Il terzo mese di giugno più caldo negli ultimi 141 anni, alla pari con le temperature record registrate nel 2015. Lo certifica la National Oceanic and Atmospheric Administration, l’ente americano che si occupa – tra le altre cose – di verificare le serie storiche dei dati climatici negli Stati Uniti e non solo.
Il dato è pari a quanto registrato nel 2015 e al di sotto solamente di altri due mesi anomali per le temperature: quelli di giugno 2016 e 2019.
Il mese che abbiamo appena vissuto è stato superiore di 0,92° C rispetto alla media del XX secolo.
Cosa ci racconta questo dato? Innanzitutto che i cambiamenti climatici non sono andati in vacanza, tantomeno sono stati “spaventati” dalla pandemia prodotta dal virus Sars-Cov-2. Certo, l’emergenza generata dal coronavirus è presente, tangibile e degna (purtroppo) di essere raccontata, così come anche il nostro giornale sta facendo fin dai primi giorni.
Nessuno lo mette in dubbio.
D’altra parte, quella dei cambiamenti climatici era emergenza nel recente passato, lo è nel presente e lo sarà nel futuro.
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Più strisciante, invisibile agli occhi dei più, ma non meno pericolosa: ce lo ricordano, ora, i dati del Noaa, ce lo ricorda l’IPCC con i suoi rapporti annuali. È una ragione in più per non abbassare la guardia e fare in modo che si continui a parlare del cambiamento climatico, oscurato nei media di tutto il mondo dal coronavirus, salvo qualche sporadico riferimento rispetto alla diminuzione di alcuni inquinanti nell’aria durante il periodo più restrittivo di lockdown.
Dicevamo: cosa racconta questo dato? Secondo il Noaa giugno 2020 rappresenta il 44esimo mese consecutivo con temperature oltre la media del XX secolo; nove dei 10 mesi di giugno più caldi sono stati riscontrati a partire dal 2010; i sette più caldi sono stati rilevati negli ultimi sette anni.
A livello globale, a giugno le temperature con valori superiori a 1,5°C rispetto alla media sono state rilevate a diverse latitudini: nell’America centrale, nel sud del Brasile, nel Nordest europeo, nel nord della Russia, nella Cina del sud e lungo la zona nord dell’Oceano Pacifico. Il Sud America, l’Europa e l’Africa hanno registrato il terzo mese più caldo da quando si hanno a disposizione le serie storiche (1910).
Il trend, insomma, non permette di essere tranquilli, tutt’altro. Lo si deduce anche dalle anomalie climatiche che si sono verificate nel corso di giugno. A puro titolo di esempio (la cartina riportata di seguito è sicuramente più esaustiva), negli Stati Uniti ci sono stati grandi incendi lungo la tundra dell’Alaska e in Arizona le fiamme hanno consumato 193.000 acri di foresta, registrando il quinto incendio più grande nella storia dello stato americano. In Australia (già flagellata dai bushfire nel finire del 2019) si è registrato il terzo periodo di massima siccità in 121 anni di analisi dei dati. In Asia – se i dati saranno confermati – è stato registrato il nuovo record di temperatura a nord del circolo polare artico: nella cittadina russa di Verkhoyansk sono stati toccati, infatti, i 38° C. E i ghiacci dell’Artico e dell’Antartico non se la passano sicuramente meglio.
Insomma, non c’è da stare allegri: al momento le proiezioni statistiche dicono che il 2020 potrebbe inserirsi nella non invidiabile classifica dei primi cinque anni più caldi da quando si hanno a disposizione le serie di dati storici.
Un motivo in più – tra i molti e altrettanto importanti – per non abbassare la guardia, nonostante la pandemia.