SCIENZA E RICERCA

Non toccate gli alberi millenari. Una lunga vita lontano dalle attività umane

Lo studio Age and spatial distribution of the world's oldest trees condotto dall'università di Fudan a Shanghai, pubblicato su Conservation biology e rilanciato da Nature, ha preso in esame quasi 200mila alberi antichi in tutto il mondo per realizzare una mappa della loro distribuzione a livello globale. Il dato più interessante è relativo alla collocazione di alcuni alberi millenari: ventisette dei trenta alberi più vecchi del mondo (che superano i duemila anni) vivono lontani dalle attività umane, in zone isolate e ad alta quota. Lo studio ha rivelato che, delle 95 specie arboree prese in considerazione, con individui con almeno 500 anni, circa il 70% è in pericolo di estinzione a causa dell'eccessivo sfruttamento di risorse naturali da parte degli esseri umani, a cui si aggiunge la minaccia del cambiamento climatico. Per determinare l'età degli alberi più antichi del mondo e quantificare i fattori che influenzano la loro distribuzione globale, sono state raccolte informazioni in 4854 siti, combinate poi con altri dati da 156 siti. Ne abbiamo parlato con il professor Lucio Montecchio, patologo forestale, docente all'università di Padova, dove insegna Forest pathology e Salute e benessere degli alberi ornamentali. Montecchio è alla guida del Progetto400 e nel 2018 è stato definito "l'uomo che salva gli alberi" dal Financial Times.

Cosa possiamo dire rispetto alla distribuzione di questi alberi antichi? Ad alta quota, lontani dalle attività umane. "Questo studio copre l'intero pianeta e quindi non sono in grado di fare una disamina precisa, ma è da tempo che si sa che i pochi alberi antichi che vivono sulla Terra sono lì perché hanno avuto una grandissima fortuna. La grandissima fortuna di essere scomodi, cioè difficilmente raggiungibili. Stiamo parlando di alberi che hanno dai tre ai cinquemila anni. In Svezia c'è Old Tjikko, si dice che abbia 9500 anni. Sono alberi che erano così già cento anni fa, quando è stato inventato il trattore, tanto imponenti da essere, più che irraggiungibili, non trasportabili verso la prima segheria. Da sempre gli alberi vengono abbattuti per farne legname o legna da ardere, ma quando l'albero ha un diametro di due o tre metri la questione si complica. Inoltre le strade forestali che permettono di raggiungere questi luoghi impervi si possono realizzare da quando sono stati inventati trattore e ruspa: si tratta di un problema tecnologico, sostanzialmente. Oggi abbiamo questi, ahimè pochi, alberi monumentali che creano indotto turistico e quindi producono un reddito a livello locale maggiore del valore del legname, che non avrebbe comunque nessun valore commerciale perché sicuramente marcescente, cavo, nodoso, fibroso, fessurato. Quindi quegli alberi ora svolgono anche un ruolo importante. E questo al di là degli aspetti climatici, perché non sarà certo un singolo albero, pensiamo a Matusalemme, che si crede abbia 5000 anni, ad assorbire l'anidride carbonica. Il suo ruolo è invece un altro e importantissimo: rappresenta infatti una testimonianza concreta di quanto a lungo possa vivere un albero. Le specie arboree sono davvero tantissime ma, prendendolo come esempio, noi abbiamo certezza assoluta che un Pinus longaeva può vivere almeno fino a 5000 anni. La domanda è: come mai tutti gli altri pini della stessa specie li consideriamo utili per le nostre segherie? Perché non li lasciamo vivere almeno fino ai trecento o quattrocento anni? Ovviamente si tratta di una domanda con una valenza sociologica".

Gli alberi antichi che vivono sulla Terra sono lì perché hanno avuto la grandissima fortuna di essere "scomodi", cioè difficilmente raggiungibili

