
Siccità del fiume Olifants, Kruger National Park, Sud Africa. Foto: Abspires40/Wikimedia Commons
La siccità è un’assassina silenziosa: così l’ha definita Ibrahim Thiaw, direttore esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (United Nations Convention to Combat Desertification, UNCCD). L’occasione è la pubblicazione di un rapporto – intitolato “Hotspot di siccità nel mondo 2023-2025” – che ripercorre e analizza le gravi siccità susseguitesi in molte parti del mondo tra il 2023 e il 2025, individuando i principali hotspot globali di siccità (cioè le aree che, già oggi o in un prossimo futuro, verranno più duramente colpite da questo disastro naturale).
Il rapporto, molto documentato e caratterizzato da una specifica attenzione per le realtà regionali e nazionali più colpite da fenomeni siccitosi, prende le mosse dalle due principali cause che hanno aumentato in modo esponenziale, nell’ultimo triennio, l’incidenza e la persistenza di condizioni siccitose in diverse parti del mondo. In questi anni, infatti, si sono sommati gli impatti del cambiamento climatico e gli effetti di El Niño-Oscillazione meridionale (ENSO), un fenomeno climatico ciclico (che si verifica circa ogni 2-7 anni) che consiste nel temporaneo aumento della temperatura superficiale delle acque dell’Oceano Pacifico centro-meridionale e orientale (El Niño) e, al tempo stesso, in variazioni di pressione atmosferica (Oscillazione meridionale) nella stessa area geografica. ENSO – e il suo corrispettivo La Niña, che porta, al contrario, a una riduzione della temperatura superficiale delle acque e a un abbassamento della pressione atmosferica – ha effetti climatici globali, causando forti piogge in alcune regioni e prolungate siccità in altre.
Il manifestarsi di questo fenomeno climatico nel 2023 ha aumentato le conseguenze – già di per sé evidenti, soprattutto nei Paesi e nelle regioni più vulnerabili – del cambiamento climatico antropogenico, “mettendo in evidenza ed esacerbando”, si legge nel rapporto, “le vulnerabilità sociali, economiche e ambientali già esistenti”. L’obiettivo primario del rapporto è fornire una visione d’insieme di queste vulnerabilità, perché questa conoscenza di base è un essenziale punto di partenza per la pianificazione delle strategie di mitigazione e preparazione che andranno sviluppate nei prossimi anni, tenendo presente il fatto che viviamo in un mondo che si sta scaldando rapidamente.
Gli hotspot di siccità individuati da questo studio sono diversi, e sparsi per tutto il globo: l’Africa orientale e meridionale, il Mediterraneo, il bacino amazzonico, Panama, il Messico e il sud-est asiatico. In tutti questi luoghi, le condizioni di siccità sono state particolarmente dure nell’ultimo triennio, e la gravità degli impatti è dipesa, in buona parte, anche dalle condizioni socio-economiche di partenza, interagendo in modo particolarmente grave con le vulnerabilità già esistenti.
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Africa orientale e meridionale
Nell’Africa orientale e meridionale, la siccità prolungata ha interagito con condizioni socioeconomiche già precarie, con una cronica scarsità di risorse e con situazioni di conflitto, imponendo altissimi costi, anche in termini di vite umane, dovuti alla grave insicurezza alimentare e idrica. “Cinque anni consecutivi di mancate stagioni delle piogge in Etiopia, Somalia e Kenya hanno causato nel Corno d’Africa la peggiore siccità degli ultimi 70 anni”; un fenomeno simile si è verificato nell’Africa del sud, dove nel 2024 si è verificata la peggiore siccità degli ultimi cento anni: Zambia, Zimbabwe, Malawi e Namibia hanno dovuto dichiarare il disastro nazionale. Questi eventi estremi hanno imposto a milioni di persone fame, sfollamenti, mancanza di energia elettrica, malattie, interruzione forzata dell’istruzione (soprattutto per le bambine, a causa delle diseguaglianze di genere ancora profonde) e, in molti casi, persino la morte.
Tra il 2023 e il 2024, le morti per fame, in particolare, sono state stimate nell’ordine delle decine di migliaia, a cui va aggiunto il conto delle decine di milioni di animali domestici (soprattutto bestiame) morti per denutrizione e mancanza d’acqua, esito che ha acuito la crisi alimentare nella regione dell’Africa orientale. In Africa meridionale, si è assistito a un generalizzato fallimento dei raccolti dovuto alla siccità, che ha interessato oltre due milioni di ettari di terreno in diversi Paesi dell’area. Nell’agosto 2024, la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale ha dichiarato che il 17% della popolazione, corrispondente a 68 milioni di persone, aveva bisogno di aiuti alimentari.
In Africa, la siccità ha avuto un altro effetto molto evidente: mettere in ginocchio le infrastrutture energetiche, che, soprattutto nella regione meridionale, fanno affidamento principalmente sulla produzione di energia idroelettrica. Nell’aprile 2024, il fiume Zambesi, che alimenta la grande diga Kariba, che dà elettricità a Zambia e Zimbabwe, era solo al 20% della sua portata, e la situazione è ulteriormente peggiorata nei mesi successivi, con la portata del fiume ridotta a solo il 7% a settembre 2024. Entrambi i Paesi, a fronte della carenza idrica, hanno aumentato il proprio consumo di carbone come fonte energetica nel 2024 e hanno razionato la distribuzione di energia, con gravi conseguenze anche in campo economico.
