SOCIETÀ

Euro, la strada a senso unico costeggia l'abisso

Il 20 febbraio sarà davvero un giorno decisivo per la crisi greca, oppure la soluzione della vicenda verrà ancora rimandata? Nell’attesa si discute a più livelli dei possibili scenari: se da una prospettiva economica, come avevamo scritto tempo fa, l’uscita dalla moneta unica è tutt’altro che facile da gestire, d’altro canto i problemi non mancherebbero nemmeno da un punto di vista legale. “La questione è complessa, perché i trattati non prevedono la possibilità per un paese di uscire dall’euro – spiega Bernardo Cortese, docente di diritto internazionale all’università di Padova – Teoricamente il Grexit sarebbe possibile solo con una modifica del Trattato sul funzionamento: tutti gli stati però dovrebbero essere d’accordo, compresa la Grecia, che invece ha già fatto sapere di essere contraria. Chiunque, da Cipro all’Estonia, potrebbe comunque bloccare l’accordo per pure ragioni di convenienza. L’unica cosa certa è che nessuno può essere cacciato contro la sua volontà”. A volte però anche l’irrazionalità si affaccia nella storia umana: “Certo se la situazione divenisse impossibile potrebbe saltare tutto. La Germania potrebbe essere tentata di uscire dall’Ue e di fare una nuova unione, in termini diversi e assieme agli altri paesi ‘virtuosi’. Per il momento però credo si tratti di fantascienza: spero che alla fine si trovi comunque una soluzione”. 

Come mai, a differenza di quanto accade per l’Ue nel suo complesso, per l’euro non è prevista una strategia di uscita?: “Alla moneta unica, secondo la concezione del trattato di Maastricht, dovrebbero tendere naturalmente tutti i membri dell’Ue, salvo quelli che hanno chiesto esplicitamente di restarne fuori, come Regno Unito e Svezia. La procedura di adesione all’euro non prevede nemmeno un passaggio nei parlamenti nazionali, anche se questo non è escluso. Teoricamente insomma è stato immaginato come un percorso in una sola direzione”. Se dunque Grexit sarà, molto probabilmente riguarderà i giuristi solo in un momento successivo. La porta di uscita non è stata prevista, ma si può sempre buttare giù il muro con il piccone: nessuno infatti, è stato detto, può obbligare uno stato sovrano a rimanere in un club contro la sua volontà. Solo dopo toccherà di nuovo al diritto il compito di sistemare i cocci.

Facciamo però un passo indietro e proviamo a capire qual è stata l’architettura istituzionale ideata per la moneta unica. “Da una parte c’è la politica monetaria vera e propria, di competenza della Banca Centrale Europea – continua Cortese –; dall’altra la politica economica, che invece è rimasta a livello di mero coordinamento tra stati. In quest’ultimo ambito opera il Consiglio, ma senza reali poteri”. Un’organizzazione sostanzialmente zoppa, che proprio nella crisi economica attuale mostra i suoi limiti: i diversi paesi infatti, nonostante l’introduzione dell’euro, negli anni hanno continuato a perseguire politiche economiche differenti, così come diversi sono rimasti i regimi fiscali. A fronte di paesi che, aiutati da una crescita più sostenuta che agevolava le entrate, hanno perseguito politiche di riduzione del debito, altri hanno contato maggiormente sulla spesa, portando ad uno squilibrio sul quale la lunga crisi ha agito da moltiplicatore. 

Proprio per obbligare in qualche modo i governi a una maggiore responsabilità economica e finanziaria, nel 2012 nasce il ‘Patto di bilancio europeo’, il cosiddetto Fiscal compact: “Si tratta di un trattato a sé stante, concluso al di fuori del quadro normativo dell’Unione. Gli inglesi in particolare infatti vi si opponevano, chiedendo in cambio della loro adesione che la City londinese fosse sostanzialmente esclusa dalla regolamentazione sui mercati finanziari. Un ricatto inaccettabile, tra l’altro pericoloso perché proprio la deregulation finanziaria è stata tra le cause della crisi attuale”. 

L’altra risposta europea alla crisi del debito è stata la creazione del cosiddetto ‘fondo salvastati’: “Anche questo è avvenuto al di fuori del quadro normativo Ue, dato che nei trattati sono teoricamente esclusi gli interventi a sostegno degli stati membri. Per salvare la situazione sono stati creati fondi formalmente autonomi, non solo per la Grecia ma anche per Irlanda, Spagna e Portogallo”. Infine la Bce si è mossa per contrastare la crisi anche con la leva monetaria, tenendo bassi i tassi d’interesse e da ultimo attuando il cosiddetto quantitative easing, contro il parere della stessa Germania.

La concessione di aiuti è stata condizionata all’adozione, da parte degli stati, di piani di austerity su cui vigilava la cosiddetta la Troika (composta composta da Bce, Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale), finita al centro delle polemiche proprio a causa della gestione della crisi greca: se è stato probabilmente comprensibile pretendere dal debitore misure che andassero nella direzione del risanamento, probabilmente ci sono stati anche eccessi in questo senso. “Già prima delle ultime elezioni greche giravano comunque voci di un accordo sul congelamento del debito greco – continua Cortese –; Molte delle comunicazioni e patti tra Troika e governi nazionali infatti non sono pubblici”. 

Oggi, dopo la vittoria di Alexis Tsipras alle consultazioni elleniche, il percorso di risoluzione della crisi sembra arrivato a un punto morto, arenato in un muro contro muro tra la Grecia da una parte, che chiede un finanziamento ponte contestando però la linea dell’austerità ritenuta un fattore di aggravamento e non di superamento della crisi, e dall’altra i paesi persuasi che le strategie di tagli e rigore nella spesa siano le uniche efficaci, guidati dalla Germania.Una situazione di impasse molto rischiosa: “In pericolo non c’è solo la Grecia, ma anche i suoi creditori. Non solo per le ricadute sul loro sistema economico, ma anche perché con un fallimento su questo fronte passerebbe il messaggio che non c’è un effettivo controllo sull’unione monetaria, e questo senza dubbio rischierebbe di riaccendere la speculazione".

Tutto questo cosa può insegnarci? “Oggi siamo a metà del guado: personalmente penso che l’unica strada efficace, e rispettosa della democrazia, stia in un percorso che comunitarizzi anche la politica economica e non solo quella monetaria, con il coinvolgimento della Commissione e soprattutto del Parlamento europeo. Non si può lasciare tutto in balìa delle schermaglie tra i governi”. Una soluzione in netto contrasto con il vento antieuropeista che in questo momento pare soffiare sul continente: “Gli antieuropeisti non vogliono tenere presente che il recupero totale della sovranità, anche monetaria, è oggi possibile solo a prezzi altissimi. Siamo davvero pronti a tornare a una situazione paragonabile a quella di fine Ottocento? È facile oggi sparare sull’‘Europa dei mercati’, dimenticando i decenni di benessere che ci ha assicurato”.

Daniele Mont D'Arpizio

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