SOCIETÀ

Climate change: la CO2 aumenta mentre la politica latita

In questi mesi abbiamo sentito parlare sempre più della CO2, che è stata da più parti additata come il nemico numero uno, causa della gran parte dei cambiamenti climatici.

In parte è vero ma è bene considerare anche il fatto, e sembra una banalità dirlo, che di CO2 si vive, cioè che questa è parte dei cicli biogeochimici naturali e anche noi esseri umani, per non parlare degli animali, siamo fonte di CO2.

Dico ciò perché spesso si parte da buoni propositi per arrivare a delle aberrazioni scientifiche con slogan che arrivano a ripetere, anche in pubblicità televisive, "abbasso la CO2". Ciò su cui ci si deve concentrare è invece la costante e veloce crescita della concentrazione di questo biossido di carbonio nella nostra atmosfera. Come abbiamo già analizzato a fondo nel nostro reportage sui cambiamenti climatici, la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica ha superato la soglia delle 415 parti per milioni (ppm) il 15 maggio 2019. È una concentrazione superiore del 48% a quella dell’epoca pre-industriale, quando la concentrazione di CO2 in atmosfera era attestata sulle 280 ppm.

La CO2 quindi è l’indiziata numero uno per quanto riguarda il riscaldamento globale perché, assieme agli altri gas serra, di fatto trattiene il calore.

Nonostante gli scienziati stiano affrontando questi argomenti da molti anni è soprattutto grazie all’onda emotiva delle frasi e delle azioni di Greta Thunberg e di migliaia di altri ragazzi che si sono riversati sulle strade di molte città mondiali che il tema del cambiamento climatico è balzato agli onori della cronaca quotidiana.

Se ne parla molto ma per ora delle reali azioni concrete e, soprattutto, condivise non se ne sono viste. Anche alla stessa conferenza dell’ONU di fine settembre sono state diverse le dichiarazioni di apertura verso la direzione di abbassare le emissioni di gas serra, ma la concretezza, come spesso accade, latita. Indubbiamente la sensibilità sul tema è alta ma, già dal 1992, tutti i paesi mondiali stanno tentando, senza troppo successo, di mettere in atto qualcosa di concreto per evitare un futuro climatico disastroso per l’uomo.

I paesi che inquinano di più

Nonostante l’umanità si sia data obiettivi e strumenti per intervenire, ad oggi la disparità tra i paesi è ancora troppo elevata. Basti pensare che le emissioni pro-capite di uno statunitense sono più del doppio di quelle di un cinese, 8 volte quelle di un indiano e 200 volte quelle di un etiope. Insomma, gli abitanti degli Stati Uniti hanno un emissione pro capite di 16,6 tonnellate di CO2 all’anno, contro una media mondiale di 4,8 tonnellate.

Parlando di Stati invece i più “inquinanti” sono la Cina e gli Stati Uniti, con l’Unione Europea a 28 paesi che però non è da meno.

In totale nel mondo, nel 1900 erano prodotte 1.937 Mt (milioni di tonnellate) di CO2. In poco più di 100 anni questa misura è arrivata ad essere, secondo i dati del Global Carbon Project, di 36.831 Mt (nel 2018).

 

Anche dal punto di vista delle emissioni di CO2 quindi, possiamo dire che la Cina è uno dei due Stati più influenti del Mondo. Jeff Tollefson, in un reportage su Nature ha scritto che “dove va la Cina, è lì che va il Mondo”.

È un buon modo di tradurre i dati che abbiamo visto e, considerando che per ora le azioni messe in atto dallo stato più popoloso del mondo sono largamente insufficienti anche solo a mantenere il limite dei 2°, il destino del Mondo non sembra certo roseo.

Per capire quali sono gli stati che stanno mettendo in pratica delle azioni utili a restare all’interno del grado e mezzo di riscaldamento rispetto all’era pre-industriale, ci viene in aiuto il sito climateactiontracker. Peggio della Cina in quanto ad azioni volte a ridurre le emissioni dei gas serra ci sono solo: Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita, Turchia ed Ucraina.

Stati Uniti

Degli Stati Uniti sappiamo molto, dall’uscita dagli Accordi di Parigi fino ad un iniziale negazionismo dell’attuale Presidente Donald Trump: le azioni messe in atto da coloro che hanno la maggior produzione mondiale pro-capite di CO2 sono criticamente insufficienti. Significa cioè che non solo tendono ad essere ben lontane dal grado e mezzo ma, se tutto dovesse rimanere invariato e quindi portare nel 2030 ad avere emissioni annuali per 400 Mt, i gradi di aumento previsti sarebbero superiori ai 4° centigradi.