A fronte di condizioni igieniche spesso precarie, soprattutto nelle aree rurali, la prolungata carenza d’acqua ha anche aumentato il rischio di contrarre infezioni, sia a causa dell’impossibilità di praticare l’igiene personale, sia per il consumo di acque contaminate, spesso prelevate autonomamente da fiumi e pozzi sotterranei.
Un’ulteriore conseguenza – forse meno intuitiva – della siccità è stato un elevato aumento dei matrimoni forzati per le bambine, in alcuni casi unica soluzione economica per intere famiglie, con il conseguente abbandono dell’istruzione e l’aumento delle violenze di genere in diversi Paesi africani colpiti dalla crisi idrica.
Mediterraneo
Anche il bacino del Mediterraneo è un hotspot di cambiamento climatico: questa regione, infatti, è particolarmente colpita dalle temperature crescenti (si prevede un aumento di 2-3°C entro il 2050 e 3-5°C entro il 2100) e dalla riduzione delle precipitazioni causate dal riscaldamento della temperatura atmosferica globale; a questo si aggiungono forti pressioni antropiche (crescita della popolazione e urbanizzazione), che aumentano il rischio di scarsità idrica e desertificazione.
Sebbene i periodi di siccità si siano sempre avvenuti nel Mediterraneo, a partire dagli anni 1950 sono aumentati in frequenza e intensità; alcune aree della regione – “Sicilia, Cipro, Marocco, Algeria, Tunisia, Spagna e Portogallo meridionali, parti della Siria, e il sud della Turchia” – diventeranno probabilmente più aride e potrebbero subire un aumento degli ambienti desertici. Tutto questo potrebbe risultare in “perdite umane ed economiche significative”.
Nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che, negli ultimi anni, hanno dovuto fare i conti con gravi siccità, gli impatti si sono manifestati con evidenza soprattutto su alcune attività economiche primarie: agricoltura e allevamento hanno subìto gravi impatti. In Marocco, dove la siccità si è protratta per sei anni consecutivi, la produzione di carne e di cereali ne ha risentito profondamente, con gravi perdite economiche e un aumento dei prezzi dei generi alimentari nel Paese. Un fenomeno simile si è verificato in Spagna, dove la siccità è durata dal 2022 al 2024, causando una grave carenza di acqua per usi domestici, industriali e agricoli, e una significativa riduzione dei raccolti. Un impatto che si è riverberato con intensità sul mercato internazionale riguarda la disponibilità di olio d’oliva, di cui la Spagna è il primo esportatore a livello europeo e uno dei principali a livello globale.
Amazzonia
L’Amazzonia è essenziale per l’equilibrio globale del carbonio presente in atmosfera: per questo motivo, la sua crescente sensibilità a condizioni di siccità è particolarmente preoccupante poiché, come si è già osservato, gli impatti della siccità sui suoi complessi ecosistemi può avere – si specifica nel rapporto – “impatti duraturi sul ciclo globale del carbonio”. Inoltre, è sempre più diffusa tra i ricercatori la preoccupazione che “una siccità prolungata possa portare la foresta pluviale dell’Amazzonia dall’essere neutra dal punto di vista carbonio ad essere un emettitore netto”. La siccità, infatti, aumenta la degradazione ambientale già in corso nell’ecosistema forestale di questa regione. L’evento siccitoso del 2023-2024 è stato considerato di portata inedita e, coinvolgendo ben nove Paesi, è probabilmente il più grave e il più esteso mai registrato.
Le conseguenze sono state numerose: una delle più evidenti è stata la drastica riduzione della portata dei fiumi. Poiché proprio i corsi d’acqua sono, nella foresta, la principale via di spostamento, diverse comunità hanno avuto difficoltà, o sono state del tutto impossibilitate, ad accedere a beni e servizi essenziali. La riduzione della portata dei fiumi ha ridotto la possibilità di pesca, che per molte comunità locali è una fonte primaria di sussistenza; inoltre, le morie di massa di pesci hanno contaminato le acque, causando anche gravi carenze idriche.
Per far fronte alle difficoltà di spostamento nella regione, il governo brasiliano ha dato avvio alla costruzione di nuove strade in Amazzonia. Ma è dimostrato che la costruzione di nuove strade e autostrade ha come effetto collaterale l’aumento della deforestazione illegale, attività che beneficia dell’apertura di nuove vie d’accesso alle aree forestali. A sua volta, la deforestazione e la siccità interagiscono instaurando un meccanismo di retroazione positiva: “la deforestazione riduce l’evapotraspirazione generata dalla fotosintesi, che riduce la quantità di pioggia sia su scala locale che in tutto il continente sudamericano. La siccità che ne consegue induce uno stress nelle piante e aumenta il rischio di incendi, aumentando ulteriormente la deforestazione”.
