SOCIETÀ

Cambiamento climatico, i primi passi di Biden verso la riconciliazione con la scienza

Riunire gli Stati Uniti, non solo da un punto di vista squisitamente politico ed interno, ma anche nei cospetti della comunità internazionale e a partire da un punto che pare ben fissato nell’agenda del nuovo presidente Usa, Joe Biden: il cambiamento climatico.

Quattro anni di amministrazione Trump non hanno creato solo divisioni interne all’America, ma hanno lacerato e dissolto accordi internazionali di portata globale, come quelli relativi al protocollo di Parigi contro il riscaldamento globale. 

Non è un caso che ieri, tra i primi 17 ordini esecutivi presidenziali firmati da Biden, ci sia quello che sancisce il rientro degli Stati Uniti nell’accordo sul clima di Parigi. 

Non si tratta solo di un atto simbolico, ma è l’inizio di un percorso tutt’altro che facile e in salita che dovrà affrontare la Casa Bianca per riallinearsi con le politiche ambientali mondiali e porre un deciso freno al negazionismo anti-scientifico imposto da Trump lungo i suoi 4 anni di governo. 

“Ci accingiamo a combattere il cambiamento climatico in un modo mai fatto prima” ha detto Biden poco prima di firmare l’ordine esecutivo che riconcilia gli Stati Uniti con l’accordo di Parigi. All’atto formale sono seguiti già i primi fatti: il 46esimo presidente ha infatti già chiesto alle diverse agenzie federali, tra cui l’EPA (l’agenzia per la protezione dell’ambiente), di rivedere tutti i regolamenti federali relativi all’ambiente che Trump aveva modificato o annullato

“Sono solo ordini esecutivi” ha poi ribadito Biden, consapevole che non basteranno per rimettere gli Stati Uniti nelle condizioni di riprendere il loro percorso green: serviranno leggi e l’appoggio del Congresso.

Certo, si tratta di un primo passo, di un segnale forte e di discontinuità con il recente passato. Formalmente, ci vorranno almeno 30 giorni perché gli USA rientrino ufficialmente nell’accordo. Ciò comporterebbe la partecipazione, dopo due assenze consecutive, alla COP26 di Glasgow, a novembre. 

La linea è tracciata, ma non sarà un percorso facile: Biden quasi sicuramente troverà degli ostacoli lungo il suo percorso. La maggioranza al Congresso lo aiuterà, ma bisogna comunque ricordare come al Senato i numeri siano molto stretti e qualche sgambetto (dalla politica o dalle lobby che osteggiano le leggi per la protezione dell’ambiente) sarà sempre possibile.

Un altro fattore decisivo è il tempo: con Trump si sono persi quattro preziosi anni in cui gli Stati Uniti, tra i principali inquinatori mondiali, hanno continuato a immettere nell’atmosfera gas climalteranti mentre il resto del mondo annunciava importanti traguardi di taglio delle emissioni fino ad arrivare a essere carbon free. Non solo l’Europa, anche la Cina ha dichiarato di voler raggiungere le emissioni zero di CO2 entro il 2060. E tempo servirà per correggere gli errori di un presidente che nemmeno di fronte a fenomeni estremi come i devastanti incendi in California ha voluto ammettere l’esistenza dei cambiamenti climatici. 

Gli USA, sotto la presidenza Obama, si erano impegnati a tagliare, entro il 2025, le emissioni nocive per il clima del 28% rispetto ai livelli del 2005. Nonostante l’opera distruttiva di Trump, ci si trova a metà strada, ma per raggiungere l’obiettivo (a patto che a Glasgow, come è possibile e auspicabile, non si rivedano i parametri) serviranno leggi ancora più stringenti. Secondo alcuni analisti, Biden potrebbe già modificare gli impegni, fissando un nuovo obiettivo al rialzo: tagliare le emissioni tra il 40 e il 50% entro il 2030. 

La scienza saluta con piacere questo primo passo verso il rientro in un percorso di normalità e nel solco delle evidenze scientifiche. Quello sul clima non è che uno degli aspetti, come abbiamo già visto, su cui si sta concentrando Joe Biden. Lasciamolo lavorare. 

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