SOCIETÀ
E se fosse la Germania a essere in debito con la Grecia?
Foto: Reuters/Alkis Konstantinidis
I titoli dei giornali di oggi sono tutti sulla vittoria di un partito della sinistra radicale in Grecia, sul carisma del suo leader, Alexis Tsipras, e sul “duello” imminente con la Commissione europea sul debito. Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble ha ammonito più volte che qualsiasi governo greco dovrà “rispettare gli accordi sottoscritti dai suoi predecessori” mentre i quotidiani del suo paese ripetono ossessivamente “un debito è un debito”. Si fanno i conti di quanto costerebbe agli altri paesi europei il default di Atene. Ci si chiede se l’uscita della Grecia dalla zona Euro provocherebbe la crisi del Portogallo e magari quelle della Spagna e dell’Italia.
In tutto questo, forse sarebbe il caso di ignorare le dichiarazioni dei politici e di tornare ai numeri. Prima questione: la Grecia cosa rappresenta per l’economia dell’eurozona? Circa il 2%. Le sue esportazioni, per esempio, stanno andando bene: fra i 6 e i 7 miliardi di euro a trimestre, l’equivalente del fatturato delle province di Padova e Treviso. L’Italia, nel 2014, ha esportato merci per un valore di circa 100 miliardi di euro a trimestre, 15 volte la Grecia. Ora, quest’ultima ha un debito di circa 317 miliardi di euro (175% del Pil) con una bilancia commerciale appena appena in attivo: circa 2 miliardi di euro nel 2014. È vero che le varie ristrutturazioni del debito hanno allungato molto le scadenze, che adesso sono, in media, di 16 anni mezzo ma basta prendere il pallottoliere per capire che, in buona sostanza, il debito greco non sarà mai ripagato.
Questa non è una situazione nuova nella storia europea, quindi possiamo guardare a ciò che è accaduto in precedenza al paese che per ben due volte ha cancellato, in tutto o in parte, i propri debiti: la Germania. Dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale i vincitori imposero alla Germania pesantissime riparazioni di guerra che la sua economia palesemente non era in grado di sostenere, come immediatamente capì John Maynard Keynes che scrisse nel suo Le conseguenze economiche della pace: “Gli scontenti popoli europei saranno disposti a organizzare le loro vite per un’intera generazione in modo che una parte sostanziale della produzione giornaliera vada a soddisfare pagamenti a favore di stranieri?” E la sua risposta fu: “Non credo che questi tributi saranno pagati, nel migliore dei casi, per più di qualche anno”.
Così avvenne: le riparazioni della Germania furono pagate solo in minima parte, furono all’origine della disastrosa inflazione del 1923 che ancora ossessiona i tedeschi, contribuirono al crollo della repubblica di Weimar e all’ascesa di Hitler. Tutto prevedibile, tutto già visto (per chi non l’avesse notato, il partito neonazista Alba Dorata nelle elezioni di ieri in Grecia è arrivato terzo).
Il problema dei danni di guerra si ripresentò ingigantito nel 1945: la Germania aveva scatenato un’altra guerra mondiale, provocato 20 milioni di morti alla sola Unione Sovietica, sterminato 6 milioni di ebrei, zingari e altri “indesiderabili”, raso al suolo Varsavia, Rotterdam, Coventry e decine di altre città europee, massacrato civili alle Fosse ardeatine, Marzabotto, S. Anna di Stazzema. Eppure, solo otto anni dopo tutto questo, nel 1953, a Londra fu firmato uno storico accordo che cancellava metà del debito tedesco verso Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti… E Grecia.
L’accordo era drastico: riguardava tutti i creditori, anche quelli privati, nessuno aveva la possibilità di sottrarsi. Alla Germania non venivano chieste “riforme” come il licenziamento di impiegati pubblici, la chiusura o la privatizzazione di servizi essenziali come la sanità o la scuola. Al contrario, venne inserita una clausola secondo la quale il debito doveva essere ripagato grazie al surplus commerciale tedesco, utilizzandone al massimo il 3%. In pratica, questo significava che i paesi creditori avevano un forte interesse ad acquistare merci tedesche, il che avrebbe permesso un rimborso, sia pure lento e parziale, dei loro crediti. Fu questo accordo a creare il famoso “miracolo economico” tedesco degli anni Cinquanta e Sessanta.
I tedeschi “meritavano” il condono del debito? Ovviamente no: le macerie ancora ingombravano le strade di molte città europee, i crimini e le distruzioni della guerra mondiale erano ancora vivi nella memoria di chi l’aveva vissuta. L’accordo di Londra fu concluso perché si voleva una Germania occidentale forte nel quadro della guerra fredda, un’alternativa alla Germania orientale inclusa nella sfera d’influenza sovietica. Il condono del debito era coerente con la filosofia del piano Marshall, riportare la crescita economica e con essa la prosperità in Europa. La stessa cosa che occorre fare oggi con la Grecia: cancellarne il debito non perché i greci siano “meritevoli”, o perché hanno eletto un governo piuttosto di un altro, ma perché è interesse comune di tutti gli europei mettere fine alle insensate politiche di austerità che ignorano le lezioni storiche del XX secolo e i fondamenti dell’economia.
Fabrizio Tonello