SCIENZA E RICERCA

Superbatteri, una minaccia globale da conoscere e combattere

Entro il 2050 i batteri resistenti agli antibiotici potrebbero essere responsabili di circa 10 milioni di morti all’anno su scala globale, superando i decessi provocati dal cancro e diventando la prima causa di morte al mondo. A dirlo è l'Organizzazione mondiale della sanità che da alcuni anni ha definito l'antibiotico resistenza uno dei principali problemi sanitari da contrastare, in quadro generale che vede inoltre l’Italia tra i Paesi più fortemente sotto pressione.

A favorire la selezione di batteri capaci di resistere ai trattamenti antimicrobici è un complesso intreccio di fattori tra i quali ricopre un ruolo di primo piano l’utilizzo scorretto di antibiotici, sia nella medicina umana che in quella veterinaria.

Il rischio concreto è quindi che emergano sempre più frequentemente ceppi di batteri in grado di sopravvivere e moltiplicarsi anche quando si tenta di contrastarli con antibiotici che in precedenza si erano dimostrati efficaci nel debellare l’infezione. In una parola: superbatteri, i cui geni di resistenza possono anche trasferirsi orizzontalmente tra patogeni di specie diversa.

Di questi minuscoli microrganismi unicellulari e di cosa possiamo fare per non favorire la selezione di ceppi resistenti parla il libro “Superbatteri”, scritto da Fabrizio Pregliasco, professore di Igiene all'università di Milano insieme alla giornalista Paola Arosio ed edito da Raffaello Cortina.

Un volume denso di storie che provengono da ogni parte del mondo e che viaggia nel tempo, ricostruendo le tappe principali della ricerca sui batteri tra scoperte cruciali, talvolta aiutate dal caso, e ostinati scienziati che hanno intuito correttamente in che modo si potessero rendere curabili anche le infezioni più temibili.

Nei dieci capitoli in cui è articolato il volume si parte però da fatti di attualità che hanno mostrato nella loro drammatica concretezza i rischi della resistenza agli antibiotici. Tra i casi più emblematici c’è quello del Citrobacter, un batterio particolarmente aggressivo che nel 2018 aveva iniziato ad annidarsi nella terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Verona e che ha segnato il destino di alcuni neonati, provocandone la morte o lesioni permanenti. Le indagini hanno permesso di appurare che il batterio era nascosto in un rubinetto dell’acqua e i piccoli pazienti erano stati infettati durante la preparazione del latte in polvere. Sempre in ambito ospedaliero è proliferato Mycobacterium chimaera, un altro patogeno che ha provocato alcuni decessi tra le persone che erano state sottoposte ed interventi di cardiochirurgia tra Veneto ed Emilia-Romagna e che ha colpito anche gli Stati Uniti e altri Paesi del mondo.

Come ricordano gli autori del volume “alle infezioni contratte in corsia si sommano quelle che circolano fuori dagli ospedali. […] Meno letali, ma non meno problematiche, soprattutto perché sono frequenti e coinvolgono un gran numero di persone, con conseguenze non trascurabili per la salute”. Un esempio è l’emergere, a partire dal 2009, di un ceppo resistente di Gonococco “difficilmente eradicabile con i farmaci, inclusi i più potenti come il ceftriaxone”. Ci sono poi batteri più comuni e diffusi che per lungo tempo sono stati curati facilmente e rapidamente ma che adesso iniziano ad essere più difficili da debellare. Come Escherichia coli o come patogeni che prendono di mira gli occhi e che diventano insensibili a colliri in passato efficaci.

