SCIENZA E RICERCA
Su una stella simile al Sole è stata osservata un'enorme espulsione di massa coronale
Immagine di archivio di un flare solare. Credit: NASA
Per la prima volta, su una stella con caratteristiche simili al Sole e denominata EK Draconis, è stata osservata una enorme espulsione di massa coronale: si tratta di un evento avvenuto in un sistema stellare distante oltre 100 anni luce dalla Terra e molto più potente di qualsiasi cosa gli scienziati abbiamo visto finora nel nostro sistema solare.
A scoprire questo fenomeno è stato uno studio dell’Osservatorio astronomico nazionale del Giappone, pubblicato di recente su Nature Astronomy, che suggerisce come anche la nostra stella, molto tempo fa, abbia probabilmente prodotto simili espulsioni supermassicce. EK Draconis e il Sole presentano infatti notevoli somiglianze dal punto di vista della temperatura e delle dimensioni. A differenziarle in maniera notevole è però l’età: EK Draconis ha solo un centinaio di milioni di anni ed è quindi molto giovane dal punto di vista cosmico, soprattutto se la rapportiamo al Sole che di anni ne ha ormai 4,7 miliardi.
L’età elevata raggiunta dal Sole sta garantendo alla nostra stella una maggiore stabilità. Fenomeni come quello osservato dagli scienziati giapponesi potrebbero però essere stati molto più comuni agli albori del sistema solare e si ritiene che abbiano contribuito a modellare pianeti come la Terra e Marte rendendoli come sono oggi.
Il Sole, dal canto suo, continua ancora ad rilasciare brillamenti seguiti dall'espulsione di materiali che possono volare via nello spazio a velocità di milioni di chilometri all’ora. Ad essere profondamente diverse sono però la frequenza e l’intensità di questi fenomeni: i superflare che si osservano nelle stelle più giovani sono infatti decine o addirittura centinaia di volte più potenti dei brillamenti che avvengono sul Sole. Inoltre si calcola che sulla nostra stella le espulsioni di massa coronale avvengano una volta ogni diverse migliaia di anni, senza raggiungere comunque una portata estrema come quella che osservata su EK Draconis (che qualora si verificasse sul Sole rischierebbe di spazzare via l’atmosfera terrestre).
Sun-like star EK Draconis has lived up to its name by unleashing a supermassive filament eruption -- much more fiery than those seen on the Sun -- and presumably also generating an accompanying coronal mass ejection. @KosOlo8 et al.: https://t.co/ZMT2eXO310 pic.twitter.com/bHH53VUTjc
— Nature Astronomy (@NatureAstronomy) December 9, 2021
La forza dei risultati di questo articolo - ha spiegato a Il Bo Live Yazan Al Momany, ricercatore dell'Inaf di Padova - è che gli autori non hanno solo individuato il brillamento nella fotosfera ma nello stesso momento hanno potuto vedere cosa stava accadendo nella cromosfera, mettendo così in relazione entrambi gli strati. Per fare questo si sono avvalsi di tre telescopi, due dei quali avevano lo specifico compito di studiare la cromosfera della stella per captare possibili movimenti legati all'espulsione di materiali.
Le osservazioni sono state condotte tra l'inverno e la primavera del 2020 fino a quando, il 5 aprile, il team di ricercatori ha compiuto la prima osservazione spettroscopica ottica di un gigantesco superflare a cui, circa 30 minuti dopo, ha fatto seguito un'enorme espulsione coronale di massa (sebbene, come vedremo meglio in seguito, gran parte di questo materiale sembra essere tornato sulla superficie della stella e l'articolo dedica una dettagliata discussione proprio a questo aspetto).
L'intervista completa a Yazan Al Momany, ricercatore dell'Inaf di Padova, sull'enorme espulsione di massa coronale che è stata recentemente osservata sulla stella EK Draconis. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
"La stella EK Draconis - introduce Yazan Al Momany - ha in comune con il nostro Sole due principali proprietà: il diametro e la temperatura. La maggiore differenza è invece l’età perché mentre il Sole ha circa 4,7 miliardi di anni EK Draconis, che in realtà è un sistema doppio di due stelle, di anni ne ha solo 100 milioni e quindi è molto più giovane".
Il ricercatore dell'Inaf di Padova sottolinea che per apprezzare il risultato dell'articolo pubblicato dagli studiosi dell'Osservatorio astronomico nazionale del Giappone è importante soffermarsi su come è fatta una stella con una massa piccola come il nostro Sole e con una temperatura abbastanza mite. "Bisogna ricordare che le stelle hanno una struttura quasi a cipolla, dove ogni “strato" ha una propria caratterizzazione a livello di dimensioni, temperatura e densità. Nel caso del Sole la superficie ha uno spessore di 500 chilometri e si chiama fotosfera: da lì proviene la maggior parte della luce che noi riceviamo sulla Terra e ha una temperatura di circa 5.700 gradi, mentre il nucleo raggiunge svariati milioni di gradi. Dopo la fotosfera c’è la cromosfera che arriva anche a 10.000 gradi, mentre la temperatura della corona supera il milione di gradi. La diversità di ogni strato è un aspetto estremamente importante che è stato ben considerato dagli autori dell’articolo", continua Al Momany.
