SOCIETÀ

Paolo Rossi, per chi non ci sarà stato

Se gli alieni esistessero e si prendessero anche la briga di eliminare il genere umano per poi studiare la sua cultura come noi studiamo greco e latino, magari cercando "Paolo Rossi" si imbatterebbero nella pagina di un'enciclopedia online che recita: "Paolo Rossi (Prato, 23 settembre 1956 – Siena, 9 dicembre 2020) è stato un calciatore, dirigente sportivo e opinionista italiano, di ruolo attaccante. Con la nazionale italiana si è laureato campione del mondo nel 1982".

"Ok, l'ennesimo calciatore", sbufferebbe lo studente alieno, e passerebbe forse a leggere un libro su Napoleone, perché erano quelli i terrestri importanti da cui si può imparare qualcosa. Nel quadro generale l'alieno potrebbe avere le sue ragioni, il problema è che noi non viviamo nel quadro generale: noi siamo quelli che nel 1982 hanno rischiato grosso, perché il calcio sarà anche qualcosa di effimero, ma ti toglie il fiato che neanche cento rampe di scale.
Tra gli italiani che hanno l'età giusta è impossibile trovare qualcuno che non si ricordi dov'era quell'11 luglio 1982, perché il calcio è così: ti prende anche se non ti piace, anche se cerchi di evitarlo, ma quando la Nazionale del tuo paese vince il Mondiale trascinata dal suo capocannoniere puoi tirare fuori la tua migliore faccia da poker, ma non riesci a convincere l'interlocutore che no, non te ne importa niente.

Paolo Rossi viene descritto dai colleghi, dagli amici e da tutte le persone che lo conoscevano come una persona estremamente gentile. Potrebbe sembrare futile ma non lo è, soprattutto in questi anni di calcio urlato nei grandi salotti televisivi, un mondo in cui i calciatori fanno più scalpore per le marachelle stradali che per le prodezze sul campo. Quando Rossi è stato investito dallo scandalo del calcio scommesse nel 1980, ha reagito come solo lui sapeva fare: con grazia. La squalifica è stata una ferita che gli è rimasta dentro, ma che lo ha spinto a darsi da fare: non ha perso tempo a negare la sua responsabilità, anche se poi è stato assolto, o ad accampare scuse, ma si è rimboccato le maniche per dimostrare che era meglio di così.

Paolo Rossi era un ragazzo come noi Antonello Venditti

Non poteva riuscirci meglio: aveva pensato di mollare tutto e di ritirarsi, ma poi era tornato e con la Juve e la Nazionale aveva vinto tutto, anche il Pallone d'Oro.
Paolo Rossi è stato il simbolo di una generazione che poteva permettersi di sperare per il meglio, non solo in ambito calcistico. Era l'eroe del Mondiale, il sapore delle grandi cose che ci aspettavano, dei sacrifici ripagati con le vittorie. Purtroppo questa volta la partita l'ha persa, e in modo inaspettato: a 64 anni, per una malattia aggravatasi improvvisamente. La moglie Federica Cappelletti racconta che il weekend scorso, pur essendo ricoverato, non si era voluto perdere il derby Juve Torino, perché il calcio, quando ce l'hai dentro, ci rimane fino alla fine.
Non puoi chiedere a chi c'era, in quella notte del 1982, di asciugarsi le lacrime, che vanno ad annebbiare le diapositive mentali dei gol indimenticati che ha segnato in carriera: forse al giovane alieno invasore hanno insegnato che bisogna guardare al quadro generale, che il calcio non ha mai cambiato gli equilibri politici delle nazioni e tantomeno dei pianeti, che è un aspetto minore e forse anche un po' frivolo della cultura terrestre.

Anche se stiamo piangendo, ci dispiace di più per quell'alieno, che si sta perdendo qualcosa. Non saprà mai chi era veramente Paolo Rossi, anche solo calcisticamente parlando. Non saprà che era possibile volergli bene anche senza conoscerlo, perché, come diceva Venditti in Giulio Cesare era un ragazzo come noi. Quella notte non era solo ad alzare la coppa al Bernabéu: con lui c'erano i compagni e lo staff, ma anche un'intera nazione, una nazione che per una notte ha creduto nei sogni che si realizzano e in un futuro roseo tutto da vivere. Quello che, se la vita fosse giusta, a 64 anni, dovresti avere ancora.

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