SCIENZA E RICERCA

Orsi in Trentino: possibili approcci per migliorare la convivenza con l'uomo

L’orsa JJ4 che nel giugno scorso aveva ferito due uomini perché aveva percepito nella presenza umana una minaccia per i suoi cuccioli potrà restare libera. Al contrario M57, l’orso catturato dopo il ferimento di un carabiniere fuori servizio avvenuta ad agosto, dovrà rimanere in custodia al Casteller, il recinto dove vengono collocati gli esemplari ritenuti problematici o potenzialmente pericolosi (come previsto dal Pacobace, il Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno sulle Alpi centro-orientali approvato nel 2008 e poi modificato nel 2015). 

Vanno in due direzioni opposte le sentenze con cui il Tar di Trento si è espresso sui ricorsi contro altrettante ordinanze di cattura. Sentenze che erano attese da tempo e che in questi giorni hanno riacceso il dibattito sulla presenza degli orsi sulle montagne del Trentino e sulla possibilità di convivenza con questi animali che sono tornati in questa parte delle Alpi italiane a seguito di un percorso di ripopolamento iniziato una ventina di anni fa.

Tutto ha inizio nel 1999 quando il progetto Life Ursus, che aveva l'obiettivo di salvare da un'estinzione ormai vicina il piccolo nucleo di orsi autoctoni rimasti sul territorio, entrò nella fase operativa con il rilascio di dieci esemplari importati dalla Slovenia.

Il progetto - finanziato dall'Unione europea e promosso dal Parco Adamello Brenta insieme alla provincia autonoma di Trento e all'Istituto nazionale della fauna selvatica - mirava a ricostituire una popolazione di almeno 40-60 orsi adulti sulle Alpi centrali e ha rappresentato un enorme successo dal punto di vista faunistico e della conservazione della specie. I risultati hanno superato le aspettative e oggi i dati dell'ultimo Rapporto grandi carnivori 2020 portano a ritenere che la popolazione di plantigradi possa aver superato i 100 esemplari, cuccioli compresi. Un numero in aumento rispetto al 2019, quando si stimava un totale tra gli 82 e i 93 animali, ma ancora lontana da quelle soglie che permettono di definire stabile una popolazione.

Eppure, complice il fatto che gli orsi hanno finito per concentrarsi esclusivamente in Trentino, (invece di stabilirsi sull'intero arco alpino centrale, come auspicava il progetto) la convivenza con l'uomo si è rivelata complessa e la tendenza alla polarizzazione delle posizioni non facilita la ricerca di una mediazione. 

Abbiamo discusso di questo tema insieme a Roberto Guadagnini, capo veterinario Grandi Carnivori del Trentino e alla professoressa Barbara de Mori, esperta di etica della conservazione e direttrice dell'Ethics Laboratory dell'università di Padova. Abbiamo chiesto loro un commento sulle sentenze del Tar di Trento, analizzato il valore del progetto di conservazione avviato ormai oltre 20 anni fa e ragionato sui possibili approcci che potrebbero favorire una convivenza più serena con l'orso sulle montagne del Trentino. Partendo anche dal riconoscere, come sottolineava anche l'etologo Enrico Alleva su Il Bo Live, che molto spesso gli episodi di aggressione nascono da comportamenti scorretti da parte delle persone, sia in termini di azioni compiute quando ci si imbatte in un esemplare di orso, sia attraverso la cattiva abitudine di abbandonare rifiuti di cibo al di fuori dei cassonetti.

L'intervista completa Roberto Guadagnini, capo veterinario Grandi Carnivori del Trentino, sulla gestione degli orsi. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"I giudici hanno deciso in maniera opposta per i due orsi e ovviamente ogni sentenza dà la propria interpretazione. A mio avviso - introduce Roberto Guadagnini commentando le direzioni differenti con cui il Tar di Trento si è espresso sui ricorsi contro le catture dell'orsa JJ4 e di M57 - non si può fare gestione faunistica a colpi di sentenze, che valgono valgono per il singolo soggetto a cui si riferiscono e si devono accettare, ma bisogna avere una visione molto più ampia e a lungo raggio. Dovremmo arrivare a una gestione matura degli animali selvatici e dei grandi carnivori in particolare nel senso che è ovvio che gestire i grandi carnivori non è come gestire il capriolo, il cervo o altri animali: il grande carnivoro è il pettine a cui arrivano tutti i nodi del rapporto tra uomo e natura. Il tema centrale è quanto noi siamo disposti ad accettarli, ad accettare la natura". 

