In Italia ne soffre il 23% delle donne oltre i 40 anni di età e il 14% degli uomini con più di 60 anni. Complessivamente circa cinque milioni di individui sono affetti da osteoporosi, una malattia sistemica dell’apparato scheletrico che causa il deterioramento del tessuto osseo e un aumento del rischio di fratture per traumi anche lievi. Si tratta di una patologia che, nel tempo, ha via via interessato un numero sempre maggiore di persone e continuerà a farlo, se si considera l’aumento della prevalenza con l’avanzare dell’età, il progressivo invecchiamento della popolazione e i cambiamenti nelle abitudini di vita. E aumenteranno, di conseguenza, sia la prevalenza che l’incidenza delle fratture da fragilità correlate. Secondo quanto riportato dall’International Osteoporosi Foundation, 158 milioni di individui nel 2010 erano ad alto rischio di frattura, ma si stima che entro il 2040 questa cifra sia destinata a raddoppiare proprio a causa dei cambiamenti demografici. Con prevedibili e significativi costi sociali ed economici.
Osteoporosi e principali fattori di rischio
“L’osteoporosi è una condizione di alterazione della quantità e della qualità del tessuto osseo – approfondisce Maurizio Rossini, presidente della Società italiana dell’Osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms), direttore dell’unità operativa complessa di Reumatologia dell'azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e della scuola di specializzazione in Reumatologia dell'università di Verona –. La funzione non esclusiva del tessuto osseo è quella di sorreggere il corpo e se la sua struttura (anche in termini quantitativi, non solo qualitativi) si deteriora, tale funzione viene meno e si può andare incontro a fratture per traumi vari o addirittura spontaneamente col solo peso del proprio corpo”.
A essere interessati in maggior misura da fratture da fragilità ossea sono il femore e l’omero prossimale, le vertebre, la caviglia e il polso. Le fratture alle vertebre sono le più frequenti, specie nella donna in menopausa. Nei due terzi dei casi sono asintomatiche e vengono individuate attraverso radiografie eseguite per altre ragioni: “Si dice spesso che l'osteoporosi è una ‘ladra silente’ – continua il presidente della Siommms –, perché il deterioramento osseo può essere nascosto, silente, latente, non dare nessun sintomo e la prima manifestazione può essere la frattura di un polso, di costole, di una vertebra: può essere questo il primo segno della presenza da anni di una condizione osteoporotica. Per tale motivo è importante, se possibile, arrivare a una diagnosi prima della complicazione fratturativa”.
Intervista completa a Maurizio Rossini, presidente Siommms. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello
Bisogna conoscere i fattori di rischio che predispongono all'osteoporosi e quindi condividere con il medico la storia del paziente, per capire se esiste qualche caratteristica, qualche patologia, l'uso di qualche farmaco, o altre particolari condizioni che potrebbero indurre allo sviluppo di osteoporosi: l'avanzare dell’età è certamente un fattore importante di evoluzione verso la malattia che tuttavia, a volte, compare anche in età giovanile. Anche la familiarità va inclusa tra i fattori di rischio non modificabili. La malattia, inoltre, tende a manifestarsi con maggiore frequenza tra la popolazione europea, nordamericana e asiatica e, si è visto, tra le donne. Le ragioni per cui il genere femminile è maggiormente interessato da problemi di osteoporosi sono essenzialmente due, spiega Rossini: “La prima è una motivazione strutturale, genetica: le donne hanno uno scheletro più esile di quello degli uomini e quindi è più facile arrivare a una condizione di fragilità. La seconda causa che espone maggiormente il genere femminile a rischio di osteoporosi è la situazione di carenza ormonale, in particolare di estrogeni (importanti e protettivi per il tessuto osseo), che viene a verificarsi in menopausa”.
Accanto a questi, esistono però anche altri fattori di rischio correlati invece in buona parte allo stile di vita e come tali modificabili: possono aumentare la predisposizione all’osteoporosi una dieta povera di calcio, di frutta e verdura o troppo ricca di proteine, la carenza di vitamina D, o una vita troppo sedentaria. Anche l’eccesso di fumo, di alcol, di caffeina o sodio possono costituire un fattore di rischio. Possono avere un peso infine anche molte malattie, perché magari richiedono l’impiego di medicinali che hanno effetti negativi sullo scheletro o perché comportano una riduzione della mobilità. Ne sono esempio le patologie autoimmuni, i disturbi digestivi e gastrointestinali, le malattie del sistema endocrino, e i disturbi del comportamento alimentare.
Diagnosi e trattamenti
La diagnosi di osteoporosi avviene principalmente attraverso la densitometria ossea, una tecnica radiologica che valuta la quantità di calcio presente nel tessuto scheletrico. “Oggi abbiamo anche delle tecniche nuove di tipo ultrasonografico, che non richiedono l'uso di raggi, e si possono praticare a livello del calcagno o delle falangi. Inoltre all’università di Verona, in collaborazione con l’università di Siena, è stato sviluppato un nuovo strumento ecografico di valutazione della densità minerale a livello delle ossa più importanti, clinicamente più rilevanti, cioè la colonna vertebrale e il femore. E questa nuova tecnica presto potrà essere disponibile”.
