SOCIETÀ

Clima 2021, un anno davvero "caldo"

Il negoziato climatico globale sta forse per ripartire alla presenza fisica di tutti i protagonisti. Ciò non è garanzia sufficiente di un risultato positivo, né quest’anno né in prospettiva. Tuttavia, è una premessa necessaria affinché si provi davvero a fare di più e prima per ridurre le emissioni climalteranti e per adattarsi meglio ai cambiamenti climatici antropici planetari. Lo scoppio della pandemia ha costretto a rinviare le occasioni di incontro collegiale previste nel 2020, pur se il negoziato gestito dalle Nazioni Unite non si è mai fermato (anche con eventi virtuali); è presumibile che a fine 2021 sarà possibile svolgere conferenze in presenza di delegazioni e delegati. Nel frattempo, gli Stati Uniti, il paese che da sempre emette più gas serra pro capite, hanno avviato le procedure per rientrare in quello stesso negoziato (da cui di fatto mancavano da vari anni); il precedente presidente (in carica dal gennaio 2017) aveva avviato da tempo le complesse norme per il ritiro ufficiale degli Usa dagli accordi di Parigi del dicembre 2015 (entrati in vigore il 4 novembre 2016), annunciando il ritiro già nel giugno 2017, ritiro che poi è divenuto progressivamente operativo per entrare definitivamente in vigore proprio il 4 novembre 2020 (il giorno in cui Trump ha perso le elezioni per il secondo mandato); l’attuale presidente Biden ha fatto del rientro al tavolo negoziale una visibile motivata priorità politica, interna e internazionale. 

gas serra nel lunghissimo periodo impattano sul clima del vivente umano e non umano, nel breve e nel lungo periodo, fra l’altro, sul respiro e sulla salute della oltre metà cittadina degli umani. La riduzione delle emissioni petro-carbonifere (specie quelle di trasporti e riscaldamento) non serve solo a contenere il riscaldamento del pianeta e i conseguenti costi finanziari e sociali, ma anche a ridurre l’inquinamento atmosferico. Da circa trent’anni è in corso un negoziato globale affinché la specie umana, attraverso i propri rappresentati istituzionali, comprenda e reagisca rispetto agli evidenti cambiamenti climatici antropici globali. Può risultare forse utile riandare un attimo, con il retroterra scientifico in mente e con i testi in mano, al celebre documento finale approvato da tutti poco più di cinque anni fa a Parigi in occasione della ventunesima Conferenza delle parti della Convenzione Onu (Cop21 della Unfccc), la cui attuazione sarà verificata nel 2021. Nei commenti di allora furono sprecati aggettivi di clamore storico. Tutti le capitali e le nazioni che ospitano un’importante conferenza Onu vogliono aver lasciato un segno indelebile nel percorso dell’umanità, ogni capo di governo e ogni ministro vogliono poter dire di aver influito su una svolta epocale durante il proprio mandato, ogni militante e ogni interesse costituito vuole non sprecare il proprio tempo. Le categorie del bicchiere mezzo pieno-vuoto, della rivoluzione e del fallimento, di ottimismo-pessimismo ritornano ciclicamente nel negoziato climatico e non aiutano a comprendere e ad agire. 

Che la temperatura media del pianeta stia crescendo per comportamenti umani e che il riscaldamento provochi effetti già dannosi e potenzialmente rovinosi è acclarato sul piano scientifico e diplomatico da oltre 30 anni. L’Onu è un benestante precario corpo di nazioni formalmente unite, da quando è finita la guerra fredda ha cominciato a muoversi su ambiente e sviluppo, nel 1988 ha legittimato un gruppo mondiale di scienziati che nel 1990 hanno approvato un primo Rapporto sui Cambiamenti Climatici e nel 1992 ha organizzato a Rio una Conferenza per approvare una conseguente convenzione (insieme ad altri atti e indirizzi). Da allora sono seguiti l’entrata in vigore, ben 25 incontri di tutte le “parti” dell’Onu e altri quattro rapporti dell’Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change). Il lavoro svolto dagli studiosi subisce varie successive revisioni scientifiche (sia da parte di esperti governativi che da parte di esperti indipendenti) prima di essere discusso e approvato dall’Assemblea Plenaria. I volumi del V° rapporto uscirono fra il settembre 2013 e il novembre 2014, quelli del VI° Ipcc Report erano tutti previsti per il 2021 Ci sarà invece un breve rinvio, sempre causa pandemia; continueranno a essere monitorate, raccolte e verificate ricerche e analisi di scienziati di tutto il mondo riferite sia all’ecosistema globale che a ogni parte del pianeta; le uscite dei rapporti dei vari gruppi di lavori e della sintesi finale slitteranno verso il 2022

