SCIENZA E RICERCA

Svezia, la controversa strategia sanitaria di Anders Tegnell

Con l’arrivo dell’autunno i nuovi casi giornalieri di CoVid-19 in Europa stanno facendo registrare numeri preoccupanti in diversi Paesi. Più di tutti preoccupano la Francia e la Spagna che da inizio settembre hanno più volte superato i 10.000 casi. Su più di metà del territorio francese oggi è stata istituita la zona rossa. A Madrid 850.000 persone, la maggior parte appartenenti alle fasce più povere della popolazione, sono già state interessate da misure restrittive (bar e ristoranti chiusi entro le 22, uscita di casa consentita solo per necessità quali lavoro, studio, spesa, assistenza). Il Regno Unito che viaggia intorno ai 4.000 nuovi casi sta pensando a un nuovo lockdown se non dovesse riuscire a frenare l’aumento dei contagi: nel nord est del Paese lockdown localizzati hanno già interessato 2 milioni di persone e sono previste multe di 1000 sterline per le violazioni delle restrizioni. Italia e Germania per ora invece riescono a mantenersi al di sotto dei 2.000 casi.

La scorsa settimana Hans Kluge, direttore regionale per l’Europa presso l’Organizzazione mondiale della sanità, ha parlato di una situazione molto grave: nelle ultime due settimane oltre metà dei Paesi europei ha registrato aumenti di più del 10%, mentre in sette paesi l'incremento è addirittura raddoppiato.

Nel corso del briefing online è intervenuta anche la funzionaria Oms Catherine Smallwood facendo un riferimento al caso svedese: “Bisogna riconoscere che la Svezia ha evitato l'incremento di casi [nell'ultimo periodo, ndr] che si sta verificando in altri stati, in particolare in Europa Occidentale, e penso che ci siano lezioni da imparare dall'approccio svedese, in particolare sulla sostenibilità e il coinvolgimento dei cittadini”.

Non è chiaro se quella espressa da Smallwood sia una posizione ufficiale, ma l’Oms nel corso della pandemia ha espresso posizioni contraddittorie a riguardo di quale sia la strategia migliore da adottare per contenere la diffusione del virus. Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus infatti ha sin dall’inizio elogiato le misure rigide messe in campo dalla Cina nella provincia di Hubei e ha diffuso linee guida ai Paesi di tutto il mondo che consigliavano di seguire il più possibile il modello cinese. La Svezia ha seguito una strada opposta, non imponendo mai alcun lockdown ai propri cittadini. A fine aprile Michael Ryan, a capo del programma di emergenze sanitarie dell’Oms, ha rivolto apprezzamenti al metodo svedese basato sul rapporto di fiducia tra cittadinanza e istituzioni. Verso fine giugno invece l’Oms aveva reinserito la Svezia tra i Paesi a rischio di una seconda ondata, quando registrava 155 contagi ogni 100.000 abitanti. Ora Catherine Smallwood torna a lodare il modello svedese.

Il governo di Stoccolma ha scelto di seguire le indicazioni dell’epidemiologo dell’Agenzia per la salute pubblica svedese, Anders Tegnell, ritenute controverse e non supportate da evidenze da buona parte della comunità scientifica. “Questa non è una malattia che può essere fermata o eradicata” ha dichiarato Tegnell in un’intervista a Nature dello scorso aprile: “Dobbiamo trovare soluzioni a lungo termine che mantengano la distribuzione delle infezioni a livelli accettabili”. Alla domanda “su quali evidenze è basato il vostro approccio?” rispondeva vago che "è difficile parlare delle basi scientifiche di una strategia per malattie di questo tipo". Secondo lui, d’altra parte, “non esistono basi scientifiche storiche nemmeno per i lockdown” e aggiungeva che “chiudere i confini è ridicolo, perché il virus circola in ogni Paese europeo”. Nemmeno la chiusura delle scuole per lui aveva senso. Tegnell ad aprile non era nemmeno pienamente convinto del ruolo degli asintomatici nella trasmissione dell’infezione: “Nella distribuzione normale di una curva a campana gli asintomatici stanno ai margini, mentre la maggior parte è occupata dai sintomatici, sono quelli che noi dobbiamo fermare”. In sintesi dichiarava: “ogni Paese dovrà raggiungere l’immunità di gregge in un modo o nell’altro, e noi la raggiungeremo in un modo diverso”.

In quell’intervista Tegnell spiegava che la strategia svedese puntava tutto o quasi sulla responsabilità individuale dei cittadini. “La nostra società” sosteneva Tegnell “crede molto nel nudging”, una teoria di psicologia sociale (sviluppata dal Nobel per l’economia Richard Thaler e Cass Sunstein, nota anche come “spinta gentile”) secondo cui le imposizioni dall’alto non ottengono mai l’effetto desiderato, mentre suggerimenti indiretti che puntano a rafforzare le ragioni di una posizione, lasciando però libertà di scelta, ottengono risultati migliori.

I dati però sembrano smentire, almeno in questo caso, che risultati migliori siano stati effettivamente ottenuti. Un semplice confronto con quanto fatto dagli altri Paesi che si affacciano sul Baltico mette in luce che la strategia svedese è costata molte vite umane.

Da inizio pandemia (dati worldometer) la Svezia ha avuto quasi 6.000 decessi, contro i 266 della Norvegia, i 339 della Finlandia e i 635 della Danimarca. La Svezia ha una popolazione di circa 10 milioni di abitanti circa, mentre quella degli altri Paesi nordici si aggira tra i 5 e i 6 milioni: ci si dovrebbe aspettare dunque, tra i numeri dei decessi, un rapporto di 2:1, mentre questo rapporto è di circa 10:1 con la Danimarca e di circa 20:1 con Norvegia e Finlandia.

