SCIENZA E RICERCA

Protoni e ioni carbonio: cecchini contro il tumore

Si torna a parlare di terapia con i protoni (protonterapia) e la storia questa volta è quella di Ashya King, un bambino inglese affetto da medulloblastoma, un tumore al cervello. A leggere molte delle notizie in rete sarebbe stato questo tipo di trattamento, voluto dai genitori, a portare alla guarigione. Ma si tratta davvero di una cura tanto “miracolosa”?

Gli esperti non nascondono qualche riserva. In caso di medulloblastoma la terapia è codificata e prevede l’intervento chirurgico (cui il bambino sarebbe stato sottoposto), seguito da radioterapia e quasi sempre anche da chemioterapia. La prassi, seguita a livello internazionale, consentirebbe una percentuale di guarigione del 75-80%. “In tutta onestà – argomenta Roberto Orecchia, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) e del Centro nazionale di adroterapia oncologica (Cnao) – penso sia difficile sostenere che sia stata la terapia con i protoni a determinare un cambiamento nella prognosi del bambino, nella sua probabilità di guarire. Verosimilmente nel caso si fosse scelto il trattamento tradizionale il risultato sarebbe stato il medesimo”. E a ciò si aggiunga che, per parlare di guarigione definitiva, si devono attendere cinque anni.  

Certo, i vantaggi di questo nuovo approccio terapeutico non mancano. Immaginate un cecchino, un tiratore scelto, che colpisce senza margine di errore un bersaglio evitando il rischio di ferire la folla. La caratteristica dell’adroterapia, ambito disciplinare cui appartiene la protonterapia, è proprio questa. Si tratta di un tipo di radioterapia che utilizza particelle subatomiche pesanti al posto dei raggi X. Le più usate, oltre ai protoni, sono gli ioni carbonio. Caratteristica del trattamento è dunque di poter concentrare la dose in un volume ben definito (il tumore o la massa da irradiare) con una minore dispersione di radiazione nei tessuti sani circostanti. Gli ioni carbonio, in particolare, si dimostrano particolarmente efficaci in caso di tumori resistenti alle radiazioni convenzionali e anche ai protoni (la cui efficacia biologica è analoga a quella dei raggi X) per la loro capacità di determinare un danno maggiore a carico del Dna delle cellule tumorali.

Il trattamento presuppone l’uso di un acceleratore di particelle, chiamato sincrotrone, che scompone gli atomi in fasci di particelle subatomiche, strumentazione molto più complessa e costosa degli acceleratori necessari per la radioterapia classica. Le macchine acceleratrici utilizzate per la terapia con i protoni sono più piccole e meno costose rispetto a quelle per ioni carbonio e questo spiega perché i centri che utilizzano il primo metodo siano più numerosi rispetto a quanti propongono il secondo. In Italia, oltre al Cnao che offre entrambi i trattamenti, sono stati istituiti il centro di protonterapia a Trento e a Catania il centro di adroterapia oculare per il trattamento delle patologie rare con i protoni. “Oggi – spiega Orecchia – quasi 120.000 pazienti (a livello mondiale Ndr) sono trattati con terapia protonica e circa 13-14.000 con ioni carbonio”.  

In proposito però Orecchia è chiaro. “Ad oggi l’adroterapia non sostituisce la radioterapia”. I protoni vengono utilizzati in presenza di tumori che si trovano in sedi difficili, dove ci sono strutture circostanti molto delicate. È il caso ad esempio dei tumori della base cranica, generalmente non frequenti, come i cordomi e i condrosarcomi. Ma anche dei melanomi uveali per i quali la protonterapia rappresenta un’alternativa agli interventi chirurgici di enucleazione dell’occhio.

Se queste sono ormai “indicazioni consolidate” da anni, in cui il vantaggio è stato dimostrato, oggi però c’è interesse a sperimentare la terapia con i protoni anche in altre sedi. “Esistono dei protocolli negli Stati Uniti – spiega Orecchia – che integrano la terapia con i protoni con la chemioterapia nelle forme localmente avanzate di tumore al polmone”. Ma si pensa anche ai tumori situati in punti critici come il midollo spinale o vicino alla colonna vertebrale.

In caso di tumori resistenti alla radioterapia, invece, come alcuni tipi di sarcomi, i carcinomi adenoideo-cistici delle ghiandole salivari o in alcune recidive di tumori rettali, viene indicata la terapia con ioni carbonio. “Ultimamente – continua il docente – sono emersi risultati interessanti nel trattamento del tumore al pancreas a cattiva prognosi. A Chiba in Giappone, dove maggiore è l’esperienza in questo campo, la sopravvivenza dei pazienti trattati con ioni carbonio e chemioterapia è risultata doppia rispetto al miglior standard anche americano di radiochemioterapia”. E trattandosi di una situazione in evoluzione Orecchia sottolinea che in futuro si potrebbe pensare anche ad applicazioni al fegato o al seno.

Eppure, se le prospettive sembrano promettenti c’è chi suggerisce cautela, sottolineando che si tratta di un campo del sapere in cui mancano ancora robuste evidenze scientifiche. Ad oggi non si possiedono le conoscenze che invece esistono per la classica radioterapia, poiché si è ancora in una fase iniziale seppur consolidata. “Alcune indicazioni terapeutiche – risponde in proposito Orecchia – sono ormai accettate e standardizzate anche nel nostro Paese e mi riferisco al trattamento dei cordomi, dei condrosarcomi alla base del cranio e del melanoma dell’occhio”. Poi esistono “indicazioni potenziali”, casi in cui sono stati raggiunti risultati promettenti ma su pochi pazienti e necessitano di ulteriori conferme. “Certamente – continua – va considerato che l’istituzione di centri di adroterapia è recente. Le strutture che trattano pazienti con ioni carbonio sono solo sei in tutto il mondo. È naturale quindi pensare che non sia ancora possibile produrre ampi studi clinici”.

Attualmente tutti i 500 pazienti trattati al Cnao di Pavia da gennaio del 2014 sono inseriti in studi clinici controllati. Se infatti il vantaggio dei dosaggi in questo tipo di trattamenti è indubbio, argomenta il docente, richiede ancora una serie di conferme quanto questo si traduca in una maggiore efficacia o in minori complicazioni dal punto di vista clinico.     

Il prossimo obiettivo, ora, vorrebbe essere l’inserimento di queste prestazioni nei livelli essenziali di assistenza (Lea). Intanto Luigi Corti, responsabile del centro multidisciplinare per l'uso delle radiazioni non ionizzanti in oncologia dell’Istituto oncologico veneto (Iov), informa che la Regione ha stipulato un accordo con la Provincia autonoma di Trento affinchè i pazienti possano essere rimborsati delle prestazioni  di protonterapia del centro trentino già dal primo gennaio del 2015. Il trattamento per chi abita fuori dalla Provincia di Trento è infatti a pagamento e dell’ordine di migliaia di euro.      

Monica Panetto

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