Foto: Solar Orbiter/EUI Team/ESA & NASA; CSL, IAS, MPS, PMOD/WRC, ROB, UCL/MSSL
Dopo cinque mesi dall'inizio della missione oggi osserviamo le prime immagini catturate da Solar Orbiter durante il viaggio che lo sta portando all'incontro ravvicinato con il sole, pubblicate durante la conferenza live organizzata da ESA.
La missione dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) in collaborazione con la NASA ed alcuni team scientifici americani, era stata lanciata lo scorso 10 febbraio da Cape Canaveral per comprendere come il sole crea e controlla l'eliosfera che avvolge tutto il sistema solare e per dare risposta ad alcune delle domande più importanti sulla nostra stella. Grazie ad una serie di "effetti fionda gravitazionali" che il satellite farà con il pianeta Venere sarà possibile osservare per la prima volta i poli del sole: l'inclinazione dell'orbita del satellite rispetto al piano su cui ruota la Terra, consentirà di catturare le immagini di queste regioni solari rimaste fino ad oggi inesplorate.
Come dichiarato dal direttore scientifico dell'ESA, Gunther Hasinger, i dati raccolti aiuteranno a proteggere il nostro pianeta dalle sfide globali poste dallo space weather.
#ICYMI Our #SolarOrbiter mission just released its first images, revealing never-before seen features on the Sun! Enjoy the stunning views and find out more in these interviews with @ESASolarOrbiter scientists Daniel Müller & Anik De Groof: https://t.co/WRfeDLubdd#TheSunUpClose pic.twitter.com/t7Xax4RIoV
— ESA Science (@esascience) July 16, 2020
Solar Orbiter
La sonda misura 2,5 metri di base per 3,1 di lunghezza e con l'apertura dei pannelli solari raggiunge un'estensione massima di 18 metri. È costituita da dieci strumenti che serviranno alla rilevazione e all'analisi delle particelle emesse durante l'attività solare, alla misurazione del campo magnetico del sole e all'acquisizione di immagini ad alta risoluzione della superficie solare.
Dopo diverse manovre assistite dalla gravità di Venere e della Terra, la sonda dovrà oltrepassare l'orbita di Mercurio per osservare il sole da una distanza di 42 milioni di chilometri. Le immagini che possiamo vedere oggi sono state scattate a 77 milioni di chilometri dal sole: come spiega Daniel Müller, uno degli scienziati che lavorano al progetto, ci vorranno circa due anni perché la sonda raggiunga il punto più vicino al sole.
L'inclinazione di 36 gradi rispetto al piano delle orbite dei pianeti consentirà l'acquisizione di immagini e informazioni sulle regioni polari del sole.
Per potersi avvicinare alla nostra stella, la sonda è dotata di uno scudo termico che serve a proteggere la strumentazione dalle temperature proibitive alle quali sarà sottoposta. Infatti, a 42 milioni di chilometri dal sole, la radiazione solare è tredici volte più intensa rispetto a quella che ricevono normalmente i satelliti in orbita attorno alla Terra, motivo per cui Solar Orbiter deve affrontare escursioni da circa +500 a -200° C.
Oggi Solar Orbiter ha appena terminato la sua fase iniziale di verifica tecnica nota come commissioning e già dalle prime immagini ci permette di osservare nuovi interessanti fenomeni. "Non ci aspettavamo davvero ottimi risultati sin dall'inizio. Possiamo anche vedere come i nostri dieci strumenti scientifici si completino a vicenda, fornendo un quadro olistico del sole e dell'ambiente circostante", afferma Daniel Müller.
Perché è importante l'esplorazione dei poli solari
Si tratta di regioni poco conosciute a causa della posizione del piano d'orbita terrestre, che, mantenendosi sempre al livello dell'equatore solare, non ne consente la visibilità. I poli potrebbero rivelare informazioni fondamentali sui fenomeni magnetici e sui moti turbolenti della fotosfera. Forniranno inoltre nuove informazioni sull'andamento ciclico del sole, che inverte il suo campo magnetico ogni undici anni. Questa inversione di polarità influisce sui periodi di massima e minima attività solare: la massima attività è caratterizzata dalla fitta presenza di macchie solari sulla superficie, che, nei periodi di minima attività, diminuiscono fino a scomparire. Queste due fasi determinano la quantità di materia emessa dal sole, sotto forma di particelle altamente energetiche, che è responsabile del tempo metereologico spaziale.