Anche per numero di tamponi effettuati la Svezia fa peggio dei suoi vicini. Con 1.400.000 tamponi la Svezia ha testato l’equivalente di circa il 13,7% della propria popolazione. In termini assoluti Norvegia e Finlandia ne hanno effettuati di meno (rispettivamente 940.000 e 880.000 circa) ma avendo una popolazione più piccola hanno testato rispettivamente il 17% e il 15,6% dei propri abitanti. La Danimarca invece ha effettuato 3.200.000 tamponi, equivalenti al 55% della propria popolazione.

Dall’inizio della pandemia ad oggi la Svezia ha rilevato circa 90.000 individui infetti, mentre la Norvegia circa 13.000, la Finlandia 9.000, la Danimarca 23.000.

Molte delle vite perse in Svezia appartenevano ad anziani nelle case di cura. “Avremmo dovuto fare più attenzione” ammette lo stesso Tegnell. Come ha riportato The Guardian ad agosto, un giornalista svedese ha ottenuto e pubblicato su Expressen uno scambio di mail, cancellato da Tegnell, che sarebbe avvenuto a metà marzo tra l’epidemiologo svedese, il suo omologo finlandese Mika Salminen e il capo dell’agenzia per la salute nazionale svedese (Fhm). Qui Tegnell discuteva se l’aumento del tasso di mortalità tra le persone anziane fosse accettabile per un raggiungimento più rapido dell’immunità di gregge. Nello scambio viene riportato da Mika Salminen che i modelli finlandesi suggeriscono che la chiusura delle scuole riduce la diffusione di CoVid-19 tra le persone anziane di circa il 10%. Tegnell risponde: “può valerne la pena per un 10%?”.

La Svezia ha successivamente chiuso le scuole solo per gli studenti con più di 16 anni, caldeggiando invece la frequenza per tutti i più piccoli. Ha vietato i ritrovi con più di 50 persone e ha chiesto, ma non ordinato, di rispettare le distanze sociali. Negozi, bar, ristoranti e palestre sono rimasti aperti. L’unico altro Paese in Europa a non esercitare alcun lockdown è stata la Bielorussia.

Mentre se si guarda al contraccolpo economico che la pandemia ha avuto sui Paesi europei si vede che la Svezia non è riuscita a fare meglio di Norvegia e Finlandia che pure hanno imposto il lockdown.

Ad oggi quello che sappiamo sulla risposta immunitaria a Sars-CoV-2 non ci dà garanzie sulla capacità di raggiungere l’immunità di gregge: gli anticorpi neutralizzanti infatti sembrano non durare più di 3-4 mesi e sono stati riportati anche alcuni casi di reinfezione (documentati uno a Hong Kong e uno in Nevada). Secondo alcuni ricercatori però, tra cui Hans-Gustaf Ljunggren del Karolinska Institute in Svezia, i linfociti T però potrebbero mantenere una memoria immunitaria di più lunga durata. Se le cose stessero davvero così sarebbe una buona notizia per tutti e non solo per la Svezia. Alcuni si sono addirittura spinti a sostenere che il calo delle infezioni registrato in Svezia a luglio (è passata da un picco di quasi 1700 a 300 casi giornalieri in poco più di 2 settimane) sia dovuto all’immunità sviluppata dalle cellule T o addirittura a un’immunità pregressa che era già presente nella popolazione. Ma secondo Anthony Fauci, sebbene queste idee meritino un attento scrutinio, sono ancora di "teorie premature".

Una strategia sanitaria nazionale che punti all’immunità di gregge dunque non è sostenuta dalle conoscenze scientifiche ad oggi disponibili. Persino Boris Johnson sulla possibilità di raggiungere velocemente l’immunità di gregge si è dovuto ricredere. Ma non Anders Tegnell, che semplicemente si è limitato a negare in diverse occasioni (come ad esempio in una recente intervista al Financial Times) che l’obiettivo della strategia svedese fosse il raggiungimento dell’immunità di gregge.

Oggi la Svezia conta tra i 200 e i 300 nuovi casi al giorno, pochi rispetto a quelli registrati in Francia o Spagna. In Norvegia e Finlandia restano intorno o sotto i 100. In Danimarca invece sono quasi 500, ma qui si sono fatti 4 volte più test che in Svezia.

Sia Catherine Smallwood oggi sia Michael Ryan ad aprile della strategia svedese probabilmente lodavano il costruttivo rapporto di fiducia che le istituzioni sono riuscite a mantenere con la cittadinanza, grazie anche a quell’approccio gentile, il nudging, che da qualche anno fa scuola a livello globale in diversi ambiti (Cass Sunstein è stato consigliere dell’amministrazione Obama).

Ma verrebbe da chiedersi se questa fiducia sia conseguenza della strategia sanitaria svedese o se non sia invece a un elemento culturale già presente prima della pandemia nel welfare state dei Paesi scandinavi.

Verrebbe inoltre da dire che il rispetto delle norme di distanziamento sociale e di protezione individuale sia più sorprendente, positivamente sorprendente, in un Paese in cui tradizionalmente la distanza tra cittadinanza e istituzioni è maggiore, come l’Italia. La pandemia è stata non solo un’emergenza sanitaria, ma anche un esperimento di ingegneria sociale il cui esito non era affatto unico e scontato e che infatti ha preso traiettorie diverse in Paesi diversi. Della Svezia si potrà apprezzare il dialogo costruttivo che c’è stato tra governo e cittadinanza, ma non si potrà fare a meno di ricordare che il numero di decessi, paragonato a quello dei Paesi confinanti, finora è stato 10 volte più grande, molto probabilmente perché si è scelto di predisporre politiche troppo rilassate nei confronti del contenimento del virus.

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