Il gruppo di ricercatori giapponesi ha infatti osservato il fenomeno del flare, il brillamento, in ognuno degli strati della stella, ottenendo stime di massa e velocità e analizzando le interazioni tra i processi che partendo dalla superficie di EK Draconis arrivavano a coinvolgere la sua intera struttura. "E’ proprio questo aspetto che distingue il loro studio da tantissimi altri: l’individuazione di un brillamento è abbastanza comune, ma loro sono riusciti a rilevarlo sia sulla superficie sia nella corona di EK Draconis".
"Se osserviamo il nostro Sole - scende nel dettaglio il ricercatore dell'Inaf di Padova - i brillamenti sono fenomeni noti in cui è possibile vedere l’espulsione di queste lingue di fuoco ed essendo così vicini alla nostra stella è facile poterli vedere. Studiare questi fenomeni in una stella che si trova a 100 anni luce, pari quindi a circa 7 miliardi di volte la distanza che c’è tra la Terra e il Sole, è molto più complesso. Gli autori sono riusciti a vedere questi processi in modo molto dettagliato in una stella così lontana e lo hanno fatto osservandola il più possibile e sperando che si manifestasse un brillamento (che è un fenomeno imprevedibile). Hanno utilizzato tre telescopi perché con uno hanno studiato le variazioni di luce che arrivavano da questa stella in modo da tracciare quello che stava accadendo sulla fotosfera, cioè sulla sua superficie. Dall’altra parte sono andati a studiare la cromosfera della stella usando altri due telescopi per captare possibili movimenti di getti di materiali. In questo modo hanno capito che era avvenuta l’espulsione di materiale e il passaggio da uno strato all’altro".
“ La forza di questo articolo è che gli autori non hanno solo individuato il brillamento nella fotosfera ma nello stesso momento, grazie alle osservazioni simultanee effettuate con gli altri due telescopi, hanno potuto vedere cosa accadeva nella cromosfera
Nell’articolo, aggiunge Yazan Al Momany, c’è anche una discussione molto corposa in cui ci si domanda questo materiale fuoriuscisse ad una velocità abbastanza elevata da superare la velocità di fuga dalla stella ed essere quindi propriamente espulso al di fuori di essa.
"Al termine del brillamento che avveniva sulla superficie di Ek Draconis gli scienziati hanno osservato un aspetto particolarmente interessante e cioè che una parte del materiale fuoriuscito ritornava sulla stella, grazie all’effetto dei campi magnetici e della gravità. La discussione proposta dagli autori ruota intorno alla domanda se il materiale sia stato completamente espulso nello spazio oppure no e loro rispondono che la maggior parte di esso è ricaduta sulla stella. Questa parte dell'articolo ci interessa da vicino perché se questi processi di flaring possono innescare iniezioni di massa dentro la corona di una stella e superare la velocità di fuga, significa che i materiali espulsi (che viaggiano con velocità di milioni di chilometri) possono arrivare su un pianeta e spazzare via l’atmosfera che lo circonda", spiega il ricercatore dell'Inaf di Padova.
In un precedente studio del 2019 il coautore Yuta Notsu, astrofisico dell'università del Colorado a Boulder, e altri colleghi coinvolti anche in questa ricerca avevano già mostrato che le giovani stelle simili al Sole sembrano sperimentare frequenti superflare, decine o addirittura centinaia di volte più potenti dei brillamenti solari. Ek Draconis, ha spiegato Notsu "è come appariva il nostro Sole 4,5 miliardi di anni fa". Enormi espulsioni di massa potrebbero dunque essere state molto più comuni nei primi anni del sistema solare ma oggi fenomeni simili si verificano solo in toni decisamente minori e sono rari. "Il Sole oggi ci dà la vita però quando era giovane molto probabilmente si comportava come EK Draconis", conferma Yazan Al Momany.
In un passato non troppo lontano la Terra ha comunque sperimentato le conseguenze di diverse potenti tempeste geomagnetiche e si ritiene che sul Sole brillamenti di forte intensità possano verificarsi una volta ogni diverse migliaia di anni. Quello che è certo è che oggi gli effetti sarebbero molto più pesanti, considerando l'impatto su satelliti, reti elettriche e infrastrutture tecnologiche.
"Il nostro Sole al momento è molto calmo: l’ultimo episodio di espulsione di massa coronale risale al 1859 (l'esperto fa riferimento all'evento di Carrington-Hodgson, una tempesta geomagnetica particolarmente intensa che colpì la Terra l’1 e il 2 settembre di quell'anno) e gli strumenti di allora, che oggi ovviamente sono superati, hanno comunque sentito il fenomeno. Se però oggi dovesse arrivare sulla Terra una tempesta solare simile rischieremmo molto di più perché la quantità di satelliti artificiali che usiamo è elevata. Per nostra fortuna si stima che sul nostro Sole i brillamenti forti avvengano una volta ogni mille anni o anche di più".
I brillamenti sul nostro Sole sono un fenomeno quasi quotidiano ma a differenziarli da quanto osservato su EK Draconis è proprio l’energia coinvolta. "Per il Sole parliamo di flare, mentre per EK Draconis parliamo di superflare, eventi molto più energetici rispetto a quelli che vediamo quando puntiamo i telescopi verso la nostra stella. Il Sole è attivo ma non in un modo che possa minacciare la nostra vita sul pianeta Terra", rassicura il ricercatore dell'Inaf.