UNIVERSITÀ E SCUOLA

Giovani archeologi, detective del passato

Un ampio e complesso progetto didattico firmato dagli archeologi dell’università di Padova si svela al pubblico e racconta i primi significativi risultati raggiunti. Ecco cosa accade quando studenti, ricercatori e docenti di Archeologia collaborano con cura, impegno e senza riserve per raggiungere un obiettivo comune e realizzare un progetto innovativo capace di coniugare tecnologie all’avanguardia di telerilevamento con lo scavo archeologico tradizionale. Il lavoro recente condotto sull’altopiano vicentino dei Sette comuni, e in particolare nello scavo del villaggio pre-romano del Bostel di Rotzo, è raccontato ora attraverso una piccola ma efficace mostra fotografica allestita fino al primo giugno nel ballatoio di fronte all’aula Diano di Palazzo Liviano (ingresso libero, con visite guidate su prenotazione per le scuole: stempa.unipd@gmail.com), con un pannello che racconta la storia degli studi sul sito del Bostel, a partire dalla scoperta nel 1781 da parte dell’abate Agostino Dal Pozzo - che intendeva adibire i terreni alla coltura della patata e vi trovò invece un gran numero di reperti e casette semi-interrate di epoca pre-romana –, passando per il primo scavo sistematico del 1912, per la campagna del 1969 e i primi interventi sul campo effettuati dell’università di Padova nel 1993. Indagini X immagini, di evidenze archeologiche documenta i risultati più significativi raggiunti in quasi due anni di lavoro dal Progetto Stempa (acronimo di Scavo, telerilevamento, studio dei materiali e del paesaggio dell’altopiano di Asiago) del dipartimento dei Beni culturali, finanziato con i fondi per i progetti innovativi proposti dagli studenti, ideato da Luigi Magnini con il supporto del professor Armando De Guio, docente di Tecniche di scavo e ricognizione e archeologia del territorio, e realizzato da un gruppo di studenti di Archeologia. “I finanziamenti termineranno a giugno, ma il progetto non si fermerà. Abbiamo in programma una nuova campagna di scavi dal 27 agosto al 5 ottobre prossimi”, spiega il co-coordinatore Luigi Magnini. “Siamo un team affiatato, stiamo lavorando bene e continueremo a farlo. E si stanno anche moltiplicando le tesi dedicate al sito”.

Le attività del progetto si sono concentrate su teleosservazione, ricognizione e scavo stratigrafico, documentazione grafica  e  fotografica, in  2d  e  3d, e studio dei materiali. Ora, attraverso una piccola esposizione, si intende dare visibilità e concretezza al Sistema informativo geografico (Gis), strumento per la gestione e l’analisi della documentazione archeologica, contenitore digitale di informazioni sugli strati archeologici e i loro rapporti, i materiali rinvenuti e, in generale, il contesto territoriale dell’area indagata. Il pannello presentato al Liviano ricorda la lavagna interattiva di un detective con annotazioni, fotografie, indizi e risultati da aggiornare costantemente. La curatrice è Cinzia Bettineschi: “Abbiamo scelto di proporre un allestimento dinamico per poter intervenire oggi ma anche in futuro, raccontando i risultati raggiunti di volta in volta. Inoltre, il pannello interattivo consente al pubblico di interagire”. E Bettineschi continua: “La fotografia si fa strumento di espressione, studio e condivisione. È questione di scala, partendo dall’immagine satellitare multispettrale del promontorio del Bostel, elaborata in falsi colori, si entra nel sito e fin dentro lo scavo, scoprendo un paesaggio terrazzato e l'ingresso a un’abitazione semi-interrata. Da questo nucleo si dipartono relazioni e collegamenti attraverso cui sono mostrate alcune fasi salienti del lavoro che gli archeologi del progetto hanno condotto sul campo e in laboratorio: topografia, documentazione grafica e fotografica in due e tre dimensioni, sorvoli con drone, ma anche identificazione e descrizione degli strati, lavaggio, schedatura e disegno dei reperti, indagine dei materiali con microscopio stereoscopico e datazioni radiocarboniche. La mostra rappresenta un ulteriore passo nel lavoro di ricerca, che mira a condividere le esperienze e i risultati ottenuti con tutti gli interessati”.

Il territorio indagato, sfruttato fin dalla pre-protostoria come via di collegamento commerciale tra l’Europa continentale e il Mediterraneo. Vie commerciali e abbondanza di materie prime resero questi altopiani, sede di frequentazioni stagionali legate alle pratiche di alpeggio e della lavorazione dei metalli, e poi di insediamenti stabili a controllo delle vie commerciali stesse, come esemplificato dal villaggio del Bostel di Rotzo che si affaccia sulla Val d’Astico e la Val d’Assa. Nelle Memorie istoriche dei Sette Comuni vicentini del 1820, l’abate Agostino Dal Pozzo così descriveva questi luoghi: “Sulle sponde della Valdassa, un quarto di miglio dal Castelletto di Rotzo, sorge una piccola eminenza, che chiamasi Bostel. Su questa havvi un poderetto di forse cinque in sei campi ridotti a coltura. Duravasi fatica a ben lavorarli, atteso che l’aratro intoppava tratto tratto in pietre per lo più mobili e coperte. La mia famiglia cui questo appartiene, determinò di farlo purgare dai sassi per migliorarlo, e però lo fece roncare da capo a fondo alla profondità d’un piede e mezzo. Si accorsero tosto gli operai, che quelle pietre spettavano a dei muri di case demolite, e poi interrate”.

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