Un bilancio del progetto Life Ursus

Ripercorrendo gli oltre 20 anni del progetto Life Ursus Roberto Guadagnini sottolinea che "è stato sicuramente un grande successo dal punto di vista biologico. Lo sarebbe ugualmente se in questo momento contassimo 40 o 60 soggetti, come recitava lo studio di fattibilità. Abbiamo invece superato i 100 esemplari e quindi è indubbiamente un grande risultato che è stato raggiunto grazie a chi li ha gestiti, quindi il Corpo forestale della provincia di Trento, e all’ambiente che si è rivelato ancora una volta ideale per questi animali. A tal proposito ricordo che gli ultimi orsi delle Alpi si erano rifugiati proprio nella parte occidentale del Trentino". Ed è lì che adesso sono concentrati questi orsi. "Quello che manca ancora, e che era il nucleo del progetto, è la colonizzazione da parte dell’orso di tutte le Alpi. Il progetto era l’orso sulle Alpi, non l’orso sul Trentino. Al momento tutte le femmine di orso purtroppo si riproducono e vivono con i cuccioli all’interno dei confini provinciali. Invece dovrebbero espandersi sia verso il Veneto e il Friuli, sia verso la Lombardia e il Piemonte per riuscire a colonizzarle. Anche perché una popolazione di 100 soggetti è ancora fragile: in ecologia si dice che una popolazione è stabile sopra ai 1000 soggetti. Arrivare a 1000 soggetti sulle nostre Alpi potrebbe essere un numero accettabile, ma sicuramente se riuscissimo a collegare la nostra popolazione con quella slovena avremmo una meta popolazione che non ha delle barriere e si riproduce costantemente, evitando anche tutti i problemi di deriva genetica o di numeri esigui".

La situazione al Casteller e la custodia degli esemplari definiti problematici

Roberto Guadagnini è anche il veterinario che per conto della provincia di Trento ha il compito di tenere sotto osservazione gli orsi che sono in cattività al Casteller a seguito di ordinanze di cattura. Qualche mese fa i lavori di adeguamento della struttura avevano comportato una riduzione degli spazi e costretto i tre orsi che si trovavano all'interno a una convivenza forzata e difficile. Una situazione che aveva spinto diverse associazioni di animalisti a chiedere l'immediata liberazione dei plantigradi. 

"Al Casteller - spiega Guadagnini - attualmente gli orsi in custodia sono due perché DJ3, l’orsa che era lì precedentemente è stata trasferita in un altro parco in Germania, proprio durante questa settimana. Gli esemplari presenti sono due maschi. C’è stato un momento molto critico nel settembre scorso perché gli orsi come specie sono animali solitari e quando si sono trovati a dover convivere in tre, in maniera ravvicinata, hanno attraversato un momento problematico. La situazione critica è durata circa una settimana, poi siamo riusciti a tornare alla stabilità".

