Foto: Mélodie Descoubes / Unsplash
Nel volume Violenza contro le donne in Italia. Ricerche, orientamenti e buone pratiche viene analizzato il fenomeno della violenza maschile sulle donne cercando di darne una visione “olistica”, cercando cioè sia di evidenziare i comportamenti individuali associati a questo genere di violenza, sia quelle rappresentazioni collettive che sono alla base di tali comportamenti. Viene poi dato spazio al ruolo e alle responsabilità delle istituzioni che si occupano di prevenire e combattere questo fenomeno e al funzionamento delle reti antiviolenza in Italia.
Il tema della violenza maschile sulle donne e delle buone pratiche per prevenirla, come viene spiegato nel volume, comprende una pluralità di aspetti sociali, culturali e giuridici che meritano di essere tenuti in considerazione e che può essere quindi studiato a partire da diversi ambiti disciplinari. La violenza sulle donne, infatti, si fonda sulle “discriminazioni basate sul genere, definito come l'insieme di ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per uomini e per donne. Per questo le politiche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne devono tenerne conto”.
La responsabilità statale è quindi enorme e il volume si propone di valutare gli interventi e le politiche organizzati in Italia per prevenire e contrastare la violenza sulle donne e restituire una “fotografia di un sistema complesso e in parte inesplorato, in cui c'è una pluralità di soggetti che intervengono a diversi livelli”.
Tra i diversi autori che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume troviamo Angela Maria Toffanin, ricercatrice in sociologia dei processi culturali e comunicativi all'università di Padova e assegnista di ricerca per l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (IRPSS) del CNR per il Progetto ViVa – Monitoraggio, Valutazione e Analisi degli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne, iniziato nel 2017.
L'intervista completa ad Angela Maria Toffanin sulla violenza maschile contro le donne. Montaggio di Barbara Paknazar
“Il libro è la restituzione di una parte di questo lavoro di ricerca che è stato domandato dal Dipartimento delle pari opportunità e che il CNR ha svolto per cercare di ricostruire il sistema italiano antiviolenza raccogliendo i dati, le criticità e le esperienze positive sia per quanto riguarda le politiche e gli interventi a contrasto della violenza sulle donne e a sostegno di quelle che si trovano in situazioni di pericolo per loro e per i loro figli, sia dei programmi destinati agli autori di violenza”, racconta la dottoressa Toffanin. “Questo libro ripercorre quindi i primi risultati di questo lavoro, con la speranza che possano essere utili sia ai decisori politici, sia agli operatori e le operatrici che si occupano di contrasto alla violenza maschile contro le donne, sia a un pubblico di futuri professionisti e professioniste del settore.
Il tema specifico della violenza maschile contro le donne è ormai un campo di intessere molto consolidato. Sono 50 anni, ormai, che viene studiato in molti ambiti e con diversi approcci, ma per raggiungere una comprensione veramente interdisciplinare di questo fenomeno è necessario fare dei tentativi di sintesi delle diverse conoscenze, come quello proposto in questo libro, alla cui realizzazione, come il lettore avrà la possibilità di scoprire, hanno partecipato autori e autrici che provengono da vari settori disciplinari e che provano ad approfondire aspetti diversi del problema relativi, in particolare, agli interventi a contrasto della violenza e a sostegno delle donne”.
Nel libro vengono esaminati, infatti, i punti di forza e i punti deboli dei servizi antiviolenza in Italia, il cui funzionamento, spiega la dottoressa Toffanin, è “estremamente complesso perché animato da attori diversi che agiscono a vari livelli”.
E' pubblicato il volume "Violenza contro le donne in Italia" a cura di #MauraMisiti e #PietroDemurtas, #CNREdizioni.
— CNR-IRPPS (@CNRIrpps) May 20, 2021
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“Il problema della violenza maschile contro le donne è un fenomeno trasversale”, continua Toffanin. “Sappiamo infatti che colpisce donne di tutte le estrazione sociali, professioni, età e nazionalità e ha un impatto negativo su tutti gli aspetti della vita di una donna e spesso, ovviamente, anche dei suoi figli. La maggior parte delle violenze si verificano infatti all'interno delle case, nelle relazioni di intimità, e molto spesso l'autore dei maltrattamenti è il partner o l'ex partner. Questi maltrattamenti non si ripercuotono solo sulla vita intima e personale della donna. Esistono, infatti, alcuni studi che calcolano i costi della violenza e mettono in luce che le conseguenze di queste aggressioni condizionano tutti gli aspetti della vita di una donna, da quelli professionali a quelli che riguardano le relazioni familiari e sociali.
Il problema, quindi, è pubblico e tali devono essere quindi le soluzioni: come hanno chiarito fin da subito gli studi su questo tema, il problema della violenza maschile contro le donne non è una questione che riguarda un uomo cattivo e una donna vittima.
