È stato un percorso lungo e complesso, per molti versi ancora in atto, ma sembra che finalmente politica e scienza si trovino – almeno su alcuni punti nodali – in sintonia. Da decenni la comunità scientifica sottolinea come le società umane e gli ecosistemi naturali siano – in barba agli assunti teorici del modello economico dominante – inestricabilmente legate le une agli altri; solo di recente, tuttavia, la politica ha iniziato a riservare attenzione a questa importantissima evidenza scientifica, che ha risvolti sociali ed economici di grande rilevanza.
La crisi climatica e la crisi d’estinzione della biodiversità globale non sono più solo un’ombra del futuro, ma una realtà tangibile e quotidiana, con costi economici sempre più gravosi. Tuttavia la crisi ecologica è stata affrontata solo marginalmente, fino a poco tempo fa, dal punto di vista politico. Gli Aichi Targets, gli obiettivi che avrebbero dovuto delineare la strategia internazionale per la tutela della biodiversità nel corso della decade 2011-2020, sono rimasti in gran parte lettera morta; il quadro sulla biodiversità ‘post-2020’ è sul tavolo dei negoziati da più di due anni, ma la COP15 – la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica, che avrebbe dovuto tenersi nel 2020 – continua ad essere prorogata a causa della pandemia, ritardando così il raggiungimento di un accordo internazionale.
Volgendo lo sguardo alla situazione europea, sembra di poter cogliere qualche segnale di speranza. In vista della COP15, e all’interno della più ampia pianificazione legislativa del Green New Deal, nel maggio 2020 l’Unione Europea ha presentato una Strategia per la Biodiversità al 2030 che comprende l’intento di porre sotto protezione il 30% delle aree terrestri e il 30% delle aree marine europee, di incentivare l’agricoltura biologica, proteggere gli animali impollinatori dall’inquinamento, recuperare le aree naturali degradate, riforestare le aree naturali e aumentare il ‘verde urbano’.
Il 22 giugno 2022 rappresenta, secondo molti osservatori, una data storica per le politiche sulla biodiversità: proprio nell’ambito della Strategia per la Biodiversità, la Commissione Europea ha presentato l’ambiziosa proposta per una legge vincolante sul ripristino ambientale (EU Nature Restoration Law). Come sottolineato dal comunicato stampa che accompagna la pubblicazione della proposta di legge, si tratta di un’innovazione assoluta nel campo delle politiche ‘verdi’: è infatti la prima proposta al mondo di questo genere, e qualora venisse adottata dalla Commissione diverrebbe vincolante per gli Stati membri dell’Unione, raggiungendo così un traguardo inedito per quanto riguarda la protezione del mondo naturale.
Our ecosystem is the backbone of our well-being and prosperity.
— European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) June 22, 2022
The Nature Restoration Law will provide over €100 billion to repair damage done to Europe's nature.
The legislation will help avoid ecosystem collapse and prevent the worst impacts of climate change.#EUGreenDeal
Tutelare la funzionalità, la ricchezza e il benessere degli ecosistemi naturali non è soltanto un dovere morale, ma – come riconosce oggi anche l’Unione Europea – un’azione strategica sia sul piano economico, sia sul piano sociale. Queste tre dimensioni – il paradigma dello sviluppo sostenibile lo insegna – sono strettamente correlate. A ben guardare, in effetti, la natura è la cornice e la condizione di possibilità di ogni tipo di sviluppo in campo sociale ed economico, e senza i cosiddetti ‘servizi ecosistemici’ – cioè quella varietà di funzioni che gli ecosistemi garantiscono gratuitamente – ogni aspetto del nostro benessere sarebbe impossibile. Dipendiamo in modo essenziale dalla natura, ed è dunque imperativo – anche in una prospettiva meramente utilitaristica – fare tutto quel che è in nostro potere perché l’estesa degradazione causata dalle attività umane venga mitigata e, laddove possibile, invertita.
Tra le principali novità di questa proposta di legge europea, va segnalata innanzitutto la natura vincolante dell’accordo: mentre gli obiettivi fissati al 2020 erano adottati e perseguiti unicamente su base volontaria, in questo caso gli obiettivi (sia quelli comunitari, sia quelli nazionali) e il loro raggiungimento sarebbero vincolanti, e gli Stati membri avrebbero l’obbligo, una volta recepito il regolamento, di inviare rapporti annuali sui progressi e l’attuazione delle misure previste.
Bisogna sottolineare, inoltre, che il fine di questo provvedimento legislativo è tutelare e ripristinare la buona salute degli ecosistemi e della biodiversità europei non tanto nel breve, quanto nel medio e nel lungo periodo. Gli obiettivi, infatti, sono fissati al 2030 e al 2050, con l’intento di garantire risultati duraturi nel tempo.
Vi sono, infine, gli obiettivi veri e propri. Questi sono definiti in conformità con gli accordi sulla biodiversità già stipulati a livello globale ed europeo, come i Sustainable Development Goals relativi alla biodiversità, la Convenzione sulla Diversità Biologica, il Green New Deal europeo e la EU Biodiversity Strategy for 2030, e tenendo in considerazione le raccomandazioni e le conoscenze scientifiche contenute nei lavori dell’IPCC e dell’IPBES. Uno dei principali presupposti teorici e scientifici di questo Regolamento, inoltre, è che «Gli ecosistemi ricchi in biodiversità, come zone umide, acque dolci, foreste, aree agricole, a bassa vegetazione, ecosistemi marini, costieri e urbani forniscono, se in buono stato, numerosi servizi ecosistemici essenziali; i vantaggi di riportare a condizioni ottimali gli ecosistemi degradati in tutte le zone terrestri e marine superano di gran lunga i costi del ripristino. Tali servizi contribuiscono a un’ampia gamma di benefici socioeconomici, a seconda delle caratteristiche economiche, sociali, culturali, regionali e locali».