Ovviamente un orso selvatico che vive in un recinto è un orso limitato. E su questo punto Guadagnini non fa giri di parole. "La libertà è una cosa importante per tutti. Non è in discussione se un orso stia meglio in libertà o in un recinto. E’ ovvio che libero vive meglio. Il problema è che ci sono degli orsi che vengono definiti problematici. Questo può accadere perché sono confidenti, cioè si avvicinano in maniera eccessiva alle persone e di conseguenza diventare anche pericolosi. Oppure come M49 che aveva l’abitudine di entrare nelle abitazioni, sempre disabitate, provocando dei danni che sono stati valutati eccessivi. Bisogna considerare che negli altri stati del mondo in cui ci sono orsi gli esemplari di questo tipo vengono abbattuti: un orso problematico in Slovenia, in Svezia e in Nord America viene abbattuto. L’Italia non accetta questo approccio, sia perché c’è una popolazione limitata ed estremamente protetta e quindi l’abbattimento non è permesso se non in casi particolari, sia perché la società italiana non accetta questa gestione. Se non c’è abbattimento e un orso non può essere lasciato libero perché considerato rischioso per l’incolumità delle persone o per i danni eccessivi che può causare, l’unica alternativa sono i recinti. Questi spazi più sono grandi e meglio è ma non saranno mai sufficienti. Per questo motivo la difficoltà di seguire orsi selvatici nei recinti è molto maggiore rispetto a quella di gestire orsi domestici, nati in cattività e che sono abituati al contesto umano. L’orso selvatico cerca di scappare, come ha fatto M49 riuscendoci per ben due volte". 

M49 è un caso davvero particolare. Non ha mai aggredito l'uomo e non ha mai mostrato segnali di confidenza. E' stato però ritenuto pericoloso a causa delle ripetute predazioni al patrimonio zootecnico e per le intrusioni all'interno di edifici abbandonati e malghe. Un animale estremamente intelligente che è riuscito a fuggire per due volte dal Casteller e che per molti è diventato un simbolo della lotta per la libertà. 


LEGGI ANCHE:


"Sappiamo che ci saranno sempre orsi problematici", osserva Roberto Guadagnini. "Statisticamente anche i nord americani parlano di una percentuale che varia dal 2 al 4 per cento. Questo significa che potremmo trovarci anche quest’anno ad avere a che fare con un orso problematico. Naturalmente non possiamo saperlo in anticipo ma intanto bisogna mettere in campo tutte le azioni di dissuasione in modo da educare l’orso. Ma bisogna altresì educare le persone perché nella maggioranza dei casi gli incidenti si verificano in conseguenza di comportamenti scorretti da parte di un umano: la fotografia, e il selfie in particolare, avvicinarsi a piedi o con la macchina e poi seguire l’orso. Sono tutti comportamenti che pongono una soglia di rischio molto elevata e per questo motivo educare le persone è fondamentale per la convivenza con l’orso".

Conoscere gli orsi e imparare ad accettarli

Un passo fondamentale è dunque puntare sulla conoscenza e sull'educazione. Ma la riflessione di Roberto Guadagnini guarda più lontano. "Se noi vogliamo salvare il mondo, se vogliamo proteggere la natura e tutelare gli animali che hanno condiviso con noi questo percorso straordinario su questo pianeta dobbiamo concedere loro degli spazi. Dobbiamo conoscerli e accettare anche dei possibili pericoli. Dobbiamo chiederci cosa è per noi l’orso. E la risposta, dal mio punto di vista, è che l’orso è un grande compagno per l’umano su questa Terra, una specie che ci ricorda anche il nostro essere anche fragili. Noi pensiamo di avere il dominio su tutto ma non è così e sono anche gli orsi a ricordarcelo. Abbiamo costruito le città che sono i luoghi per gli umani, ma i boschi sono i luoghi per gli animali dove noi possiamo entrare in punta di piedi, rispettandoli e sapendo che sono dei rischi. Se vado in una grande città so che ci sono dei rischi: posso essere derubato o investito. Se vado nel bosco so che potrebbe mordermi una vipera, potrei essere punto da una zecca oppure potrei incontrare un orso e se va male, eventualità rara ma può accadere soprattutto se ha i cuccioli, potrebbe farmi un falso attacco. Dobbiamo essere coscienti di questo e accettarlo. Se non accettiamo niente, tenderemo ad accettare sempre meno e il ragionamento rischia di estendersi a tutti coloro che sono diversi, chi ha una cultura differente o uno stile di vita diverso. Ecco perché è importante salvare gli orsi. Salvare gli orsi vuol dire salvare noi stessi perché salviamo la nostra natura più intima. Non siamo fatti solo di pensiero ma anche di emozione. Quando ognuno di noi va nel bosco e sa che in quel bosco vivono lupi, orsi e linci l’emozione è tale che ci fa vivere quell’esperienza più intensamente e ci fa ricordare chi siamo nella nostra parte più intima", conclude il capo veterinario Grandi Carnivori del Trentino.