I primi autorevoli comparati studi alla base del negoziato risalgono a molti decenni fa e sono stati di continuo aggiornati; da oltre mezzo secolo sappiamo con sempre maggiore precisione che la temperatura del 2050 non dovrà aumentare di oltre 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, se vogliamo evitare uno sconquasso ingestibile nell’ecosistema globale e in tante singole aree, ingentissimi costi e migrazioni forzate. Nel dicembre 1997 a Kyoto si era adottata una strategia di impegni scadenzati e vincolanti, lì (come primo passo e per un primissimo periodo fino al 2012) solo per i paesi che avevano provocato più emissioni e riscaldamento. Il protocollo entrò in vigore solo 8 anni dopo e progressivamente quella strategia è stata abbandonata, se ne è abbozzata un’altra nell’ultimo decennio. Non sono stati più negoziati obblighi quantificati e scadenzati, globali e differenziati, legalmente vincolanti, di riduzione delle emissioni per garantire al pianeta un aumento minimo della temperatura (e minor inquinamento). Si è deciso che ogni paese dovrà e potrà fare come e quanto vuole, ridurrà e si adatterà volontariamente, tutti i paesi del mondo però, questa è la nuova strategia, piani nazionali di mitigazione e adattamento sulla base di indici e criteri concertati, pubblicamente e unitariamente valutati. 

Grazie all’Accordo di Parigi la nuova strategia ha avuto un minimo percorso legalmente vincolante e qualche punto fermo “politico”. I due punti cruciali e minimali del negoziato erano stati i soldi e i controlli: quanto e come mettono fondi i paesi ricchi per aiutare quelli poveri; chi e con quali coerenti omogenei strumenti va misurata l’eventuale riduzione. Sul piano finanziario fu trovato un qualche consenso, sia sulla cifra annuale dopo il 2020 (si badi bene), sia sulle modalità di versamento prima e dopo il 2020. Sul piano amministrativo si lasciò una eccessiva flessibilità: i piani nazionali di impegni volontari che sono stati ormai presentati da molte delle 197 parti, anche se fossero rispettati, provocheranno un aumento della temperatura tra il 2,7 e il 3%. Nel prossimo decennio in ogni paese dovremo ottenere che si faccia prima e meglio. E poi ci sono le grandes questions oubliées come le aveva chiamate lo speciale di Le Monde per Cop21: oceani, biodiversità, migrazioni, sicurezza alimentare. Questi temi non figurano nemmeno all’interno del negoziato climatico, pur essendo strettamente connessi agli impatti e agli effetti dei cambiamenti climatici in corso. Né si è ben concertato finora su resilienza degli ecosistemi, biodiversità dei beni comuni, lotta a ingiustizie e inuguaglianze, garanzia globale di libertà di accesso alle risorse, cooperazione (anche decentrata) allo sviluppo sostenibile. Nel prossimo decennio dovremo ottenere che si apra un serio negoziato globale, i documenti di Parigi non danno certezze su energia e agricoltura, mobilità e migrazioni sostenibili. 

Appare fin d’ora prevedibile che a Glasgow nel dicembre 2021 Cop26 prenderà atto, necessariamente e tristemente, della conclusione del vigore del Protocollo di Kyoto del 1997 e tenterà anche di fare il punto sulla precaria inadeguata attuazione dal successivo Accordo di Parigi della Cop21 del 2015, dopo sei anni, cercando un consenso ampio sui tanti sospesi e su alcuni dei vuoti. Il combinato disposto delle parti “legali” e delle parti “politiche” rendeva non indispensabile l’iter legislativo americano. Tuttavia, l’attiva presenza americana è indispensabile per un serio quadro multilaterale di indirizzi e comparazioni, tanto più che svariate metropoli e alcuni singoli stati americani sono stati certamente protagonisti di politiche volitive per la riduzione delle emissioni. La svolta rappresentata dalla nuova presidenza americana andrà apprezzata nelle sedi negoziali, anche rispetto all’insieme delle strutture Onu abbandonate; è senza dubbio positivo che vi siano state immediate coerenti scelte anche su altre politiche interne come quelle su auto, camion, centrali elettriche, estrazioni; già John Kerry, inviato speciale per il clima della nuova amministrazione Biden, ha annunciato la convocazione per il 22 aprile 2021 di un summit mondiale, in occasione della giornata mondiale della terra. Dovremo continuare a prestare (interessata) attenzione. 