In questa proposta, tutto è incentrato sull’implementazione di una tutela ‘attiva’, che miri cioè non solo a proteggere l’esistente, ma anche – e soprattutto – a recuperare ciò che si trova in condizioni degradate. Questi, in sintesi, gli obiettivi proposti:
- Tutti gli Stati membri sono chiamati ad attuare misure di ripristino negli habitat terrestri e d’acqua dolce oggetto d’interesse (il testo segue la Direttiva Habitat del 1992 e la Rete Natura 2000) per migliorarne le condizioni, intervenendo almeno sul 30% delle aree entro il 2030, almeno sul 60% entro il 2040 e almeno sul 90% entro il 2050; queste stesse misure di ripristino dovranno essere attuate, entro gli stessi termini, anche sulle aree degradate che non rientrano nella lista degli habitat protetti. Le attività di ripristino devono mirare a migliorare la quantità e la funzionalità della biodiversità locale.
- Gli stessi obiettivi di ripristino sono applicati agli ecosistemi marini, sia protetti che non protetti, con una particolare attenzione alle praterie marine e ad alcune specie iconiche, come delfini, squali, uccelli marini.
- Gli Stati membri dovranno assicurare che, nelle aree urbane, la perdita netta di aree verdi sia pari a zero entro il 2030; questi ‘polmoni urbani’ dovranno anzi essere ampliati fino a corrispondere almeno al 3% della superficie cittadina entro il 2040 e almeno al 5% entro il 2050.
- Anche in risposta ai sempre più frequenti eventi meteorologici estremi, in larga parte riconducibili al cambiamento climatico, gli Stati membri dovranno impegnarsi a migliorare la connettività delle acque superficiali: l’obiettivo, fissato al 2030, è di riportare allo stato naturale almeno 25.000 km di argini fluviali lasciando i fiumi liberi di fluire.
- Grande importanza è data alla tutela delle specie di impollinatori (in particolar modo gli insetti), che forniscono un ‘servizio ecosistemico’ essenziale e che, negli ultimi anni, stanno subendo un rapido ed esteso declino: questo dovrà essere fermato entro il 2030, e da quel momento si lavorerà ad invertire la tendenza demografica negativa.
- Non solo nelle aree cosiddette ‘incontaminate’, ma anche nelle aree agricole la Commissione Europea progetta di ripristinare ed aumentare la biodiversità: ciò comprende una serie di misure, tra cui la protezione degli uccelli di campagna e delle farfalle, le cui popolazioni sono da tempo in declino, e il miglioramento della qualità dei suoli. Inoltre, si propone il riallagamento di una parte delle aree bonificate, così da preservare e recuperare alcune delle zone umide.
- In linea con la Farm to Fork Strategy, la proposta contiene anche un piano (anch’esso vincolante) per ridurre drasticamente l’utilizzo dei pesticidi nelle coltivazioni: il loro utilizzo dovrà calare del 50% nel 2030, e si dovrà dare in ogni caso priorità a metodi biologici di controllo degli infestanti, ricorrendo a soluzioni chimiche solo come ultima possibilità. Inoltre, l’impiego di pesticidi sarà vietato in zone definite ‘sensibili’, come le aree verdi urbane, spazi pubblici, aree naturali protette.
Today, we present a pioneering proposal to bring Nature back in Europe!
— Virginijus Sinkevičius (@VSinkevicius) June 22, 2022
The first ever Nature Restoration Law.
One that responds to the emergency we face.
To cover at least 20% of land and sea by 2030 and all ecosystems in need by 2050.https://t.co/1svOqYP26q pic.twitter.com/7hyANYkCho
Il prossimo passo – molto atteso in particolare da associazioni e organizzazioni per la tutela della biodiversità e dalla società civile – sarà la discussione della proposta al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri dell’Unione Europea; solo con l’adozione, che dovrebbe arrivare a conclusione di questo iter legislativo, il regolamento diventerà vincolante per tutte le nazioni europee. I suoi effetti, certo, non saranno subito visibili: il recupero di ecosistemi degradati è un processo lento, che deve tenere conto della complessità e delle interazioni tra i fattori coinvolti. Tuttavia, i benefici che potremo trarre da scelte politiche lungimiranti come questa saranno molti, e probabilmente cominceremo ad apprezzarli già prima del 2030, se tutti gli attori coinvolti faranno la propria parte.
Come ha affermato Virginijus Sinkevičius, commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca, in occasione della presentazione di questa proposta: «I cittadini europei sono stati chiari: vogliono che l’Unione Europea si impegni concretamente in favore della natura e la riporti nelle loro vite. Gli scienziati sono stati altrettanto chiari: non c'è tempo da perdere, la finestra d'azione si sta chiudendo. Ed è chiaro anche il risvolto economico: per ogni euro speso per il ripristino, ne guadagneremo almeno otto. Questo è lo scopo di questa storica proposta: ripristinare la biodiversità e gli ecosistemi in modo da poter vivere e prosperare insieme alla natura. Si tratta di una legge che riguarda tutti i cittadini europei e le generazioni future, per realizzare un pianeta sano e un'economia sana. È la prima nel suo genere a livello globale e ci auguriamo che possa ispirare un elevato impegno internazionale per la protezione della biodiversità nella prossima COP15».
Non possiamo che condividere questa speranza.