Sebbene l’osteoporosi sia una malattia da cui non si può guarire, esistono trattamenti che permettono di arrestarne la progressione o di aumentare la densità dello scheletro. Il primo fattore da valutare è l’introito di calcio e vitamina D nel paziente, intervenendo per correggere una eventuale mancanza. La principale funzione della vitamina D è infatti quella di favorire l'assorbimento di calcio a livello intestinale: per questa ragione quando manca, viene assorbito meno calcio e l'osso demineralizza. “Esistono poi medicinali che vanno ad agire sulle cellule che ristrutturano l'osso. Nonostante l'apparenza, infatti, l’osso è uno dei tessuti più attivi che abbiamo: ci sono cellule che demoliscono l'osso vecchio, altre che ne formano di nuovo, e ci sono cellule che regolano questa attività: sono rispettivamente gli osteoclasti, gli osteoblasti e gli osteociti”. Ebbene la terapia scelta, a seconda dei casi, andrà a moderare l’attività delle cellule che riassorbono l’osso o a stimolare quelle che invece generano nuovo tessuto osseo. “Tra poco inoltre, grazie all’attività di ricerca condotta all’università di Verona, in collaborazione con l'università di Padova, con il professor Sandro Giannini in particolare, avremo a disposizione un farmaco che riesce contemporaneamente a rallentare l'attività degli osteoclasti, e a stimolare quella degli osteoblasti”.
È possibile prevenire l’osteoporosi?
Considerata la prevalenza dell’osteoporosi, specie fra le donne, e l’impatto sanitario e sociale che la malattia può avere, fare prevenzione diventa cruciale, a cominciare dall’età giovanile. L’attività fisica, per esempio, garantisce un buon mantenimento della funzione e della struttura ossea a ogni età. Nei più giovani, durante l’infanzia e l’adolescenza, permette di raggiungere una maggiore densità dell’osso rispetto a chi è più sedentario, mentre negli anziani il movimento tiene in allenamento la forza muscolare, diminuendo il rischio di cadute (e quindi di eventuali fratture). Per essere efficace nella prevenzione dell’osteoporosi, però, l’esercizio fisico deve prevedere un carico meccanico, il corpo cioè deve lavorare contro la forza di gravità: secondo quanto riportato dalla Siommms, per esempio, la semplice azione di salire e scendere le scale può rivelarsi molto utile, mentre il nuoto (al contrario di altre attività come la danza o la ginnastica) non sarebbe molto indicato proprio perché l’acqua sostiene il peso corporeo.
Non è da trascurare ovviamente l’alimentazione attraverso la quale garantire all’organismo un adeguato apporto di calcio e vitamina D. È stato rilevato, per esempio, che un introito giornaliero di calcio inferiore a 700-800 mg. è correlato a una ridotta massa ossea, con conseguente aumento del rischio di fratture.
“Ci sono sicuramente degli alimenti, tra cui i latticini in particolare – osserva Rossini –, che danno un grosso contributo in termini di calcio e ci sono eventualmente anche delle acque minerali”. Anche alcuni tipi di pesce contengono discrete quantità di calcio, molte verdure verdi e certi tipi di legumi. Per l’assorbimento del calcio e la mineralizzazione dell’osso però è indispensabile, come si è visto, la vitamina D. Tuttavia, pochi alimenti la contengono in quantità significativa: i più ricchi sono i pesci grassi, le uova, il fegato e come si è detto i latticini. La vitamina D, tuttavia, può essere prodotta anche dal nostro organismo: per l’80-90% è prodotta a livello della cute, quando ci si espone ai raggi ultravioletti del sole. “Dunque è importante un’adeguata esposizione solare, anche se purtroppo con l’avanzare dell’età, già dai 65 anni in poi, la capacità della nostra cute di produrre vitamina D si riduce. Da quest’età in poi, pertanto, si deve quasi sempre ricorrere a dei supplementi di vitamina D, in particolare nei mesi nei quali l’esposizione solare è ridotta”. In termini di prevenzione, è importante poi cercare di mantenere un giusto peso forma, evitando il sovrappeso o l’eccessiva magrezza, limitare l’alcol ed evitare il fumo che, come si è visto, costituiscono dei fattori di rischio per l’osteoporosi: il fumo e l’alcol, in particolare, influiscono negativamente sul metabolismo osseo, dato che inibiscono l’attività degli osteoblasti, stimolando invece quella degli osteoclasti.
I costi sociali ed economici dell’osteoporosi
Contrastare l’insorgere della malattia attraverso la promozione di opportune misure di prevenzione è necessario anche per ridurre i costi sociali ed economici della fragilità scheletrica. “Si stima un costo annuale diretto e non diretto, sia per la gestione delle fratture che per tutte le conseguenze delle fratture in termini di disabilità, di circa nove miliardi di euro – sottolinea Maurizio Rossini – e questi costi sono destinati ad aumentare se si considera l'invecchiamento progressivo della popolazione. Pertanto, se non faremo una prevenzione adeguata delle fratture da fragilità conseguenti ad osteoporosi, si valuta che arriveremo a spendere 12 miliardi nel 2030”. Le conseguenze non sono solo di tipo economico, ma anche sociale dato che l’impatto della disabilità causata dalle fratture (di vertebra o di femore, per esempio) è irreversibile. Stando ai dati del ministero della Salute, il 20% dei soggetti con frattura del femore perde definitivamente la capacità di camminare autonomamente e solo il 30-40% torna alle condizioni precedenti la frattura. “Cambia la qualità di vita di un paziente con questo tipo di complicanze. Le fratture vertebrali possono provocare cifosi importanti e dolore cronico, oltre che esporre al rischio di essere ricoverati in istituti di lungodegenza o Rsa”. Senza contare le ripercussioni sulle famiglie che si trovano a dover gestire un paziente con difficoltà e limitazioni talora significative.