CULTURA

Viaggio in Italia, la voce del paese che risorgeva

C’è stato un tempo in cui un giornalista (intendiamoci, un grande giornalista, o meglio ancora uno scrittore-giornalista) poteva essere convocato dal direttore di un quotidiano (un grande quotidiano) e ricevere una proposta formulata così: parti, viaggia per un anno e mezzo, e raccontaci gli Stati Uniti. Lo stesso giornalista, un paio d’anni più tardi, poteva vedersi rivolgere dal capo dell’emittente di Stato un invito del genere: parti, viaggia per tre anni e mezzo, e raccontaci l’Italia. È qualcosa che oggi appare vertiginoso, inconcepibile, o più banalmente insensato: l’ininterrotto flusso di notizie in tempo reale da ogni recesso del pianeta, i budget sempre più risicati fanno risultare questi incarichi risibili, retaggio di un’era romantica e primitiva. Eppure non parliamo di araldi a cavallo, ma del secondo dopoguerra, quando quotidiani, radio e televisioni rincorrevano pubblici sempre più vasti e affamati di notizie: ma è già un Medioevo della comunicazione rispetto all’epoca post-Internet e post-social, in cui la figura dell’inviato riveste un ruolo più da coordinatore e selezionatore di fonti che cacciatore di notizie.

E tuttavia torniamo a quei reporter da fantascienza: pochi anni prima che a Ryszard Kapuściński venisse assegnato dall’agenzia di stampa polacca Pap il metafisico ruolo di “corrispondente per l’Africa”, toccava a uno scrittore e giornalista vicentino, Guido Piovene, vedersi offrire formidabili spedizioni-reportage come quelle che abbiamo citato (e altre ne seguiranno). Se il tour statunitense, che darà poi vita per Garzanti al volume De America, risale al 1950/1951, l’occasione di un pellegrinaggio-fiume giornalistico e umano attraverso il nostro paese arriva giusto settant’anni fa, nel 1953, quando Salvino Sernesi, direttore generale della Rai, chiede a Piovene di realizzare Viaggio in Italia, un radiodocumentario in 94 puntate di 25-30 minuti, ciascuna delle quali avrebbe costituito una tappa di un colossale Giro d’Italia tra l’informativo e il letterario. Un totale di 45 ore di trasmissione per il Programma Nazionale (il primo canale radiofonico Rai), in cui Piovene avrebbe descritto da Bolzano a Palermo paesaggi, incontri, sensazioni, umori, economia di una nazione che aveva già iniziato la cavalcata che, nell’arco di un decennio, avrebbe trasformato la nuova Repubblica rurale e malconcia in una delle grandi potenze industriali. Un patrimonio sonoro che oggi è interamente disponibile in Rete: su RaiPlay Sound è possibile scaricare gratuitamente i podcast di tutte le puntate della storica trasmissione.

Piovene inizia il suo viaggio nella primavera del ’53 e termina nell’autunno di tre anni dopo. La prima puntata, dedicata all’Alto Adige, va in onda alla radio il 6 dicembre 1954; l’ultima, in cui Piovene trae le conclusioni della sua esperienza, viene trasmessa il 17 dicembre 1956. È interessante che l’avvio di questa scommessa giornalistica e produttiva cada undici mesi dopo che la stessa Rai ha inaugurato (il 3 gennaio del ‘54) le trasmissioni regolari del primo canale televisivo: ma se spetterà alla tv il ruolo principale nella rivoluzione sociale e linguistica che contribuirà all’unificazione culturale del paese, nel ’54 la radio è ancora strumento principe di informazione e intrattenimento.

Piovene realizza questa impresa alla sua maniera, da scrittore, oltre che da giornalista. La straordinaria dilatazione dei tempi concessi per l’esplorazione del territorio genera testi che posseggono l’accuratezza, il respiro e lo stile del narratore, ma insieme regalano, con tocchi rapidissimi e sanguigni, ritratti di città, tesori artistici e naturali, personalità di spicco e popolani, con intuizioni sottili e aneddoti esilaranti. L’Italia del Dopoguerra si vede rappresentata, per la prima volta, con una precisione e una raffinatezza che riveleranno a tutti la sua identità: un paese in trasformazione radicale, un mondo ancora largamente agricolo, con ampie zone di povertà e degrado, che sta cedendo il passo, a velocità impensabile, a una nuova dimensione cittadina, industriale, internazionale, che consentirà presto agli italiani di vivere un benessere e una modernità mai provati.

La struttura di ogni puntata di Viaggio in Italia si basa sul connubio tra una scrittura di straordinaria eleganza unita a concretezza da cronista, e l’alternarsi delle splendide voci dei giornalisti radiofonici chiamati a collaborare con Piovene. La principale “voce narrante” è quella di Paolo Pacetti, che legge le pagine dello scrittore con asciutta espressività, valorizzando al meglio la sua prosa. Nelle diverse puntate, poi, si avvicendano altri inviati, impegnati a turno a intervistare i personaggi scelti da Piovene: tra tutti, spicca il timbro impostato di un giovane Sergio Zavoli. Viene dato spazio a elementi di spicco dell’imprenditoria, come Buitoni, Marzotto, Ferrari, ciascuno restituito con toni personalissimi e quasi intimistici; ma soprattutto a tante voci anonime, persone comuni che incarnano attività, mestieri, passioni che compongono il collage dell’Italia popolare del tempo. Un’Italia dipinta con realismo salace ma indulgente, che oscilla tra sacche conservatrici e apertura alla modernità, provincialismo e aspirazioni cosmopolite, ataviche clientele criminali e operosità immune da compromessi.  A conclusione del Viaggio, Piovene oscilla tra ammirazione e timore per il futuro, affermando che “molti si chiedono se la bellezza di questa terra, fin troppo umana, potrà essere salvata dall’assalto dei suoi abitanti”, ma anche che “l’Italia casalinga di oggi (…) è molto più moderna e intonata alla storia di quella velleitaria e colonialista di ieri”.

Nel 1957, pochi anni dopo la messa in onda, Viaggio in Italia diventa un libro, pubblicato da Mondadori: mai, forse, come in questo caso, la trasposizione da un mezzo espressivo all’altro risulterà così agevole. Perché la prosa radiofonica di Piovene, già intrinsecamente letteraria, si presta alla perfezione a divenire autonomo testo scritto. Rispetto al radioreportage si perdono, naturalmente, alcuni elementi impagabili, come voci e suoni che fungono da fondale a ogni città raffigurata (il chiacchiericcio del popolo, le inflessioni dialettali e le espressioni colorite degli intervistati, le musiche, gli effetti sonori che accompagnano la descrizione degli ambienti). Per non parlare dell’ironia, velata ma ben presente, che traspare a tratti dalle pagine di Piovene, ed è riassunta (solo nella versione audio) in alcune battute rapidissime e preziose, estorte al volo ai passanti dalla maliziosa abilità del giornalista di turno. Come a Padova, in Piazza del Santo, dove una giovane venditrice ambulante di ceri e santini decanta al cronista le virtù di Sant’Antonio apprezzate anche dai laici, prima fra tutte la capacità di favorire l’incontro con l’anima gemella. Fulmineo, l’inviato le chiede a bruciapelo: “E nel suo caso, signorina?”. “Io sto ancora aspettando”.

 

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