato sull’affluenza, nelle elezion i del 2019, è stato del 35,66%) e la diffusa scarsità di carburante fanno presumere che la partecipazione sarà tutt’altro che elevata. Tra i 18 candidati alla presidenza ne spiccano tre, quelli che sembrano avere le più concrete possibilità di vittoria. I primi due sono politici di lungo corso: Bola Ahmed Tinubu, 70 anni, candidato per il partito di governo All Progressives Congress (APC), e Atiku Abubakar, 76 anni, leader del principale partito di opposizione, il Partito Democratico Popolare (PDP). Entrambi sono stati accusati (ma nulla di concreto a loro carico è mai emerso) di clientelismo e di corruzione. Entrambi possono contare su un enorme bacino di “influenze”. Tinubu ha alte aspettative, al punto di aver scelto come slogan elettorale la frase “È il mio turno”. Abubakar è alla quinta candidatura: finora ha sempre perso. Entrambi sono percepiti come interpreti dello “status quo”, della politica com’è stata finora. Il terzo sfidante è Peter Obi, 61 anni, un ricco uomo d’affari, governatore per due mandati dello stato di Anambra (centro-sud), leader del partito laburista e vero outsider della competizione. Spera, e lo dichiara, di rompere il sistema bipartitico che ha dominato la Nigeria dalla fine del regime militare, nel 1999. È lui il volto nuovo, anche se fino allo scorso anno ha militato nel PDP. Ha un grande seguito sui social media e tra i più giovani perché parla e lascia parlare, non ha paura di rispondere alle domande, non vuol dare l’impressione di far parte di un’élite. Un recente sondaggio della società di rilevazione Stears, con sede a Lagos, accredita Obi di un 27% dei voti, contro il 15% di Tinubu e il 12% di Abubakar (ma sono ancora moltissimi gli indecisi). Obi, secondo gli analisti, risulterebbe ancor più favorito da un’alta partecipazione alle urne. La partita è aperta. E la posta in gioco altissima.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012