Al Natural History Museum di Londra. Foto: Bruno Martins/Unsplash
L’Ottocento è l’epoca delle grandi esplorazioni scientifiche: naturalisti e scienziati europei partono alla volta degli angoli più remoti del pianeta per scoprire l’infinita diversità delle forme viventi che popolano la Terra, e che fino a quel momento erano rimaste in larga parte sconosciute.
Ma a solcare i mari del pianeta, in quei decenni, non sono solo le navi da spedizione. Tali missioni, infatti, generano un vero e proprio traffico transoceanico: gli esploratori, spesso inviati in giro per il mondo su finanziamento di grandi istituzioni scientifiche europee, hanno un compito ben preciso, che è la raccolta di un vastissimo numero di campioni per documentare la varietà di forme viventi incontrate. Questi strani carichi, colmi di esemplari trattati con la tecnica della tassidermia o essiccati per garantirne la conservazione, vengono infatti spediti alle istituzioni scientifiche finanziatrici delle spedizioni, che possono in tal modo arricchire le proprie collezioni.
«Il XIX secolo è l’epoca d’oro delle collezioni scientifiche e dei musei di storia naturale», spiega Elena Canadelli, professoressa di Storia della scienza all’università di Padova e presidente della Società Italiana di Storia della Scienza (SISS). «Le collezioni naturali hanno origine nel periodo rinascimentale, con gli eclettici gabinetti naturalistici assemblati da grandi studiosi come il bolognese Ulisse Aldrovandi. Tali collezioni, tuttavia, acquisiscono valore scientifico solo successivamente, quando, intorno alla metà del Settecento, vengono fondate scienze come la sistematica e si avverte un’esigenza classificatoria a cui le collezioni naturalistiche rispondono.
L'intervista completa a Elena Canadelli. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
Nell’Ottocento, poi, si vanno formando le moderne scienze della vita: le esplorazioni e la raccolta di esemplari diventano un mezzo per studiare la natura alla luce delle nuove grandi teorie scientifiche. I musei di storia naturale, dunque, hanno sempre più bisogno di materiale naturalistico per dare una forma al mondo naturale oggetto delle proprie ricerche».
Oggi, tuttavia, la situazione è molto diversa: la formazione, soprattutto dalla seconda metà del Novecento, di nuove discipline biologiche, come la genetica e la biologia molecolare, ha cambiato profondamente il modo di studiare il mondo naturale, e il lavoro sul campo del naturalista ha perso la sua preminenza.
In un articolo pubblicato sulla rivista scientifica PLOS Biology, tre ricercatori statunitensi pongono l’accento sul fatto che tale cambiamento di paradigma nell’approccio allo studio delle scienze della vita getti un’ombra sul futuro delle grandi collezioni scientifiche occidentali. Nel corso degli anni, affermano i ricercatori, l’accrescimento delle collezioni scientifiche si è pressoché fermato: tra il 1965 e il 2018, il tasso di aggiunta di nuovi esemplari riferito a quattro diversi gruppi di vertebrati ha registrato un declino tra il 54 e il 76%; per diversi taxa di vertebrati, il tasso di raccolta – sottolineano ancora gli autori dell’articolo – è sceso così precipitosamente che oggi tale attività è praticata in misura inferiore rispetto a quanto accadesse durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma perché questa preoccupazione? Quali sono le potenziali ricadute scientifiche dell’abbandono della pratica di collezionare esemplari fisici in grandi archivi, e quali le motivazioni di questo rapido declino?
«Il declino delle collezioni è indubbiamente dovuto al cambiamento degli equilibri tra le scienze naturali classiche e le scienze biologiche realizzatosi nell’ultimo secolo. L’apertura di nuovi ambiti di ricerca prima inesistenti, come l’etologia o l’ecologia, hanno modificato ancora il paradigma e le domande che guidano la ricerca sulla natura. Rimane il fatto che i musei naturalistici sono ancora oggi istituzioni di grande importanza scientifica, dove si porta avanti la cosiddetta – importantissima – ricerca di base; le collezioni naturali, inoltre, sono insostituibili archivi di biodiversità», afferma Canadelli.
Gli autori dell’articolo su PLOS Biology (che è anche un appello a preservare e a dare nuova linfa a queste importanti entità scientifiche) difendono, dal canto loro, l’importanza delle collezioni proprio in virtù del loro valore euristico: i dati basati sull’osservazione o sulla raccolta di campioni ‘non letali’ (che non implicano l’uccisione dell’animale) sono meno informativi, soprattutto nel breve periodo.
Foto: Nachtmusiki/Unsplash
Al di là del cambiamento metodologico avvenuto in biologia, inoltre, molti oppongono una motivazione etica alla raccolta di esemplari: uccidere il singolo individuo per scopi scientifici, si sostiene, non è giustificabile. Tuttavia, sottolineano i ricercatori, questa argomentazione non tiene conto di quel che viene perso rinunciando a questa pratica: sono molti, effettivamente, i casi in cui esemplari raccolti molto tempo fa hanno giocato un ruolo essenziale in scoperte che, con gli strumenti disponibili al tempo della loro raccolta, sarebbero state impossibili sia dal punto di vista tecnologico che sul piano teorico. Ciò potrebbe avvenire anche in futuro, con l’emergere di nuove conoscenze e nuove possibilità tecniche. Preservare e accrescere le collezioni già esistenti, dunque, significa lasciare alle future generazioni un’importante eredità in termini di conoscenze.
Come specifica Canadelli, «le collezioni attualmente esistenti, assemblate soprattutto nell’Ottocento, rappresentano un vasto database ricchissimo di informazioni circa l’evoluzione e la storia biologica di diverse specie, con preziose informazioni biogeografiche e morfologiche. Avere una simile serie storica è importante non solo ai fini della ricerca di base: alla luce dell’attuale crisi globale di biodiversità, tali informazioni sono fondamentali anche per comprendere l’entità del problema, per avere idea di quello che stiamo perdendo. Sarebbe utile, ad esempio, aggiungere alle collezioni esemplari di specie attualmente a rischio, così da avere un record affidabile e durevole di quello che potrebbe andare perduto nei prossimi decenni».
«Certo – prosegue la professoressa – l’incremento delle collezioni oggi deve seguire standard ben più precisi rispetto al passato: le questioni etiche hanno una loro rilevanza, e devono essere tenute in considerazione. L’ICOM (International Council of Museums), ad esempio, ribadisce che l’accrescimento delle collezioni deve rispettare i criteri primari di legalità, assicurandosi in primo luogo che gli esemplari non provengano da canali illegali, come il traffico internazionale di specie selvatiche, estremamente dannoso per la biodiversità. Ancor prima di questo, tuttavia, è essenziale che l’accrescimento delle collezioni sia sostenibile per le stesse istituzioni scientifiche: la conservazione di tali archivi è molto impegnativa, non soltanto in termini economici, ed è necessario trovare un bilanciamento tra l’impegno in termini di manutenzione e l’avanzamento nella ricerca».