I dati raccontano che molte donne ancora faticano a parlare della violenza subita, raramente denunciano i loro aggressori e tendenzialmente non si rivolgono ai servizi specializzati per ricevere aiuto. Confrontando però i dati di due rilevazioni, condotte rispettivamente nel 2001 e nel 2014, vediamo che oggi il tasso di donne che ne parlano e che cercano aiuto è in aumento. Inoltre, come abbiamo osservato dai dati raccolti l'anno scorso, nel periodo in cui tutti i servizi che avevano a che fare con le relazioni interpersonali sono stati chiusi per evitare il contagio, i servizi antiviolenza erano aperti e ricevevano molte richieste di aiuto.
Pronte per ripartire!
— Telefono Rosa (@TelefonoRosaNaz) August 23, 2021
Da oggi siamo operative come sempre.
Se sei vittima di violenza e/o stalking rivolgiti al nostro centralino e chiamaci allo 0637518282/ 62/ 61
Professioniste ti forniranno una prima consulenza legale e psicologica del tutto gratuita.
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“Nel libro, per raccontare l'eterogeneità del sistema antiviolenza italiano, i cui attori principali sono senz'altro i centri antiviolenza e le case rifugio, usiamo la metafora del multiverso. Parlare di “universo”, infatti, ci sembrava persino troppo riduttivo per descrivere una realtà composta da una moltitudine di soggetti diversi”, prosegue Toffanin. “I centri antiviolenza e le case rifugio sono luoghi che nascono prevalentemente dall'esperienza dei gruppi femministi che in Italia, a partire dagli anni Ottanta e con un leggero ritardo rispetto ad altri paesi europei, si occupavano di prevenzione della violenza e sensibilizzazione della popolazione, cercando di denunciare quel contesto culturale che fa da sfondo alla violenza. Le radici di questo comportamento, infatti, affondano nelle diseguaglianze tra donne e uomini e quindi nel contesto sociale.
I centri antiviolenza nascono per cercare di arginare questa cultura e, parallelamente, chiamando le istituzioni ai loro compiti di intervento e di finanziamento, per accompagnare e aiutare le donne che vi si rivolgono. Le case rifugio, invece, sono i luoghi in cui, in caso di emergenza, una donna può trovare ospitalità per sé e i suoi figli. Negli ultimi 10 anni, nel contesto italiano – che è davvero in grande ritardo rispetto al mondo europeo e nordamericano – sono in aumento anche i programmi destinati agli autori di violenza, per quanto essi vengano organizzati con direzioni, obiettivi, valori e metodologie di intervento anche molto diverse.
Tuttavia, i centri antiviolenza, le case rifugio e i programmi per uomini maltrattanti, che sono i cosiddetti servizi specializzati, ancora non bastano per riuscire a garantire degli interventi efficaci. Per questo esistono le cosiddette reti antiviolenza, di cui fanno parte i servizi sociali e sanitari, le forze dell'ordine e i sindacati. Il motivo di questa eterogeneità è dovuto anche al fatto che le reti antiviolenza si sono sviluppate inizialmente a partire dal basso e poi, durante l'ultimo decennio, hanno iniziato ad essere gestite anche dall'alto.
Nel 2013 è stato raggiunto un importante traguardo con la sottoscrizione della convenzione di Istanbul, tramite la quale le istituzioni a livello nazionale (in primis il Dipartimento delle pari opportunità) e regionale si sono affiancate agli enti locali nel fare da sponda alle iniziative dei gruppi femministi, occupandosi di legiferare e di regolamentare il sistema a livello istituzionale, finanziando i servizi presenti e definendo gli standard minimi che questi devono rispettare per ottenere dei fondi. Questo intervento da parte delle istituzioni pubbliche ha rappresentato una presa in carico del problema e un riconoscimento dei centri antiviolenza e del lavoro che svolgono. Eppure, come cerchiamo di descrivere nel libro, finanziare i soggetti che sono ritenuti adeguati e professionalizzati ha anche dei rischi: infatti, se da un lato è giusto che tutte le donne sul territorio nazionale abbiano le stesse possibilità di accesso ai servizi di sostegno, dall'altro lato si rischia di snaturare e smontare la potenzialità e la specificità di intervento che vengono attivate all'interno di ognuno di questi luoghi”.
L'emergenza sanitaria ha messo in luce molte delle fragilità dei servizi medico-sanitari in Italia. Per quanto riguarda i centri antiviolenza, perciò, il libro parla dei nodi che sono venuti al pettine a causa del covid, ma anche degli aspetti che invece hanno funzionato.
“La pandemia è stata una specie di lente di ingrandimento che ha svelato da un lato alcune fragilità che erano già presenti in questo settore e dall'altro anche alcuni punti di forza e potenzialità di alcune modalità di intervento che fanno dei centri antiviolenza un unicum nel sistema nazionale dei servizi alla persona”, racconta Toffanin. “Durante i due mesi della fase 1 del 2020, abbiamo svolto una rilevazione inviando a tutti i centri antiviolenza che avevamo mappato negli anni precedenti un breve questionario per capire come stessero modificando le loro abitudini per far fronte all'emergenza sanitaria. Dopodiché, in alcuni casi, abbiamo anche condotto alcune brevi interviste per capire come il covid e il distanziamento sociale avessero influito sulla loro operatività.