Sud-est asiatico
Questa regione è nota come una delle più vulnerabili al cambiamento climatico; qui, inoltre, El Niño causa gli stessi effetti del cambiamento climatico: aumento delle temperature e riduzione delle piogge. Le conseguenze economiche si sono fatte sentire in molti Paesi della regione, che sono grandi esportatori di beni alimentari: il Vietnam, primo produttore al mondo di caffè Robusta, ha registrato un calo del 20% dei raccolti nel 2023-2024. Similmente in Tailandia, secondo produttore globale di zucchero, i raccolti sono calati del 12,4% rispetto all’anno precedente.
Un’altra conseguenza diretta della siccità nella regione è stata l’intrusione salina, che ha piagato il delta del Mekong, in Vietnam, all’inizio del 2024. Il fenomeno, in concorso con la siccità, ha drasticamente ridotto la disponibilità d’acqua per uso domestico, ha rovinato intere coltivazioni di riso, da cui le popolazioni locali dipendono direttamente, e ha messo in crisi gli allevamenti di gamberetti, che sono un’attività economica primaria nella regione. Con l’arrivo anticipato della stagione secca anche, l’intrusione salina si è ripetuta anche all’inizio del 2025, superando i livelli dell’anno precedente.
Panama e Messico
La siccità ha conseguenze variegate: all’evento estremo che, tra 2023 e 2024, ha colpito Panama, va attribuita la responsabilità della crisi logistica in cui è piombato, in quel periodo, il canale di Panama, snodo centrale dei trasporti globali. Il calo del livello dell’acqua, infatti, ha obbligato il governo a imporre delle restrizioni sui transiti delle grandi navi cargo, e tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 il traffico attraverso il canale è diminuito del 36%.
Anche il Messico ha dovuto fare i conti, negli ultimi anni, con condizioni di siccità estrema, che tra 2022 e 2023 hanno colpito il 67% del Paese. Anche in questo caso, il fenomeno climatico anomalo ha interagito con pressioni antropiche come la rapida crescita della popolazione, l’urbanizzazione e lo sfruttamento eccessivo dei bacini idrici.
Il Paese, inoltre, è attualmente alle prese con la difficile gestione di un problema politico inasprito dalla siccità: dal 1944, in forza di un trattato stipulato con gli Stati Uniti, il Messico deve versare ogni cinque anni un’ingente quantità d’acqua proveniente dal bacino del Rio Grande, al confine con gli Stati Uniti. La prossima scadenza di versamento cade nel 2025, e ad oggi il Messico ha consegnato meno del 30% della quantità d’acqua che il Trattato prevedrebbe. Nel 2020, alla precedente scadenza, parte della popolazione, soprattutto nella regione settentrionale che dipende direttamente dall’acqua del bacino del Rio Grande, si era opposta, e si erano verificati duri scontri. Oggi, i politici locali sono contrari ad onorare il trattato, poiché affermano che la sicurezza nazionale sia prioritaria, soprattutto in un contesto emergenziale dovuto alla situazione climatica.
Un cambio di paradigma: non emergenza, ma preparazione
Accanto al cambiamento climatico, i cui impatti sono sempre più difficili da mitigare, contribuiscono a plasmare il rischio di siccità anche fattori come la rapidità della transizione verso la sostenibilità, le dinamiche di globalizzazione, quelle demografiche, e le innovazioni. Al tempo stesso, l’urbanizzazione e la crescita demografica previste per i prossimi decenni richiederanno sempre più risorse idriche, modificando le “mappe” delle regioni più esposte a fenomeni di siccità.
Il messaggio finale del rapporto è che diventa essenziale, in un contesto tanto articolato, che le società e i Paesi sviluppino forme di resilienza al rischio di siccità: per farlo, bisogna investire nel ripristino e nella tutela degli ecosistemi, nell’oculata gestione delle risorse idriche, e nell’attenzione a garantire equità nell’accesso a queste risorse.
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Inoltre, per armonizzare il previsto aumento della popolazione con il contesto di cambiamento climatico e di conseguente scarsità di risorse, non si può prescindere dallo sviluppare strategie per ridurre lo spreco della risorsa idrica, preziosa e sempre più scarsa: agricoltura e industria sono gli ambiti in cui, anche grazie all’innovazione tecnologica, si possono raggiungere i risultati migliori, puntando sulle pratiche sostenibili e sulle Nature-Based Solutions.
Infine, i governi devono dotarsi di piani nazionali per la siccità, che includano “misure di mitigazione proattive, ruoli e responsabilità chiaramente definiti, e meccanismi di intervento basati su un monitoraggio continuo”. Perché in futuro si possano evitare le conseguenze catastrofiche verificatesi nel triennio 2023-2025, bisogna soprattutto cambiare approccio. La siccità è una catastrofe che si muove lentamente: non si può dunque reagire solo con un approccio reattivo, di natura emergenziale, ma bisogna agire proattivamente, approntando piani di prevenzione e investendo sull’aumento della consapevolezza delle popolazioni e coinvolgendo queste ultime nelle azioni di prevenzione e adattamento alle nuove condizioni ambientali.