CULTURA

1914, la marcia della follia

Chi ha premuto il grilletto per primo? Chi è il colpevole? Ma la guerra del 1914 era inevitabile? A questi interrogativi ha risposto lo storico Marco Mondini, ricercatore all’istituto di storia italo-germanico (Isig) di Trento e docente all’ateneo di Padova, nel corso del seminario su “Le guerre del Novecento”. E lo ha fatto riproponendo il clima in Europa nei primi anni del secolo scorso. “In Europa si respirava aria di guerra” scriveva Luigi Albertini, il direttore del Corriere della Sera, autore di tre volumi sull’origine della guerra del 1914. Ma c’era chi come lo scrittore austriaco Stefan Zweig sperava che il fuoco del conflitto non divampasse mai: “La fine dell’età dell’oro della sicurezza - scriveva nel “Mondo di ieri” - fu un trauma imprevedibile”.

Nel trattato di pace di Versailles, articolo 263, il responsabile del disastro è marcato a caratteri cubitali: “La Germania riconosce che lei e i suoi alleati sono responsabili, per averli causati, di tutti i danni subiti dai governi alleati ed associati e dai loro cittadini a seguito della guerra che a loro è stata imposta dall’aggressione della Germania e dei suoi alleati”. Termini durissimi, che Mondini ha definito un “unicum” per via dell’utilizzo di una formula colpevolista che non ha precedenti. E questa “colpa” ha pesato per decenni sulla Germania, acuita a quasi mezzo secolo di distanza dall’analisi dello storico tedesco Wolfgang Mommsen che nel 1961 ha pubblicato il libro The topos of inevitabile War in Germany in the decade before 1914: annotava che c’era una forte tensione fra le grandi potenze, il desiderio di cogliere l’occasione da parte dei militari stanchi di mostrare solo i muscoli, il diffondersi di notizie allarmistiche sui preparativi bellici altrui; di più, la guerra era vissuta come segreta speranza  di grandi cambiamenti da parte di giovani e intellettuali e l’idea di guerra in Europa non generava orrore . In Germania più che altrove il potere militare era autonomo e il controllo politico labile e tutto sommato la guerra veniva accettata come evento naturale nella vita dell’individuo.

 All’inizio del Novecento c’erano stati lampi di guerra non trascurabili: la prima crisi marocchina (1905-06) con i tedeschi molto irritati per l’espansionismo francese, seguita da una  seconda crisi nel 1911 (nota anche come crisi di Agadir perché la Germania inviò come ammonimento una nave cannoniera in quel porto). Parola alle armi anche in occasione della crisi della Bosnia nel 1908,  poi c’è stata la guerra italo-turca (1911-12) che ha dato il colpo di grazia all’impero ottomano. Infine, la prima e la seconda guerra balcanica con l’uscita di scena dei turchi. Non è sbagliato - ha detto Mondini - considerare la prima guerra mondiale come terza guerra balcanica, con l’Austria desiderosa di dare una lezione alla Serbia che si stava allargando troppo. Mentre tutto questo accadeva, i venti di guerra soffiavano forte: la Germania guglielmina portava i suoi effettivi da 600.000 a 800.000 unità e aumentava il budget destinato agli armamenti. Anche la Francia, tuttavia, non stava a guardare, portando la ferma militare a tre anni. Faceva proseliti anche una cultura militare che dava vincente chi avesse attaccato subito e per primo. C’era anche il mito della guerra breve. Gli appelli alla ragionevolezza caddero nel vuoto. L’anticorpo del salto nel buio fu sconfitto dall’anticorpo del nazionalismo e dalla cultura di guerra, una guerra più auspicata che temuta, ritenuta più necessaria che rovinosa. Il 28 giugno a Sarajevo fu assassinato  l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este. Un mese dopo, il 28 luglio 1914 la parola passò ai cannoni. L’impero austro-ungarico dichiarò guerra alla Serbia e l’Europa si infiammò. Una guerra inevitabile, perché a lungo preparata con piani dettagliatissimi, tutti saltati per aria al primo contatto col campo di battaglia. L’entusiasmo dell’estate 1914 ben presto scemò. “Tornerete prima che cadano le foglie dagli alberi”  aveva detto ai soldati in partenza per il fronte l’imperatore Guglielmo II. Mai previsione fu errata.

E l’Italia? Per l’Italia sì la guerra era evitabile. Si macerò nel dubbio per 10 mesi. Fu un’opzione meditata e conflittuale, che ebbe la meglio sulla maggioranza politica. “L’Italia - ha aggiunto Mondini - non è entrata in guerra da sonnambula, ma ben sveglia”. E ben presto cominciò a contare i suoi morti.

Ma la storia, trattato di Versailles a parte, chi indica come colpevole? Marco Mondini ha affidato la sua risposta alle parole dello storico Christopher Clark: “The outbreak of tre war in 1914 in not Agata Christie drama . There is no smoking gun in this story. The outbreak of war was a tragedy, not a crime”. Non si è trattato di un giallo che deve avere per forza un colpevole. Quella guerra è stata una tragedia non un crimine.

Valentino Pesci

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