La difficoltà più grande che abbiamo rilevato è stata quella di creare delle reti, ossia di stringere delle alleanze. Quando una donna arriva in un centro antiviolenza, infatti, oltre a svolgere una valutazione del rischio per capire se questa si trovi in una situazione di pericolo imminente, le operatrici del centro antiviolenza che si occupano dell'accoglienza l'aiutano a definire il percorso migliore da seguire per migliorare la propria condizione di vita. Perché questo avvenga, è necessario stringere alleanze con i servizi sociali, i centri per l'impiego, le forze dell'ordine e anche i servizi scolastici, nel caso siano coinvolti dei figli, come spesso succede. Durante la pandemia, questo sistema di alleanze è saltato. O meglio: i centri antiviolenza che avevano già delle solide relazioni con i servizi sociali, le hanno mantenute, ma solo per le donne che erano già state prese in carico. È stato invece particolarmente complicato avviare nuovi progetti per le donne arrivate in piena emergenza. I tribunali erano chiusi e inaccessibili, e gran parte della giustizia era stata messa in congelatore. Ovviamente, in questa situazione, anche i rapporti con il sistema sanitario degli ospedali era interrotto.
Un altro grosso problema è quello che ha riguardato le case rifugio. Diventa particolarmente difficile ospitare le donne che hanno bisogno di uscire di casa mantenendo il distanziamento sociale in un paese che conta una carenza di posti letto e in generale di strutture per l'ospitalità per le donne in situazioni di violenza.
Primi risultati dell'indagine 'I centri #antiviolenza ai tempi del #coronavirus'
— CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche (@CNRsocial_) May 8, 2020
Si è conclusa l’indagine realizzata nell'ambito del #ProgettoViVa coordinato da @CNRIrpps
I risultati saranno resi pubblici attraverso un Policy Brief sul sito del Progettohttps://t.co/q38PhNE8Gt pic.twitter.com/CKLHJ7zzld
Ci sono però anche degli aspetti che hanno funzionato abbastanza bene. Infatti, dopo i primi 10 giorni in cui i telefoni dei centri antiviolenza sono rimasti muti, a partire dalla seconda metà di marzo questo fenomeno si è invertito e le operatrici dei centri antiviolenza hanno trovato nuove modalità per interagire con le donne che ne avevano bisogno, spesso inventando anche delle strategie per entrare in comunicazione con loro senza che questo le esponesse a pericoli maggiori: non è facile, infatti, fare una telefonata quando ci si trova chiuse in casa con il proprio maltrattante. Per questo motivo, le operatrici dei centri antiviolenza hanno potenziato l'utilizzo dei social, ad esempio”.
Nel libro vengono infine discusse le prospettive future per la ricerca sul tema della violenza maschile contro le donne in Italia da affrontare nel corso di progetti di ricerca come ViVa, che è finito nella primavera 2021 e i cui risultati sono consultabili online.
“Le ultime fasi della ricerca hanno riguardato l'analisi di alcuni casi studio in cui abbiamo approfondito il funzionamento delle reti professionali e territoriali, la definizione di pratiche nei centri antiviolenza e nelle case rifugio, e i programmi di auto-aiuto”, spiega Toffanin. “L'obiettivo di questo lavoro è quello di fornire informazioni in vista del nuovo Piano nazionale antiviolenza, che si trova attualmente in fase discussione, così come l'Intesa sui requisiti minimi dei centri antiviolenza e delle case rifugio. La nostra attività di ricerca, quindi, non mira soltanto ad approfondire il dibattito scientifico sull'argomento, ma si propone anche di presentare dati utili per la definizione di politiche e interventi efficaci. Sappiamo inoltre che esistono delle possibilità di finanziamento per i programmi destinati agli autori di violenza, i quali però si trovano ancora in una fase sperimentale.
Anche i requisiti che riguardano tali programmi sono in fase di definizione e il nostro obiettivo è fornire la conoscenza necessaria per finanziare gli interventi svolti secondo le metodologie che si sono rivelate più efficaci e che vengono riconosciute anche a livello internazionale, sempre mantenendo al centro l'attenzione alle necessità delle donne.
La seconda parte del libro affronta proprio il tema della valutazione degli interventi, aprendo molte domande senza però chiuderne molte. Per poter fare una valutazione adeguata delle politiche di intervento occorre infatti avviare dei programmi di monitoraggio capillari. Come in molti altri settori delle politiche pubbliche, anche in quelle antiviolenza c'è ancora molto lavoro da fare. È importante investire anche nella formazione degli operatori e delle operatrici antiviolenza, perché solo professionisti e professioniste adeguatamente preparati sono in grado di fornire un sostegno adeguato, tenendo conto che l'obiettivo a cui aspirare è che sempre meno donne ne abbiano bisogno”.