UNIVERSITÀ E SCUOLA

Studenti, università e diritto allo studio

Una riflessione a tutto tondo sull’università italiana, scritta dai suoi primi fruitori: si presenta così il Rapporto sulla condizione studentesca 2015, redatto dal Consiglio nazionale degli studenti universitari, organo di rappresentanza presso il Miur. Il documento, previsto già dal Dpr 491 del 1997, nella sua ultima versione si presenta come una vera e propria miniera di dati che, anche se a volte eterogenei e non sempre recentissimi, danno tuttavia il quadro di un sistema in crisi, in particolare – ma non solo – per quanto riguarda il diritto allo studio.

Il problema principale, nell’analisi del Cnsu, è costituito dalla scarsità di risorse, ulteriormente acuita dai tagli degli ultimi anni: in Italia, evidenzia il rapporto, il peso dell’istruzione universitaria ricade in larga parte sulle famiglie. Nell’anno accademico 2013/14 sono stati spesi per le borse di studio oltre 470 milioni di euro: meno del 2009/10 (493), ma in risalita rispetto ai 392 milioni del 2011/12.  Quasi la metà delle risorse (42,2% del totale) proviene inoltre dagli stessi studenti, attraverso la tassa regionale per il diritto allo studio: in media 140 euro all’anno per ogni studente, con punte di 200 variabili a seconda del reddito e della regione. In misura minore gli assegni sono finanziati dallo Stato (34,2%) e dai contributi diretti delle Regioni (23,6 %), con un peso di questi ultimi che è molto diminuito nel corso degli anni. Il risultato è che in Italia ci sono 183.654 studenti idonei per la borsa di studio: appena l’8,2% degli iscritti, contro il 18% della Germania, il 19 della Spagna e il 27 della Francia, per non parlare di paesi come Olanda (95%), Danimarca e Svezia (che viaggiano intorno all’80).

Oltre un quarto degli idonei inoltre non percepisce materialmente il contributo a causa della mancanza di fondi, dando luogo a un’anomalia tutta italiana sconosciuta negli altri paesi europei. La percentuale varia a seconda del territorio considerato: in 10 regioni (tra cui il Veneto) nel 2013/14 tutti gli idonei hanno ricevuto l’assegno mentre in Sicilia si arriva appena al 32,3%, in Calabria al 42,1 e anche il Piemonte raggiunge solo il 55,1%. I requisiti di accesso sono eterogenei (anche se di norma comprendono un tetto di reddito e criteri di merito) così come gli importi delle borse, con una media nazionale di 3.422 euro all’anno, che arriva a 5.053 per i fuori sede. Resta il fatto che, secondo il CNSU, i criteri economici per l’accesso alle borse sono ben al di sotto delle reali necessità delle famiglie; bisogna infine considerare anche i ritardi nell’assegnazione, che possono arrivare ad oltre un anno. 

Se le borse di studio sono poche, meno ancora sono gli alloggi. Sempre nel 2013/14 gli enti per il diritto allo studio mettevano a disposizione – in una selva di tariffe e di condizioni – 40.017 posti letto sul piano nazionale, che riuscivano a soddisfare appena il 32% degli studenti fuori sede in graduatoria, circa il 4% del totale degli studenti in corso. Non se la passano bene infine nemmeno i servizi di ristorazione, spesso resi antieconomici – accusano gli studenti – dall’aumento generalizzato dei prezzi, soprattutto per le fasce di reddito medio-alte (sulla carta): un fenomeno che in molti casi ha la conseguenza paradossale di mettere in difficoltà le mense universitarie, dato che assieme all’utenza si riducono anche gli introiti.

L’insieme di questi fattori accentuerebbe la tendenza tutta italiana a rimanere nella propria città: nel 2011 su 100 laureati 49 erano “stanziali”, avevano cioè concluso gli studi universitari nella stessa provincia in cui avevano ottenuto il diploma. Nel frattempo si registra anche il calo della  mobilità tra regioni, con punte di quasi il 30% per quella proveniente dal Mezzogiorno in 9 anni (dal 2003/04 al 2012/13). Tra le principali mete dei flussi interni ci sono le conferme di Lazio (10.906 studenti in entrata nel 2011/2012), Emilia-Romagna (9.072), Lombardia (8.681) e Toscana (4.601). Ad aumentare è soprattutto il fenomeno del pendolarismo, che nel 2009 ha riguardato il 51% degli studenti (contro il 41% del 2000).

Tasse universitarie: anche se l’Italia risulta allineata alla media Ocse, negli ultimi 10 anni le contribuzioni sono cresciute del 63%, parallelamente ad una significativa riduzione (-17%) del numero di iscrizioni all’università: si è infatti passati da un picco di 338.496 immatricolati nel 2003/04 ai 269.549 del 2012/13, con un calo particolarmente vistoso nelle Isole e nel Mezzogiorno. Il livello medio delle tasse nelle università statali nel 2011/2012 era pari a 1.018 euro, oscillando da circa 1.350 euro per gli atenei del Nord ai 656 richiesti nelle Isole, mentre l’incidenza degli studenti esonerati era di circa il 15% nel Mezzogiorno, contro il 10% al Nord e il 9% al Centro. Tra gli unici dati positivi degli ultimi anni c’è invece l’aumento costante degli studenti che partecipano a scambi internazionali, sia in entrata che soprattutto in uscita, anche se il fenomeno ultimamente sembra essersi un po’ appannato.

Quello dipinto dai rappresentanti del Cnsu è insomma un quadro preoccupante, a cui si accompagna anche una riflessione sullo stato dell’istruzione accademica. Sono infatti a rischio per l’Italia gli ambiziosi obiettivi posti con la strategia Europa 2020, ideata dalla Commissione europea per rilanciare l’economia del continente, in particolare quello di aumentare sensibilmente l'istruzione universitaria tra la popolazione. Secondo l’Eurostat appena il 23,9% degli italiani tra i 30 e i 34 anni possiede una laurea, ben al di sotto della media europea, che si attesta invece sul 37,9%. Sotto accusa, per i rappresentanti degli studenti, ci sono anche le ultime riforme dell’università, nell’applicazione delle quali avrebbero spesso prevalso logiche di “cattedra”, unite a una strutturazione non organica dei curricula e a una scarsa riflessione sulla didattica. Oltre  alla costante riduzione del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), la voce principale di finanziamento degli atenei, passato dai 7.251 milioni del 2008 ai 6.406 del 2014. Per il 2015 il finanziamento è in risalita a 6 miliardi 923 milioni ma, lamentano gli studenti, un terzo dei fondi viene ormai assegnato con criteri competitivi, senza che questo si accompagni a una vera politica della qualità, antecedente alla valutazione e condivisa con la comunità accademica.

Il risultato è un’università italiana che, secondo il rapporto, è sempre meno a misura di studente, in cui restano alti la percentuale di abbandoni e il numero di anni per raggiungere la laurea. Questo “di fronte alla demagogia – concludono gli studenti – di una certa classe politica che individua nello scarso impegno dei singoli studenti la causa degli insuccessi”. 

Daniele Mont D’Arpizio

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