Resta il fatto che in questi trenta anni il negoziato non ha prodotti significative e risolutive riduzioni delle emissioni di anidride carbonica. Non sarà comunque semplice imprimere innovazione unanime e risultati concreti. Cop25 si era svolta a Madrid dal 2 al 13 dicembre 2019, non era andata granché bene a giudizio quasi unanime (un po’ su tutto vi era stato un rinvio, in particolare sul mercato del carbonio e sull’obbligo di fissare obiettivi). Cop26 si terrà tra 10 mesi, a fine 2021, dall’1 al 12 dicembre. L’accordo alla Cop21 prevedeva una revisione ogni cinque anni, la prima appunto a Cop26. Avverrà allora dopo sei anni (2015-2021) a causa della posticipazione connessa all’emergenza sanitaria. Nell’idea di chi lo votò c’era che, confermati i dati del riscaldamento climatico in corso, valutati i dati della troppa lenta riduzione delle emissioni in corso, i vari paesi avrebbero assunto obiettivi ancora più stringenti rispetto a quelli del 2015. Vedremo. Attualmente gli obiettivi sottomessi dai singoli Stati sono ben lontani dal non superamento dei 2 gradi di aumento delle temperature, ancor più del necessario 1,5, e prefigurano uno scenario che potrebbe portarci oltre i 3.2 ben prima di fine secolo. Alcuni invero hanno presentato delle strategie di lungo termine che mirano alla neutralità climatica entro il 2050 o il 2060, per esempio azzerando l’uso dei combustibili fossili e compensando ciò che non si può ridurre con gli assorbimenti dalla gestione degli ecosistemi vegetali, ma gli obiettivi di breve termine concretamente presentati non si allineano a queste traiettorie; anzi, mostrano una discrepanza rispetto alle politiche previste nell’obiettivo di contenimento delle temperature. Proprio per questo, i paesi dovrebbero triplicare i propri livelli di ambizione per essere in linea con gli appelli unanimi del mondo scientifico e con gli obiettivi di Parigi. Vedremo.

I capi di Stato e di governo dell’Unione Europea hanno recentemente concordato di aumentare l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del continente ad almeno il 55% entro il 2030 rispetto allo scenario di riferimento del 1990. La revisione del target europeo imporrà delle modifiche al quadro delle politiche climatiche che verranno presentate dalla Commissione europea a giugno 2021 e potrà suggerire nuovi stimoli per rendere più ambiziose le nostre politiche nazionali. È un traguardo fattibile e permetterebbe di mettersi sulla giusta strada per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il tema di come finanziare questi impegni dei governi sarà centrale, come anche quello, relativo all’implementazione dell’articolo 6 della Convenzione UNFCCC e dell’articolo 12 dell’Accordo di Parigi sulle modalità di promozione delle attività di formazione e di educazione sul cambiamento climatico. Cop26 ha tra i propri obiettivi pure il completamento del cosiddetto “libro delle regole” dell’Accordo di Parigi, ovvero tempi e modi dei decreti attuativi che riguardano i requisiti di trasparenza e i meccanismi che affiancheranno le misure di riduzione delle emissioni dei singoli Paesi. 

Incontri a distanza, confronti non solo pubblici, documenti preliminari occuperanno tutto il 2021 e il nostro paese giocherà un ruolo oggettivamente da protagonista nel negoziato. Il Regno Unito, assumerà la presidenza dalla Cop26 in partenariato proprio con l’Italia, ora impegnata a organizzare le sessioni preparatorie all’appuntamento di Glasgow, come la pre-COP26, che si terrà a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre prossimi. Due giorni prima della pre-COP26 ospiteremo lo Youth4Climate: Driving Ambition, un incontro virtuale e interattivo per circa 400 giovani che da tutto il mondo si riuniranno per confrontarsi direttamente con la politica e avanzare proposte concrete. Ovviamente, i termini della posizione italiana sono stati stabiliti a livello europeo, non possiamo che portare avanti innanzitutto le istanze definite insieme agli altri Stati dell’Unione. Ciò non toglie, che tono, stile e stimoli non sono mai sempre gli stessi, ovunque l’evento si svolga. E la politica nazionale in materia sarà messa sotto una lente d’ingrandimento degli esperti e dell’opinione pubblica di tutto il mondo. Per ora, non abbiamo proprio tutte le carte in regole nelle materie climatiche e ambientali. rivedremo anche tutto ciò in autunno, quali che siano allora parlamento nazionale e governo pro tempore in carica.

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