Il mondo dei batteri è rimasto a lungo segreto. Almeno fino al Seicento quando Anton van Leeuwenhoek, ottico e naturalista olandese che per un periodo svolse anche il mestiere di commerciante di tessuti, fabbricò artigianalmente delle lenti con un elevato potere di ingrandimento e notò la presenza, sulle stoffe così come sui liquidi più diversi, di minuscoli “animaletti”, di dimensioni molto più ridotte rispetto agli acari. Una scoperta che aprì uno squarcio sul “regno dell’infinitamente piccolo rimasto nascosto e invisibile ai nostri occhi per molti millenni”. A partire da qui Fabrizio Pregliasco e Paola Arosio ricostruiscono i punti di svolta più importanti e i progressi che hanno consentito di rendere curabili infezioni che fino a quel momento avevano un tasso di mortalità elevatissimo. Tra i personaggi chiave ci sono Robert Koch, che nel 1882 a Berlino annunciò di essere riuscito a isolare il batterio che provocava la tubercolosi e ricevette il Nobel per la medicina nel 1905, Hans Christian Gram, scienziato danese a cui dobbiamo l’invenzione di una delle tecniche ancora oggi più utilizzate per identificare e classificare i batteri e Paul Erlich, medico tedesco che sviluppò il primo efficace trattamento medicinale per la cura della sifilide e che è riconosciuto come il fondatore della chemioterapia, il cui principio è la creazione di composti con capacità di distruzione quanto più mirata e selettiva possibile. 

Si arriva poi naturalmente ad Alexander Fleming che nel 1928 si accorse dello straordinario potere di alcune muffe di debellare i batteri e scoprì in modo accidentale la penicillina, una sostanza che tredici anni più tardi diventò di fatto il primo antibiotico della storia e che rivoluzionò la medicina in un momento particolarmente delicato come quello della seconda guerra mondiale in cui migliaia di soldati feriti riuscirono a salvarsi dalla cancrena e dalle amputazioni proprio grazie al nuovo farmaco. Seguì un periodo d'oro nel filone degli studi sugli antibiotici e tra i traguardi più significativi ci fu la produzione di nuovi farmaci anche per sintesi chimica, un risultato che permetteva di non dipendere più dall'individuazione, fortuita o meno, di muffe o di altre sostanze rinvenute in natura. 

Dopo un boom enorme il crepuscolo è però calato in fretta e il motivo, spiegano gli autori, è che investire nella scoperta e nello sviluppo di nuovi antibiotici non è conveniente in termini economici. Per questo motivo le aziende farmaceutiche si sono spostate in ambiti molto più redditizi, come quello oncologico al punto che attualmente secondo l'Oms ci sono solo 43 antibiotici sperimentali negli studi clinici a fronte di 5700 possibili nuovi trattamenti per il cancro. 

Attualmente il problema dei ridotti investimenti e della scarsa innovazione nel settore (di fatto i carbapenemi, ricordano Pregliasco ed Arosio, il cui primo rappresentante è stato approvato nel 1985, sono l'ultima classe di antibiotici ad essere stata scoperta e a loro ci si affida per trattare le infezioni più potenti) è reso intensificato dalla capacità con cui i batteri sviluppano geni di resistenza. Un fenomeno naturale, esempio emblematico della lotta di ogni organismo per la sopravvivenza, i cui rischi oggi però sono amplificati dal fatto che ad avere la meglio sono proprio i microrganismi in grado resistere ai farmaci, capaci non solo di continuare a moltiplicarsi e a diffondere l'infezione ma anche di trasferire i geni di resistenza ad altri ceppi e specie di batteri. 

Alla diffusione dei superbatteri contribuiscono alcune abitudini purtroppo diffuse come quella di impiegare gli antibiotici quando non servono, come nel caso di infezioni provocate dai virus, o di interrompere la terapia prima del dovuto. L'epoca in cui l'industria farmaceutica spingeva sulle leve del marketing per incrementare le vendite di antimicrobici, attraverso campagne pubblicitarie che includevano spesso anche mascotte da usare nei reparti di pediatria, è per fortuna finita ma l'impatto degli errori del passato presenta ancora un conto salato. L'uso improprio, se non addirittura scriteriato, di questi farmaci ha riguardato per molti anni anche il settore zootecnico e veterinario: per lungo tempo negli allevamenti intensivi il mangime di polli, maiali e bovini è stato addizionato con antibiotici con il duplice obiettivo di far crescere più in fretta gli animali e prevenire eventuali malattie. E procedimenti simili sono stati adottati anche per garantire freschezza a un alimento deperibile come il pesce. Recentemente sono stati compiuti importanti passi avanti nel tentativo di mettere sotto controllo queste pratiche. Nel gennaio del 2022, osservano Pregliasco e Arosio, l'Unione europea ha vietato l'uso routinario degli antibiotici negli allevamenti con l'obiettivo di dimezzare le vendite di questi farmaci entro il 2030. I trattamenti potranno essere somministrati solo quando necessari e non potranno più avere una finalità preventiva. 

