UNIVERSITÀ E SCUOLA

La sfida di Pompei

Cinquanta ricercatori da tre dipartimenti: Ingegneria - Icea, Geoscienze e Beni culturali. Una squadra di professionisti al lavoro, da luglio 2015 a giugno 2017, per rinnovare le metodologie di studio e le conoscenze su uno dei più importanti siti archeologici del mondo. Dopo Nora in Sardegna e Gortina a Creta, il progetto Mach dell’università di Padova (Multidisciplinary methodological approaches to the knowledge, conservation and valorization of cultural heritage) è arrivato a Pompei, accogliendo una sfida lanciata dall’Unione Europea e dal ministero dei Beni culturali per la sicurezza e la valorizzazione di Pompei. A definire in maniera efficace questo importante progetto scientifico d’ateneo -frutto di un vero e proprio lavoro di squadra reso possibile da una convenzione tra i tre dipartimenti e la Soprintendenza-, è la professoressa Francesca Ghedini del dipartimento Beni culturali: “Le parole-chiave sono due: sinergia e futuro”.  E, in effetti, di questo si tratta: di collaborazione, di rete, di condivisione di metodi e competenze per raggiungere un obiettivo comune e spingere lo sguardo più in là, guardando al futuro di un sito prezioso, dal 1997 Patrimonio dell’Umanità, da tutelare e valorizzare.

Come caso-studio è stato individuato il complesso delle Terme del Sarno, a cavallo del fronte meridionale della città (II sec. a. C. - 79 d.C.) - in un settore di Pompei mai aperto al pubblico e usato come deposito dopo il bombardamento del 1943 -, e ne è stato valutato lo stato di salute attraverso un processo di progettazione, acquisizione di dati, elaborazione e rappresentazione di un modello tridimensionale dell’edificio, l'analisi microscopica e sub-microscopica dei materiali di costruzione e decoro e le scoperte nell’immediata periferia della città. “Le Terme del Sarno sono un complesso multifunzionale articolato, ora tutto da scoprire perché di fatto mai indagato dal punto di vista archeologico – spiega Maria Stella Busana, coordinatrice del progetto – Con una altezza di 28 metri, sei terrazze, un centinaio di ambienti con molteplici funzioni: residenziali, ricreative, di servizio, forse anche pubbliche. A noi è venuto spontaneo pensare all’opera Relatività di Escher, perché è tutto un gioco di scale”. Per Claudio Modena del dipartimento di Ingegneria, responsabile del progetto e dell’Unità di ricerca sullo studio statico e strutturale, “operare su Pompei è stata certamente un’occasione unica, da non perdere. L’intervento specifico del gruppo di lavoro di Ingegneria è stato rivolto alla conoscenza e valutazione dello stato di salute del complesso e alla realizzazione di un rilievo accurato”. Il contributo del laboratorio di Rilevamento e Geomatica del Icea è consistito “nella progettazione, acquisizione dati, elaborazione e rappresentazione di un modello tridimensionale del complesso, tramite l’integrazione di metodologie avanzate di rilevamento”, sottolinea Vladimiro Achilli, responsabile del rilievo 3D. “Sono state impiegate metodologie, quali laser scanning, satellitari Gnss, fotogrammetria e livellazione geometrica di alta precisione, che hanno consentito di definire piante, sezioni, ortofoto ad alta risoluzione, di misurare gli spessori delle volte e contribuire all’attività di monitoraggio della struttura”. Gilberto Artioli è invece il responsabile dell’Unità di ricerca sullo studio archeometrico dei materiali e sulle indagini geofisiche che ha investigato i materiali delle Terme del Sarno a diverse scale spaziali: “Tutti i materiali presenti nell’edificio, usati sia nelle fasi costruttive che in quelle di restauro, sono stati identificati e caratterizzati a livello microscopico e sub-microscopico per individuarne la natura, l’origine, la distribuzione e la loro funzione architettonica, strutturale o decorativa. I dati forniscono una solida base per la comprensione e l’interpretazione strutturale dell’edificio, la ricostruzione della storia architettonica e conservativa, e un punto di partenza per la proposta di conservazione futura”.

 

Infine, il contributo dell’Unità di ricerca sullo studio storico e archeologico ha permesso di delineare un quadro inaspettato dell’immediata periferia di Pompei: “I primi saggi di scavo e la campagna di carotaggi condotti fuori dalla città, in corrispondenza delle Terme di Sarno – spiega il responsabile Jacopo Bonetto, direttore del dipartimento Beni culturali -, hanno permesso la ricostruzione della morfologia dell’area, che presentava un ripido declivio, e hanno indagato le caratteristiche ambientali, un ambiente palustre, e l’uso degli spazi, le discariche”. Per l’università di Padova, Mach si offre come sintesi perfetta delle tre missioni di un ateneo: ricerca, formazione e terza missione. Il progetto ha posto le basi per il futuro: “Lo scopo finale non è solo quello di comprendere e conservare, ma anche di aprire questi spazi al pubblico – sottolinea Massimo Osanna, direttore generale del Parco archeologico di Pompei, ospite a Padova per la presentazione dei primi risultati - Non ci sono date certe, perché c’è ancora molto lavoro da fare e altre risorse da investire, ma dovremo iniziare a progettare una strategia di visita per riuscire ad aprire al pubblico le Terme del Sarno, forse già nel 2020”.

F.Boc.

 

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