L'intervista completa alla professoressa Barbara de Mori, docente dell'università di Padova ed esperta di etica della conservazione, sul tema della convivenza con gli orsi. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Queste due sentenze, che si aggiungono a una vicenda più articolata e complessa che è quella di M49, sono una fotografia molto precisa di una situazione che oggi ci chiede come comportarci nel rapporto con gli orsi. Situazioni come quelle che riguardano i tre esemplari di cui stiamo discutendo ci fanno vedere che cosa accade se tendiamo ad avere un atteggiamento di emergenza e di reazione rispetto a quello che accade, anziché un atteggiamento di prevenzione", commenta la professoressa Barbara de Mori, docente del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell'università di Padova. 

I tre individui, sottolinea l'esperta di etica della conservazione, sono interessanti anche perché sono stati definiti problematici per motivi differenti e ci mostrano quindi il quadro delle diverse casistiche. "JJ4 è una madre che è intervenuta con un evento di aggressione, ma del tutto naturale perché legato alla difesa delle prole. M57 invece è un esemplare giovane che ha imparato ad avvicinarsi alle fonti di cibo che sono lasciate da noi umani a disposizione e quindi ha sviluppato atteggiamenti confidenti che sono uno dei pericoli importanti che rendono un individuo problematico. M49 è un caso unico, un individuo che non ha mai avvicinato l’uomo ma che ha provocato ripetutamente danni alla popolazione locale, in diversi modi. Un quadro prismatico di quelle che sono le nostre responsabilità perché tutti e tre sono vittime del nostro comportamento che tende a non essere preventivo nei confronti della convivenza con questo tipo di animale".

Puntare sull'educazione e sul coinvolgimento della popolazione locale

"La letteratura scientifica - osserva la professoressa Barbara de Mori - ci ha dimostrato che i progetti di conservazione falliscono prima di tutto a causa di conflitti che si creano sul territorio e che sono l’esito di mancati interventi di educazione e coinvolgimento capillare. Bisogna potenziare al massimo ogni azione preventiva. Ragionare in termini di educazione significa puntare su interventi di informazione sui comportamenti corretti da mantenere quando ci si muove nelle zone dove sono presenti gli orsi e nelle diverse modalità in cui possono essere presenti, come nel caso di una madre con i cuccioli. E' fondamentale anche la collaborazione con il mondo delle scuole. E poi bisogna coinvolgere le popolazioni locali in tutte le azioni preventive". Diversamente, sottolinea la docente, il progetto di conservazione andrebbe incontro a dei rischi anche perché riguarda "una popolazione estremamente fragile che è composta da soli 100 individui e dobbiamo tenere conto di questo". 

Il ruolo dell'etica nella conservazione

"Spesso il ruolo dell’etica nella conservazione è stato sottovalutato. Oggi invece è sempre più considerato uno degli strumenti che può essere di aiuto in un aspetto cruciale che è quello del coinvolgimento degli stakeholder", spiega la direttrice Ethics Laboratory for Veterinary Medicine, Conservation and Animal Welfare dell’Università di Padova. "Non implica solo esprimere dei pareri dall’esterno ma è anche mettere a disposizione strumenti e approcci partecipativi che permettano di includere i vari stakeholder in maniera concreta nel processo decisionale".

In un progetto di conservazione contraddistinto da un elevata conflittualità questo approccio può fare la differenza perché in caso contrario le persone che vivono sul territorio si sentono messe da parte. "Il decision making deve essere concertato attraverso un processo inclusivo e questo è un aspetto dirimente perché se un progetto di conservazione fallisce falliamo tutti, non solo i conservazionisti, perché vuol dire fallire in una conservazione degli habitat e dei luoghi di cui siamo parte", conclude de Mori.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012