Il ragionamento sull'impiego di antibiotici in ambito veterinario è parte integrante di quella visione in chiave One Health riconosciuta dall'Oms come approccio con cui rispondere alle sfide che riguardano la salute pubblica. Un paradigma che ha come terzo pilastro la dimensione ambientale, in un contesto in cui si comincia anche a comprendere che il surriscaldamento del pianeta potrà finire per rendere più probabili le mutazioni che rendono i batteri resistenti. 

Oltre allo Straphylococcus, altri superbatteri sono stati inseriti nella lista nera stilata nel 2017 dall'Oms. [...] batteri che circolano negli ospedali e che sono diventati resistenti persino ai carbapenemi

L'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito 12 batteri nella lista dei patogeni più pericolosi al mondo. Nel libro si ricorda anche l'importanza delle vaccinazioni che offrono una protezione sul lungo periodo dai patogeni su cui è possibile attuare questa strategia di prevenzione. Un siero importante è quello contro lo Pneumococco, batterio che ogni anno uccide 800 mila bambini al di sotto dei cinque anni. Ad essere già disponibili sono anche i vaccini per Haemophilus influenzae di tipo B e Salmonella typhi, altri due patogeni inseriti nella lista nera dell'Oms, mentre altri preparati contro microrganismi particolarmente temibili potrebbero essere in arrivo in un arco di tempo non troppo prolungato e in dirittura d'arrivo c'è quello contro il Gonococco, al quale si sta dedicando il team dello scienziato Rino Rappuoli. 

Negli ultimi capitoli del libro si analizzano poi altre possibili soluzioni con cui affrontare la sfida ai batteri resistenti. C'è il mondo dei fagi, virus specializzati nell'annientare i batteri, la cui esistenza è nota da più di un secolo e su cui oggi la ricerca sta riversando un rinnovato interesse. In parallelo si lavora sui batteri predatori, innocui per gli esseri umani ma capaci di prendere di mira i loro simili di altre specie, sugli anticorpi antibatterici e sull'ingegneria genetica che guarda alle prospettive di Crispr per annientare i geni di resistenza o per indurre i batteri all'autodistruzione. E, per tornare ad azioni tanto semplici quanto troppo spesso trascurate, gli autori ricordano la centralità delle pratiche igieniche e del corretto lavaggio delle mani e delle superfici, riportate in primo piano dal Covid ma utili in ogni occasione per prevenire le infezioni. 

Un'appendice poco rassicurante è infine dedicata ai superfunghi, anch'essi protagonisti di una corsa che potrebbe essere accelerata dal riscaldamento del pianeta a causa del progressivo ridursi del divario tra la temperatura ambientale e quella corporea. La maggior parte delle specie fungine ama stare tra i 25 e i 30 gradi e dunque i 37 gradi del nostro organismo non sono la condizione ideale. E' però probabile che nel tempo i fughi si adatteranno a resistere a temperature esterne più elevate e quindi cominceranno a trovare confortevole l'habitat del corpo umano. 

Le conclusioni hanno un taglio molto pratico e sono suggerimenti per i diversi interlocutori, dai cittadini ai medici, dagli allevatori alle istituzioni e alle aziende farmaceutiche. Un'assunzione di responsabilità per tutti, per evitare di annullare i progressi che la medicina ha compiuto negli ultimi cento anni.

I superbatteri. Una minaccia da combattere è tra i cinque finalisti del premio Science book of the year, alla sua prima edizione. La premiazione avverrà a fine settembre durante il festival Trieste Next.

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