SOCIETÀ

Schiavitù: "Le nazioni europee paghino per i crimini commessi"

Il termine “riparazione” può sembrare perfino riduttivo, se paragonato all’enormità del fenomeno della tratta transatlantica degli schiavi, una delle piaghe più dolorose e profonde della storia dell’umanità. Il rapimento sistematico e la deportazione di milioni di giovani, donne e uomini, africani e caraibici, che per secoli, e per sfoggio di pura sopraffazione, si sono ritrovati “proprietà” dei commercianti europei, esaltati dalle possibilità che l’era coloniale offriva loro e che certo non usavano le buone maniere per comprarsi la merce migliore. Si calcola che tra il XV e il XIX secolo siano state deportate (soprattutto nelle Americhe, ma anche in Europa) tra i 25 e i 30 milioni di persone (cifra indicata dall’Onu, ma le stime variano), al netto dell’altissimo numero dei morti durante le traversate atlantiche, per non dire delle incalcolabili e atroci violenze individualmente subìte. Una tratta che in quell’epoca era dominata principalmente dalla Gran Bretagna e dal Portogallo, anche se enormi responsabilità storiche ricadono sugli Stati Uniti e, in Europa, sulla Francia, sui Paesi Bassi, sulla Spagna, in percentuale minore anche su Svezia e Danimarca. È storia, e non può essere cancellata. Ma affrontata sì: ed è proprio questa la richiesta che arriva dal Ghana, dove un vertice al quale hanno partecipato 55 nazioni dell’Unione Africana e i 20 Paesi della Comunità dei Caraibi (Caricom) si è concluso pochi giorni fa con una richiesta dirompente, votata all’unanimità: «Le nazioni europee devono pagare per i crimini di massa compiuti». Un “fronte unito” che si propone di “correggere le ingiustizie storiche e garantire il pagamento delle riparazioni”. Ad aprire il vertice è stato il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, che ha pronunciato parole ferme: «L’intero periodo della schiavitù ha significato che il nostro progresso, economicamente, culturalmente e psicologicamente, è stato soffocato. Ci sono legioni di storie di famiglie che sono state distrutte. Non si possono quantificare gli effetti di tali tragedie, ma bisogna riconoscerle. L’intero continente africano merita scuse formali da parte delle nazioni europee coinvolte nella tratta degli schiavi. Nessuna somma di denaro potrà riparare i danni causati, e le conseguenze provocate, ma sicuramente questo è un tema che il mondo deve affrontare e che non può più ignorare».

Denaro, ma non soltanto

I delegati hanno concordato inoltre sulla necessità di istituire un “Fondo di riparazione globale” dove raccogliere i risarcimenti, per quei milioni di africani ridotti, nei secoli, in schiavitù. «L’importo richiesto per il risarcimento sarà deciso attraverso un accordo negoziato che andrà a beneficio delle masse», ha precisato Nkechi Taifa, direttore del Reparation Education Project, associazione con sede negli Stati Uniti, in una dichiarazione che indirettamente mette in evidenza le enormi difficoltà, visto il tempo trascorso, nell’individuare con precisione sia i discendenti degli schiavi, sia quelli dei colpevoli. Secondo molti attivisti le “riparazioni” dovrebbero andare anche oltre i pagamenti finanziari diretti per includere anche aiuti allo sviluppo per i paesi, la restituzione delle risorse colonizzate e la correzione delle politiche e delle leggi oppressive.

La questione è stata recentemente affrontata anche dalle Nazioni Unite, che lo scorso settembre ha pubblicato un rapporto dettagliato nel quale esorta «gli Stati a mostrare una forte leadership e volontà politica nell’affrontare le conseguenze durature della schiavitù, della tratta degli schiavi africani e del colonialismo». La locuzione “conseguenze durature” è particolarmente importante: vuol dire che, anche secondo l’Onu, secoli dopo la fine della tratta degli schiavi, «le persone di origine africana in tutto il mondo continuano a essere vittime di discriminazioni razziali sistemiche e attacchi razziali». Epsy Campbell Barr, ex vicepresidente del Costa Rica, oggi a capo del Forum permanente sulle persone di origine africana, ha confermato all’Associated Press: «Le eredità del colonialismo, della schiavitù e dell’apartheid sono ancora vive oggi. Eredità che hanno ancora un impatto reale, sulla vita di milioni di persone di origine africana, che sono più esposte alla violenza, più esposte anche alle disparità sanitarie, a causa del profondo impatto che il razzismo e la discriminazione razziale hanno sulla salute fisica e mentale delle persone».

