UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università: lo scoglio del primo anno

Il numero dei laureati, in Europa e nella gran parte dei paesi sviluppati, ristagna o vede un calo più o meno accentuato, sia che lo si rapporti alla popolazione complessiva, sia che si consideri la percentuale dei giovani che riescono a portare a termine gli studi dopo essersi iscritti. Questo fenomeno, che negli ultimi anni ha interrotto un trend positivo che durava dal dopoguerra, è per molti versi riconducibile alla lunga crisi nella quale siamo ancora immersi, e - benché non sia molto considerato da parte dell’opinione pubblica - promette di avere un impatto sensibile sul futuro. Nel nostro Paese, che vede un drastico calo delle immatricolazioni (anche se in modo difforme, e con alcuni Atenei, fra cui quello di Padova, in controtendenza), ultimamente ci si è concentrati su alcune caratteristiche del nostro sistema universitario, come la forte incidenza dei fuoricorso.

Altrove, l’attenzione riguardo la troppo grande differenza fra il numero di quanti si immatricolano e quello dei laureati si è incentrata su un altro aspetto, quello degli abbandoni precoci. Gli studenti, cioè, che lasciano dopo il primo anno. In Francia, ad esempio, dove la preoccupazione per questo fenomeno è alta, si è deciso di tentare di porvi rimedio rafforzando l’orientamento: la strategia adottata è aiutare i giovani neodiplomati a scegliere correttamente il corso di studi a partire da attitudini, capacità, competenze e disponibilità effettive, e  non solo seguendo l’impulso. Per farlo, occorre raggiungere i futuri studenti molto presto, fin da prima del diploma se possibile, e comunque attraverso un percorso precedente all’immatricolazione.

Il 2013 è appena cominciato, ma in tutta Europa gli studenti delle ultime classi delle superiori iniziano a pensare, se non l’hanno ancora fatto, alla scelta dell’università. In Francia fino al 20 marzo i ragazzi devono registrarsi sul sito www.admission-postbac.fr (detto anche familiarmente APB), attraverso il quale potranno compilare il loro dossier personale, indicando i corsi di laurea e le sedi ai quali sono interessati. Dopodiché il sistema distribuirà gli studenti tra le varie sedi universitarie – solo nell’Ile-de-France ci sono 17 università divise in tre académies, rispettivamente a Parigi, Versailles e Créteil – sulla base di alcuni criteri, come l’ordine delle preferenze e la residenza. Sempre che non si tratti dei corsi a numero chiuso che negli ultimi anni si sono moltiplicati un po’ dappertutto, sull’esempio di quelli delle grandes écoles (come la famosa Normale) e delle lauree nelle materie mediche.

La novità negli ultimi anni è che sempre più nelle procedure di iscrizione sono compresi alcuni passaggi, come questionari e incontri, che hanno l’obiettivo di verificare le competenze e gli interessi dei singoli rispetto agli studi che si intendono intraprendere. Con la Loi sur l’autonomie des universités del 2007 è stato infatti riconosciuto il diritto dei ragazzi a una orientation active prima di iscriversi all’Università; quanto alle procedure concrete poi, queste sono state lasciate ai singoli istituti universitari: si va dai test on line anonimi alle lettere di presentazione, fino all’esame dei voti dell’ultimo anno delle superiori e ai colloqui individuali.

Il motivo dell’adozione di queste misure è che in Francia rimane molto alto il numero degli abbandoni dopo il primo anno. Secondo le statistiche del ministero dell’educazione nazionale, recentemente pubblicate da Le Monde, tra gli studenti entrati all’università nel 2010 in media soltanto il 63,4% ha rinnovato l’iscrizione l’anno dopo; il 10,2% ha cambiato corso, mentre addirittura il 26,4% ha abbandonato l’università. Una vera e propria ecatombe, anche se con situazioni molto differenziate al suo interno: mentre infatti sono circa la metà gli studenti che abbandonano le facoltà di lingue e di lettere, si dimostrano invece molto più “resistenti” gli iscritti a ingegneria  (l’81.9% si iscrive al secondo anno) e agli Instituts Universitaire de Technologie (IUT), che offrono corsi di formazione professionalizzanti che durano due o tre anni.

Un tasso di abbandono molto elevato, anche rapportato a quello italiano. Prendendo come esempio l’Università di Padova, il 17,6% delle matricole del 2010 ha abbandonato il proprio corso di laurea triennale a un anno dall’iscrizione (dati del Rapporto annuale 2011, a cura del Nucleo di Valutazione di Ateneo). Tra gli iscritti a corsi di laurea magistrale a ciclo unico – come Medicina, Veterinaria, Farmacia e Giurisprudenza – il dato poi scende addirittura al 9,3%. A livello nazionale non ci sono numeri sufficientemente omogenei per un confronto, possono però aiutare quelli presentati l’anno scorso nel corso di un convegno promosso da Almalaurea: nell’anno accademico 1009/2010 la percentuale di abbandono universitario si attesterebbe al 18,4%, con un crollo di quasi nove punti rispetto a dieci anni prima.

Nel nostro Paese il drastico abbattimento dei tassi di abbandono universitario (da più del 30% nel 1994 ai livelli degli ultimi anni) si è verificato soprattutto all’inizio degli anni 2000, dopo l’introduzione della riforma del “tre più due”. Del resto la percentuale degli abbandoni non è l’unico indicatore significativo della riuscita universitaria: in Italia ad esempio continua ad esserci una percentuale allarmante di studenti fuoricorso che, secondo i dati pubblicati dalla lavoce.info, arriva quasi al 40% degli iscritti. In Francia, dove pure sono state fatte delle riforme analoghe in seguito al Processo di Bologna, negli ultimi anni la scelta è stata soprattutto di scommettere sull’informazione e l’orientamento preuniversitario.

In tutti i casi l’orientation active non serve a selezionare gli studenti: le università non possono infatti rifiutarsi di iscriverli, se questi alla fine scelgono di seguire studi per i quali risultano meno portati. Si tratta comunque di un sistema che non sembra ancora funzionare alla perfezione, se è vero che spesso gli studenti preferiscono fare di testa propria, cercando di evitare i colloqui e i questionari, percepiti come “lungaggini burocratiche” che fanno parte della procedura di iscrizione, e non come una risorsa su cui contare.

Daniele Mont D’Arpizio

Michele Ravagnolo

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