UNIVERSITÀ E SCUOLA

Una buona laurea fa buon reddito (quasi sempre)

In tutto il mondo uno dei fattori che guida lo studente nella scelta del corso di laurea al quale iscriversi è quello delle prospettive occupazionali e di guadagno. Aspetto, questo, tanto più rilevante negli Stati Uniti, in virtù dell’elevato costo degli studi universitari.

Un recente studio del Center on children and families del Brookings Institute ha calcolato che un laureato americano nell’arco della propria vita guadagna mediamente 570.000 dollari in più di un diplomato. Ragionando rigidamente in termini di ritorno economico, e considerando un costo medio di un corso di studi quadriennale americano pari a 102.000 dollari, risulta perciò evidente come la spesa in studi universitari sia un ottimo investimento. Sembrerebbe quindi ancora vero che per un cittadino statunitense la laurea rappresenti il miglior ascensore sociale e spesso un prerequisito per raggiungere l’agognata middle class, provenendo da fasce sociali inferiori. Tuttavia le cifre specifiche variano notevolmente a seconda delle discipline studiate, dell’ateneo frequentato e, ovviamente, anche e soprattutto dell’occupazione trovata.

Tornano a proposito allora le statistiche del censimento americano del 2010 che mostrano come la laurea che garantisce il maggior reddito sia quella in ingegneria, mentre gli studi con il peggior ritorno d’investimento sono quelli pedagogici, artistici, le facoltà di psicologia e più in generale tutti i corsi di laurea che preparano all’insegnamento scolastico. È doveroso, però, considerare anche la possibile incongruenza tra studi effettuati e occupazioni poi realmente svolte: specie per i laureati in lingue o in scienze sociali, l’occupazione non corrisponde al curriculum universitario scelto e molti di questi laureati hanno letteralmente dovuto “reinventarsi” per entrare nel mondo del lavoro. Le statistiche non cambiano però molto, pur tenendo conto di questa variabile: la categoria occupazionale più pagata resta quella degli ingegneri e degli architetti, seguita da scienze informatiche e tecnologiche e dai ruoli manageriali in generale. In coda restano i generici lavoratori dei “servizi”, preceduti di poco dagli insegnanti delle scuole inferiori. Nessuna grande sorpresa quindi, sebbene vada sempre tenuto a mente come le statistiche non tengano conto degli effettivi carichi di lavoro, delle passioni, dei talenti personali e della qualità della vita lavorativa.

Se il rapporto tra discipline studiate e prospettive di guadagno risulta abbastanza prevedibile e applicabile anche ad altre realtà internazionali, di sicuro interesse è il monumentale studio effettuato dal centro di ricerca indipendente Payscale sull’effettivo ritorno economico dato dal conseguimento di una laurea nei singoli atenei americani. Payscale ha studiato i dati dei laureati di oltre 1.400 istituti universitari statunitensi, pubblici e privati. Per ritorno d’investimento medio si è considerato la cifra totale guadagnata da un individuo nei 30 anni successivi alla laurea, detratte sia le spese complessive sostenute negli anni del college (retta d’iscrizione, vitto e alloggio) che quanto lo stesso individuo avrebbe guadagnato da semplice diplomato. I dati sono poi ponderati considerando eventualmente anche le borse di studio godute e gli interessi pagati sui debiti contratti per pagarsi l’iscrizione universitaria. È una metodologia che presta il fianco a molte critiche, tra le quali il fatto che lo studio non possa tener conto dei già menzionati percorsi lavorativi “eccentrici”, che non si tenga in considerazione la provenienza sociale dei singoli né la collocazione territoriale degli atenei e la relativa situazione economica del contesto circostante. La ricerca ha però il pregio di fornire una visione d’insieme che mette in luce le profonde differenze di prospettive di guadagno date da ciascun ateneo.

Lo studio dimostra infatti come le università pubbliche tendano ad avere un miglior ritorno d’investimento degli atenei privati e come gli istituti più selettivi rimangano ai primi posti delle prospettive di guadagno. Ma ad emergere è anche la posizione di un centinaio di atenei con un ritorno d’investimento minimo o negativo: in una prospettiva trentennale, cioè, il laureato avrebbe fatto meglio a non iscriversi a queste università perchè da diplomato avrebbe guadagnato cifre simili a quelle che guadagna adesso e almeno non avrebbe dovuto pagare i costi d’iscrizione. Agli ultimi posti si trovano, ad esempio, college privati come il Ringling College of Art and Design e the Art Institute of Pittsburgh, che a fronte di rette universitarie quadriennali di 150-200.000 dollari non garantiscono adeguate aspettative di stipendio ai propri laureati.

È curioso infine notare come ai primi posti della classifica di PayScale non si trovino soltanto nomi di prestigio mondiale come il Mit, Stanford University e Caltech, ma anche istituti meno noti come il californiano Harvey Mudd College, la Colorado School of Mines e lo Stevens Institute of Technology: scuole a forte caratterizzazione scientifico-tecnologica che spesso costano molto meno dei loro più illustri omologhi ma che ugualmente garantiscono posti di lavoro molto ben pagati.

Marco Morini

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