Debiti iperbolici per Usa, Uk e Portogallo

Riparazioni, d’accordo, ma come calcolarle? Un indicatore interessante emerge dalla lettura del “Rapporto sulle riparazioni per la schiavitù transatlantica nelle Americhe e nei Caraibi”, realizzato pochi mesi fa da un team di giuristi, economisti e storici del Brattle Group. Che, sulla base di uno studio approfondito del diritto internazionale, ha stabilito una tabella dei risarcimenti che, in teoria, sarebbero dovuti. Ebbene la cifra indicata nel rapporto, che nell’introduzione porta la firma del giudice Patrick Robinson, della Corte Internazionale di Giustizia, è esorbitante: calcolando sia i danni provocati durante la schiavitù, sia nei decenni successivi, il costo globale della tratta degli schiavi potrebbe raggiungere i 131 trilioni di dollari (vale a dire 120 miliardi di miliardi di euro). Scrive Brattle: «Il team ha quantificato alcuni elementi di riparazione in una forbice tra i 100 e i 131 trilioni di dollari. Questi risarcimenti sono divisi per due categorie di danni: quelli durante il periodo in cui è stata praticata la schiavitù dei beni mobili (tra i 77 e i 108 trilioni di dollari) e i danni continui post-schiavitù (23 trilioni di dollari). Secondo le nostre stime, i danni durante il periodo di schiavitù sono stati inflitti a 19 milioni di persone nell’arco di quattro secoli, compresi gli africani rapiti e trasportati nelle Americhe e nei Caraibi e quelli nati in schiavitù, per un totale di 802 milioni di anni di vita da risarcire». Per avere un’idea di grandezza della cifra indicata: il Pil (prodotto interno lordo) del mondo intero, nel 2019, è stato di 103 trilioni di sterline, circa 129 trilioni di dollari. Nella classifica delle nazioni più esposte nei risarcimenti, al primo posto ci sono gli Stati Uniti (26,8 trilioni di dollari), seguiti dal Regno Unito (24 trilioni di dollari) e da Portogallo (20,6), poi Francia (9,3), Spagna (7,1) e Paesi Bassi (4,9).

Il giudice Patrick Robinson, noto per aver presieduto il processo all’ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, interpellato dalla Bbc ha anche precisato che il “debito” del Regno Unito per i crimini commessi durante il periodo della schiavitù era di certo “sottostimato”: «Una volta che uno Stato ha commesso un atto illecito, è obbligato a pagare un risarcimento. Sono stupito che alcuni paesi responsabili della schiavitù pensino di poter nascondere la testa sotto la sabbia». Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha commentato così: «La tratta transatlantica degli schiavi rimane l’atto più degradante e prolungato di sfruttamento umano mai commesso. Non ci dovrebbero essere dubbi o smentite sulla portata del coinvolgimento della Gran Bretagna in questo esperimento depravato». Di segno opposto la reazione del premier britannico Rishi Sunak, che lo scorso aprile ha rifiutato di “scusarsi”, tantomeno aprendo alla possibilità di risarcimenti: «No, credo sia meglio assicurarci di avere una società che sia inclusiva e tollerante nei confronti delle persone di ogni provenienza. Cercare di smantellare la nostra storia non è la strada giusta da seguire, e non è qualcosa su cui concentreremo le nostre energie».

Le nazioni non “riparano”, le Università sì

Questo per dire che se da un lato il Rapporto Brattle ha riacceso gli entusiasmi tra gli attivisti dei movimenti favorevoli alle “riparazioni” (dallo statunitense Institute of the Black World 21st Century fino al britannico APPG-AR), resta assai improbabile che i governi coinvolti accettino le sue conclusioni, soprattutto nella quantificazione delle cifre dovute (se fossero pagate per intero manderebbero in bancarotta immediata qualsiasi nazione). Meno di un mese fa Re Carlo III d’Inghilterra, durante la visita in Kenya (che a breve festeggerà i 60 anni d’indipendenza), ha riconosciuto «gli atti di violenza aberranti e ingiustificabili commessi contro i keniani», ma senza presentare scuse formali, né tantomeno accennare a “riparazioni”. Scrive il Guardian, in un dettagliato reportage pubblicato lo scorso marzo: «Al centro delle richieste di riparazione c’è la consapevolezza che il passato non può essere cancellato e non deve essere ignorato. Le ex potenze coloniali non possono rimediare ai danni che hanno inflitto agli schiavi e ai colonizzati, ma possono impegnarsi in buona fede con i discendenti di quelle persone e lavorare per affrontare le disuguaglianze sistemiche che esistono oggi. Eppure i governi europei e nordamericani del ventunesimo secolo continuano a resistere quando si parla di riparazioni. Quando prendono provvedimenti per affrontare la disuguaglianza e il razzismo odierni, lo fanno senza collegare esplicitamente questi problemi alle eredità della schiavitù e dell’impero. E così è lasciato alle singole istituzioni decidere se indagare sulla loro storia e che tipo di riparazioni potrebbero essere appropriate».

Come hanno fatto, in totale autonomia, alcune prestigiose università. «Nell’aprile 2022 – si legge ancora nel reportage del Guardian – il preside di Harvard ha promesso 100 milioni di dollari (80 milioni di sterline) per realizzare la costruzione di relazioni con i discendenti delle persone schiavizzate che lavoravano all'interno dell’università, o che erano state schiavizzate dai soci di Harvard. E ancor prima, nel 2019, l’Università di Glasgow è diventata la prima università britannica a istituire un programma di giustizia riparativa, impegnandosi con 20 milioni di sterline per costruire un centro di ricerca in collaborazione con l’Università delle Indie Occidentali, per lo studio della salute pubblica e della crescita economica nei Caraibi e delle relazioni tra i paesi caraibici e africani. Dopo l’impegno di Glasgow, altre università britanniche hanno iniziato a esaminare il loro passato».

Il vertice appena concluso in Ghana riaccende dunque la speranza che in qualche modo si possano  finalmente affrontare le complesse conseguenze della schiavitù, che non è soltanto un’atroce pagina del passato, ma un doloroso e diffuso presente. Come ha spiegato l’economista rwandese Monique Nsanzabaganwa, vicepresidente della Commissione dell’Unione Africana: «La richiesta di risarcimenti non è un tentativo di riscrivere la storia o di continuare il ciclo di vittimizzazione. È un invito a riconoscere l’innegabile verità e a correggere i torti che sono rimasti impuniti per troppo tempo e che continuano a prosperare ancora oggi».

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012