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Djalali, rinviata l'esecuzione capitale. Il suo uno di tanti casi di minacce e soprusi

Il mondo resta con il fiato sospeso dopo la notizia della posticipazione dell'esecuzione di Ahmadreza Djalali, arrestato a Teheran nel 2016 con l'accusa di spionaggio a favore di Israele, e successivamente condannato alla pena capitale. A quanto pare, le pressioni internazionali e gli appelli per salvare il medico e ricercatore iraniano naturalizzato svedese hanno avuto qualche effetto. Com'è stato comunicato dal portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, e confermato da Vida Mehrannia, moglie di Djalali, sembra che le autorità iraniane abbiano deciso di non procedere con l'esecuzione, almeno per i prossimi giorni.

L'uomo, che si è sempre dichiarato innocente alle accuse di spionaggio, non è ancora fuori pericolo, ma il fatto che non sia ancora condotto dal carcere di Evin di Teheran, dove si trova attualmente, alla prigione di Rajai Shahr a Karaj, dove vengono portate a termine le esecuzioni capitali, sembra lasciare ancora un po' di spazio alle trattative.
Le proteste contro il trattamento disumano che ha subito e l'ingiustizia della sua condanna provengono da tutto il mondo. A schierarsi al fianco di Amnesty international e delle altre principali organizzazioni umanitarie per la liberazione del medico e ricercatore, sono stati l'Unione europea, tramite il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, numerosi scienziati e membri di università e centri di ricerca, e attivisti politici di tutto il mondo. Per convincere le autorità iraniane a fare un passo indietro, si sono mobilitati con particolare impegno anche il governo svedese, che ha portato avanti un'azione diplomatica alla quale ha preso parte anche l'Italia, e quello belga, poiché Djalali è professore associato all'università Vrije di Bruxelles.

Storie come quella di Djalali non sono una novità purtroppo. In poco più di un anno, tra il 1 ° settembre 2018 e il 31 agosto 2019, sono stati segnalati 324 attacchi, spesso violenti, da parte di organizzazioni statali, estremisti armati, forze di polizia e militari e autorità governative rivolti a singoli studenti, insegnanti e ricercatori, ma anche a intere comunità di istruzione superiore in 56 paesi. Questo è quanto riporta l'ultimo rapporto di Scholars at Risk, la rete internazionale di Atenei con lo scopo di difendere la libertà accademica in paesi dove la censura e le aggressioni contro gli scienziati sono realtà difficili da combattere.

Attacchi del genere hanno lo scopo di mettere a tacere il personale accademico, e consistono soprattutto in uccisioni, violenze, rapimenti e incarcerazioni illecite di studiosi e studenti, oltre a licenziamenti ingiustificati e occupazioni militari di campus.
Agendo in questo modo, testimonia il rapporto di Scholars at Risk, “le autorità statali hanno interrotto il libero flusso di idee che è fondamentale per un'istruzione superiore di qualità e per costruire la comprensione e la cooperazione globale”.

Gli episodi di violenza più gravi, stando al rapporto, sono quelli che si sono svolti in Turchia, dove più di ottocento accademici sono stati accusati di terrorismo semplicemente perché avevano appoggiato una petizione che criticava alcuni provvedimenti statali adottati nella regione sudorientale del paese, prevalentemente curda, e in Sudan, dove ci sono stati più di 800 arresti e oltre 1000 feriti durante la repressione di movimenti di protesta studenteschi.

Il nome di Djalali figura nel lungo elenco degli studiosi che attualmente si trovano incarcerati ingiustamente, presente nel rapporto di SAR. Sono infatti molti i casi in cui le autorità statali agiscono in questo modo, adducendo motivazioni legate alla sicurezza nazionale e alla lotta contro il terrorismo e allo spionaggio. Nel periodo considerato da SAR, sono stati centinaia gli studiosi e gli studenti perseguiti e imprigionati senza un regolare processo, spesso sottoposti a condizioni carcerarie disumane e maltrattamenti, nonché privati dell'accesso alle cure.

Nell'approfondire il problema degli accademici arrestati e incarcerati a causa del loro lavoro, il rapporto di SAR dedica anche una sezione all'Iran. In questo paese, gli accademici arrestati illegalmente nel periodo considerato comprendono gli studiosi di demografia Meimanat Hosseini Chavoshi, dell'Università australiana di Melbourne, e il dottor Mohammad Jalal Abbasi-Shavazi, dell'Università di Teheran, coautori del libro The Fertility Transition in Iran.
Nel giugno 2019, sono stati arrestati anche l'antropologo Fariba Adelkhah, che aveva la doppia cittadinanza iraniana e francese, e il sociologo Roland Marchal, entrambi ricercatori dell'Istituto di studi politici di Parigi. Successivamente, nel mese di agosto, le autorità iraniane hanno arrestato anche Kameel Ahmady, un doppio cittadino iraniano-britannico e antropologo che aveva pubblicato libri e articoli che affrontavano delicate questioni di genere, come le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci in Iran.

Attraverso imprigionamenti e procedimenti penali illeciti, le autorità inviano un messaggio agghiacciante alle comunità dell'istruzione superiore: che superare certi limiti può avere un prezzo Free to Think. Report of the Scholars at Risk academic freedom monitoring project 2019

Come sottolineato nel documento di SAR, attacchi del genere non hanno ripercussioni solo sulla pelle di coloro che subiscono questi atti di violenza e sui loro cari, ma hanno il preciso scopo di compromettere seriamente il progresso scientifico e culturale, il dialogo trasparente tra scienziati ed enti di ricerca a livello internazionale.

Vista la gravità di questi episodi, che stanno avvenendo in tutto il mondo, l'attività di SAR e delle associazioni per la difesa dei diritti umani è fondamentale per mobilitare il sostegno pubblico da parte delle popolazioni e delle comunità accademiche. Sollecitare le autorità statali a rispettare gli obblighi legali relativi al trattamento umano e al giusto processo e continuare a pretendere il rilascio di persone ingiustamente incarcerate, tramite petizioni, proteste e campagne sui social, è fondamentale perché ricercatori e studiosi come Djalali non siano dimenticati e possano essere salvati da una fine atroce e profondamente ingiusta.

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