Una delle poche note positive è che, nel maggio 2019, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione per mantenere gli Stati Uniti nell'accordo di Parigi. Un segnale importante che ora ci si aspetta passi anche l’approvazione del Senato.

Russia

Ci sono poi Stati, come la Russia, che gli Accordi di Parigi non li hanno mai ratificati. I passi fatti fino ad ora dal presidente Putin sembrano, secondo gli standard del Climate Act Tracker, totalmente insufficienti. In seguito alla sua rielezione per il quarto mandato infatti ,Putin ha cercato di portare il paese a raggiungere una svolta tecnologica, ambientale ed economica con il programma “Ecologia” (Экология), ma allo stesso tempo in questo programma non c’è alcun accenno diretto alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Nel contesto russo, ma anche cinese ed europeo si deve inserire anche quella che potremmo considerare la “corsa all’oro Artico”. Con lo scioglimento dei ghiacci infatti, sono numerose le risorse, tra petrolio e gas naturale, che si troverebbero a disposizione all'interno del circolo polare Artico. 

Unione Europea

Veniamo all’Unione Europea che ha nuovamente ribadito, durante l’ultima conferenza all’ONU di fine settembre, di voler ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 30% rispetto ai livelli del 1990.

Germania, Gran Bretagna e Francia si sono anche impegnate a raggiungere l’obiettivo di un abbattimento del 60-80% entro il 2050. La stessa nuova Presidente della Commissione si è impegnata a far salire la soglia dell’abbattimento al 40% entro il 2030. Ma al contempo, nonostante queste promesse, le azioni per raggiungere gli accordi di Parigi sono considerate ancora insufficienti.

India

C’è poi il caso dell’India che contribuisce molto meno al riscaldamento globale rispetto ad altri grandi paesi, su base pro capite. L’India ha ratificato gli accordi di Parigi e, negli ultimi anni, è emersa a livello mondiale come leader delle energie rinnovabili, con gli investimenti in energia rinnovabile che hanno superato quelli in combustibili fossili.

Queste azioni sono volte a raggiungere l’ambizioso obiettivo d’avere una capacità energetica del 40% non più basata sui fossili entro il 2030, più di un decennio prima del previsto. Per tutto ciò l’India è considerata dal CAT, per ora, compatibile con l’obiettivo di un riscaldamento di 2° centigradi, tendente però a poter raggiungere anche il più ambizioso obiettivo dell’ormai “famoso” grado e mezzo consigliato dall’IPCC.

Marocco e Gambia: i due paesi più virtuosi

Secondo il CAT infine sarebbero solo due, dei 32 analizzati, i paesi che stanno attuando azioni in linea con l’1,5° centigradi rispetto l’epoca pre-industriale: il Marocco e il Gambia.

L’obiettivo del Marocco è quello di raggiungere una capacità di produzione elettrica da fonti rinnovabili del 42% entro la fine del 2020, percentuale che dovrebbe alzarsi al 53% entro il 2030.

Infine il Gambia, che nel 2017 ha pubblicato il primo volume del suo programma strategico per la resilienza climatica (SPCR), che sintetizza la sua strategia per integrare i cambiamenti climatici nella pianificazione e nell'azione politica. L'obiettivo dell'Accordo di Parigi in Gambia mira a ridurre incondizionatamente le emissioni del 2,7% entro il 2030 in regime di business-as-usual (cioè nel caso le cose non cambino) e del 45,4% sempre entro il 2030 nel caso ci fosse un sostegno finanziario internazionale. Finanziamento (della Banca Mondiale) che per ora ha portato alla realizzazione del primo progetto fotovoltaico nel maggio 2018 nell'area di Greater Banjul, cioè vicino alla capitale. Il Gambia inoltre, sempre nel 2018, ha lanciato un programma di ripristino di 10.000 ettari di foreste tropicali nelle aree più degradate.

A livello mondiale quindi, di riscaldamento globale e di azioni per evitare un futuro indesiderabile se ne parla dal 1992 ma, come abbiamo visto, le azioni concrete sono ancora troppo poche, come oramai poco è anche il tempo che resta per metterle in pratica.

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