Molto è già stato detto sulla guerra tra Russia e Ucraina e su tutto ciò che stanno passando i cittadini assediati, ai quali va, naturalmente tutta la nostra solidarietà.
Alcuni recenti fatti di cronaca, però, fanno pensare che non sia altrettanto chiara la situazione degli omologhi russi, che meriterebbero a loro volta solidarietà e diventano invece vittime di violenza, verbale e in alcuni casi purtroppo anche fisica.
Come succede in qualsiasi paese, una parte degli abitanti non è d'accordo con le scelte del governo, quindi è piuttosto miope dare per scontato che, quando abbiamo davanti un cittadino russo, questi debba per forza condividere le scelte del presidente Putin.
E bisogna anche tenere presente che la Russia non è un paese in cui viene tutelata la libera espressione e in cui si può esprimere il proprio dissenso: anche se chiamiamo Vladimir Putin "presidente", sarebbe sbagliato pensare di trovarsi di fronte a un paese democratico. Se il caso Navalny non bastasse, ricordiamo che la Russia nel 2019 era al 149esimo posto della classifica per la libertà di stampa, e il dato è in attesa di aggiornamento dopo gli ultimi fatti.
È quindi lecito aspettarsi che molti cittadini siano in realtà contrari alla guerra, ma che non abbiano il coraggio di esporsi pubblicamente.
Anche nel caso delle sanzioni inflitte dai paesi esteri, si può essere o meno d'accordo nel complesso, ma è innegabile che, oltre a colpire Putin e gli oligarchi, hanno un impatto altissimo sulla vita di tutta la popolazione: alcuni imprenditori che si rivolgevano a un mercato europeo si sono visti costretti a chiudere il loro business, o quantomeno sospenderlo, dall'oggi al domani, anche se magari non avrebbero mai voluto che il loro paese ne attaccasse un altro. E in ogni caso, anche se parlassimo di imprenditori filo-putiniani, non dobbiamo dimenticare i dipendenti delle loro aziende, che magari non condividono le scelte politiche dei capi e che si sono ritrovati a piedi senza neppure dei risparmi su cui contare.
Per comprendere meglio queste dinamiche, abbiamo intervistato Graziosa Pancot, figlia di madre russa e padre italiano, che viveva a Mosca con il marito russo quando è stata sorpresa dalla notizia dell'invasione dell'Ucraina.
Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello
Quando hanno appreso la notizia hanno passato le 12 ore successive a cercare informazioni. Fidarsi della televisione, naturalmente, era fuori discussione, anche se, come conferma Pancot, molti russi si affidano ancora alle notizie ufficiali, ignorando forse il livello di controllo a cui devono sottostare. "Trovare le informazioni è possibile, se si sa dove cercarle - spiega Pancot - ma i cittadini anziani e anche alcuni tra i giovani tendono a fidarsi molto della tv, che però è controllata dal governo, quindi tutte le informazioni che si trovano lì sono filtrate e non si riesce quindi ad avere versioni diverse, a meno che non si vada a cercarle". Questa censura dei media però è solo una delle facce di un atteggiamento generale, ostile al dissenso: un altro esempio di quanto sia rischioso esprimersi pubblicamente è quello delle manifestazioni. Che in realtà non si possono definire vere e proprie manifestazioni: le persone si trovano insieme per "passeggiare", mettendosi d'accordo tramite social (a volte si viene a conoscenza di una di queste passeggiate semplicemente perché un tuo contatto si è geolocalizzato in un determinato luogo) e nonostante non stiano facendo nulla di violento i partecipanti rischiano di essere arrestati anche solo per un cartello o, ancor peggio, per il solo fatto di essere presenti nel luogo in oggetto: "Io - dice Pancot - non ho mai manifestato proprio per paura delle conseguenze: ci sono stati alcuni nostri amici che fortunatamente non sono mai stati arrestati, però hanno dovuto correre per riuscire a scappare prima di essere presi. Noi abitavamo in centro a Mosca e un giorno sotto casa c'era un affollamento di persone che passeggiavano mentre noi stavamo tornando a casa. Lungo tutta la via c'era una miriade di macchine della polizia, saranno state una ventina, e mi sono venuti i brividi pensando di poter essere fermata solo perché passavo di là".
Oltre alla paura quotidiana c'era la questione economica: i clienti e i collaboratori di Pancot sono italiani, quindi il blocco Swift era un problema serio perché impediva qualsiasi forma di pagamento in entrata e in uscita. Come se non bastasse, il marito rischiava di essere arruolato da un giorno all'altro: Putin aveva fornito rassicurazioni in questo senso, ma parliamo di un presidente che si ostina a dichiarare che non c'è una guerra in corso nonostante bombardamenti e morti, quindi la situazione poteva evolversi in ogni momento, e non nel migliore dei modi, tanto più che i generi di prima necessità cominciano a essere razionati e i prezzi salgono molto velocemente.
Per questi motivi Pancot e suo marito hanno deciso di fuggire in Italia. Salvo questioni prettamente organizzative, non è stato troppo difficile, ma viene da pensare che il doppio passaporto di lei non abbia giocato un ruolo indifferente: mentre Pancot e il marito sono stati fatti passare senza grossi problemi, un ragazzo in coda insieme a loro si è sentito chiedere addirittura il biglietto di ritorno, assieme a una lista di altre domande sulle ragioni dello spostamento.
Sicuramente non siamo ancora ai livelli della Guerra Fredda, ma a oggi Pancot non sa se riuscirà mai a riabbracciare i suoi familiari rimasti in un paese che al momento non è un post sicuro per i suoi cittadini, che magari non hanno la fortuna di avere la doppia cittadinanza. Certo, non è come stare sotto le bombe, ma sarebbe sbagliato sminuire una sensazione di ansia generalizzata come quella che deve affrontare ogni giorno chi è rimasto, e non si è mai espresso a favore di colui che ha dato inizio a tutto questo.