Le diverse facce del sole catturate con gli strumenti di Solar Orbiter EUI e PHI. Foto: Solar Orbiter/EUI Team; PHI Team/ESA & NASA
Metis
Uno dei maggiori contributi dell'Italia alla missione spaziale è il coronografo solare Metis, uno strumento progettato per catturare foto della corona solare nello spettro del visibile e dell'ultravioletto. Metis è stato realizzato anche grazie al contributo dei ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia, del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione e del Centro di Studi e Attività Spaziali "G. Colombo" dell'università di Padova.
Questo contributo rappresenta la continuazione di alcune attività spaziali iniziate più di trenta anni fa. "L’UltraViolet Coronagraph Spectrometer, uno degli strumenti che ha volato nel 1995 a bordo del satellite ESA/NASA SOHO, è stato il frutto di anni di lavoro del nostro gruppo di ricerca, ed una delle mie principali attività di ricerca in quegli anni - dice Piergiorgio Nicolosi, uno dei membri del Project Office di Metis. - Rivivere nuovamente una simile esperienza con Metis ed il Solar Orbiter, pur con un diverso ruolo, è stata una grande soddisfazione: questo ha dimostrato che quanto seminato in quegli anni in termini di competenze e nuove conoscenze nei giovani ricercatori sia stato poi messo a frutto, e abbia fatto in modo che il nostro Ateneo sia diventato un punto di riferimento nella realizzazione di strumentazione ottica per satelliti".
Grazie alle esperienze acquisite in quegli anni, oltre a successivi coinvolgimenti in altre missioni spaziali, il prof. Giampiero Naletto ha avuto il ruolo di experiment manager del progetto. "La nostra proposta di Metis - continua Giampiero Naletto - è stata selezionata da ESA a marzo 2009. Da allora Metis è stato al centro delle mie attività fino alla consegna dello strumento per la sua integrazione nel satellite otto anni dopo".
La realizzazione dello strumento ha richiesto un duro lavoro da parte dei ricercatori coinvolti, anche a causa dei problemi di budget che hanno reso necessario il suo ridimensionamento. Grazie allo sforzo collettivo è stato realizzato uno strumento che utilizza tecniche innovative e soluzioni ottiche e meccaniche che possono essere considerate un vanto per la tecnologia italiana.
"Queste prime immagini ottenute da Metis - sottolinea Aleksandr Burtovoi, un'assegnista di ricerca che sta lavorando sul progetto - sono esaltanti sotto vari punti di vista. Da una parte, per realizzare l’eclissi del disco e poter osservare la corona solare è stato realizzato un disegno ottico innovativo, le ottiche dello strumento sono state realizzate con le tecniche più avanzate e con la massima precisione possibile, e vedere adesso la qualità di queste immagini è realmente incredibile". Continua, " dall’altro c’è il fatto che questo strumento è in grado di osservare la corona solare non solo nel visibile, quindi come la vedremmo con i nostri occhi durante un’eclissi solare quando la luna oscura il disco del Sole, ma anche nel lontano ultravioletto, per poter così studiare la distribuzione dell’idrogeno nella corona. Questo è il primo strumento in assoluto che ci permette di vedere la corona ultravioletta a grandi distanze dal disco, e la combinazione delle due immagini, visibile e ultravioletta, ci permetterà di ottenere dei risultati scientifici di assoluta novità".
Per ottenere queste immagini gli scienziati hanno dovuto lavorare in condizioni critiche. Infatti, l’emergenza sanitaria ha avuto il suo culmine proprio nel periodo in cui si dovevano svolgere le attività di commissioning degli strumenti, cioè la verifica dopo il lancio che tutto funzionasse correttamente. "Il coronavirus purtroppo ha fatto sentire i suoi effetti anche nello spazio. Infatti per alcune settimane non è stato possibile accedere al centro di controllo a Darmstadt in Germania, per cui le attività di controllo orbitale del satellite, così come quelle della strumentazione scientifica, sono state svolte con i tecnici ed i ricercatori al lavoro ognuno con il proprio laptop da casa. È stato uno stress test non da poco - conclude Giampiero Naletto - ma fortunatamente tutto è andato bene".
Conclude, "è forse proprio grazie a tutte queste difficoltà superate, che adesso possiamo esprimere la nostra grande soddisfazione a condividere con tutti voi queste bellissime immagini. Si tratta di un risultato unico e che ci permetterà di investigare ancor più in dettaglio il nostro Sole, nel tentativo di descriverne meglio il funzionamento e svelarne alcuni aspetti ancor oggi non ben compresi".