Società
Più di metà del mondo nel 2024 andrà al voto
Una parata elettorale senza precedenti si annuncia in questo 2024, dove oltre metà della popolazione mondiale, circa 4 miliardi di persone, andrà a votare per determinare il futuro politico (nazionale o comunitario) di 76 nazioni, tra le quali otto dei dieci paesi più popolosi al mondo (vale a dire Bangladesh, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan, Russia e Stati Uniti). Il Guardian l’ha definito, con un po’ di ottimismo, “il Super Bowl della democrazia”, anche se a ben vedere in molte delle nazioni coinvolte il processo democratico sarà tutt’altro che libero, equo e trasparente: quasi una messinscena, un paravento per nascondere il consolidamento di regimi ibridi o apertamente autoritari, dove l’opposizione non ha voce (come in Russia, o in Iran), e chi prova a farsi sentire viene messo a tacere, spesso definitivamente. L’indagine annuale (pubblicata nel 2023) del Democracy Index, stilata dal settimanale britannico The Economist attraverso la sua divisione di ricerca e analisi (Economist Intelligence Unit, EIU), che classifica lo stato di salute della democrazia in 167 paesi del mondo in base a cinque criteri (processi elettorali e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili) ha rilevato che «più di un terzo della popolazione mondiale è soggetta a un regime autoritario, mentre solo il 6,4% gode di piena democrazia». E nel fondo della classifica troviamo anche paesi dove si terranno elezioni in questo fatidico 2024: Sud Sudan, Tunisia, Mali, Algeria, Ciad, Mozambico, Iran, Pakistan, Russia, Uzbekistan, Azerbaigian, Bielorussia, Venezuela, Corea del Nord. Noi de Il Bo Live cercheremo di seguire al meglio questo anno in cui le democrazie saranno messe alla prova con una nuova serie intitolata "2024: il mondo al voto". In Bangladesh, ad esempio, dove s’è appena votato, la prima ministra uscente Sheikh Hasina ha conquistato il suo quinto mandato (è al potere dal 2009) con una vittoria schiacciante: peccato che l’opposizione non abbia partecipato al voto, denunciando platealmente le pratiche di repressione messe in atto dal governo contro qualsiasi voce “contraria”. Urne semivuote, minacce, perfino spari contro gli attivisti che, per boicottare il voto, avevano improvvisato “posti di blocco” all’esterno dei seggi. Le “elezioni unilaterali” (l’affluenza è stata ufficialmente del 40%, ma c’è chi sostiene che la percentuale sia di molto inferiore) hanno consegnato al partito della premier, l’Awami League, oltre due terzi dei seggi parlamentari.
Attenzione anche ad Algeria e in Tunisia, due tra i paesi che meno brillano per libertà democratiche. Al voto, probabilmente, anche l’Ucraina: e per restare alle aree di guerra occhio a Israele, non inserito nell’elenco delle “scadenze” elettorali, ma con il premier Netanyahu e la sua maggioranza di ultradestra sempre più appesi a un filo. Senza dimenticare le elezioni in India, che l’istituto politico britannico Chatam House ha definito “il più grande esercizio elettorale del mondo, con oltre 900 milioni di elettori registrati”. Il partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP), del premier Narendra Modi, è in cerca del terzo mandato consecutivo, garantendo una sostanziale stabilità del paese al prezzo di una contrazione dei più elementari principi di democrazia, a partire dalla libertà d’espressione. Come scrive Chatam House: «L’Istituto V-Dem, svedese, ha definito l’India una “autocrazia elettorale” poiché i principi democratici, compresa la libertà di espressione, sono stati messi a dura prova. Anche le credenziali laiche del paese sono state messe in discussione poiché i diritti delle minoranze sono stati schiacciati».