Montaggio: Elisa Speronello

Meno li tocchiamo meglio è, non vi è nessun dubbio

Ma non tutti gli alberi antichi vivono in alta montagna... "Non escludo che climi particolarmente freddi - ma non necessariamente alta quota significa clima freddo perché le alte quote le abbiamo a latitudini ben diverse da quelle che noi consideriamo alpine - possano rallentare il metabolismo dell'albero, ma stiamo comunque parlando di un 5% di allungamento di vita attesa. Io studio alberi che hanno tra i settecento e i novecento anni e sono a cinquanta metri sul livello del mare: questi sono stati protetti perché di proprietà privata. Per il proprietario, benestante o aristocratico, non era necessario tagliare l'albero, perché questo spesso segnava l'ingresso a una villa, un confine o un incrocio. Qui da noi, in pianura padana, fino a qualche secolo fa era tutto bosco: gli alberi sono stati tagliati per costruire le case, quando il cemento armato non c'era, e per riscaldare, perché il metano non arrivava nelle case. Ma sono stati lasciati quegli alberi che ora chiamiamo monumentali: erano alberi che avevano un ruolo importante e quindi si meritavano di non essere tagliati, perché segnavano appunto un incrocio o una direzione in epoca di analfabetismo. C'era una codifica che passava attraverso l'albero vivo, che diventava un indicatore stradale. Parliamo dunque di alberi che c'erano già, che erano parte di una foresta, nati da seme e non trapiantati: alberi capaci di passare la selezione naturale prepotente sopravvivendo a tutti il loro fratelli, quelli prodotti dalla stessa pianta madre". 

A proposito di alberi vigorosi, capaci di attraversare i secoli, ci sono delle caratteristiche che accomunano questi alberi? "Se proprio dovessimo cercarne, potremmo dire che non raggiungono età importanti quegli alberi che non sono programmati per farlo: quella categoria di alberi che chiamiamo 'specie pioniere', che hanno il compito cioè di colonizzare zone non ancora alberate e si comportano proprio come i pionieri del far west. Sono il pioppo e il salice, per esempio. Producono enormi quantità di semi e giocano sulla statistica. Diventano vecchi, marciscono e cadono a terra molto velocemente, diventando humus, ovvero il substrato fertile per le specie che invece pioniere non sono, che arriveranno dopo, che sono molto più delicate nella scelta del suolo ma che, una volta trovate le condizioni ideali, sono programmate per vivere più a lungo: le querce, per esempio, che tra le latifoglie raggiungono età importanti. Ho la fortuna di conoscere un leccio, a tre o quattro metri sul livello del mare, che si stima abbia duemila anni".

Quali sono le strategie da mettere in atto per tutelare questi alberi monumentali? "Non toccarli. Loro sanno. Il pino Matusalemme, arrivato a cinquemila anni, ce l'ha fatta senza di noi. Quindi bisogna lasciarli in pace, continuando a studiarli, osservandoli, magari raccogliendo informazioni per provare a clonarli e averli dunque a disposizione per scopi scientifici. Ma, ribadisco, un albero meno lo si tocca meglio è. Questo discorso vale anche per molti degli alberi presenti nelle nostre città, spesso massacrati dalla potatura senza un motivo valido. Meno tocchi l'albero, più questo sarà in grado di autodeterminarsi: ogni anno l'albero produce un albero di un anno di età, cioè produce un guscio, uno stampo su se stesso, un calco che ha un anno di età. Quindi, dal punto di vista dell'età anagrafica può avere duemila anni, ma da un punto di vista fisiologico ha sempre un anno. Perché il suo strato esterno è quello che funziona, tutto il resto non funziona più. Partendo dagli stimoli positivi e negativi subiti l'anno precedente, sa attivare gemme e costruire tessuti per adeguarsi al vento o al peso della neve. Meno li tocchiamo meglio è, non vi è nessun dubbio. Il trucco sarebbe piantarli già dove sappiamo che non sarà necessario toccarli".

Tra questi alberi monumentali, ne esiste uno a cui lei ha dedicato o dedica particolare attenzione? "C'è un albero a cui faccio visita appena posso perché è un libro aperto sulle dinamiche evolutive, sulle scelte morfologiche di lungo periodo. Si tratta di una farnia, una quercia. Ma a questa aggiungo i maronari del Monte Venda, raggiungibili facilmente da Padova: esempi di ceppaie, apparati radicali periodicamente tagliati per coltivare i pali di castagno utilizzati come pali di testa dei vigneti, pali telegrafici, a volte come bricole in laguna, anche se queste di solito sono di quercia. Il diametro di circa tre metri, che corrisponde alla base dell'albero che ci sarebbe se non fosse stato tagliato nel corso dei secoli, ci dà l'idea della grandezza che avrebbe potuto raggiungere quel castagno. Messo a confronto con i millenari di cui abbiamo parlato finora, di certo non sfigurerebbe. Questo ci dice che l'età dell'albero andrebbe determinata misurando l'età dell'apparato radicale e non tanto di quel che germoglia e può essere tagliato per nostra utilità".

Con il Progetto400 l'ateneo di Padova si impegna a mettere a dimora, studiare e preservare nei prossimi quattro secoli gli alberi monumentali del futuro. "Alberi che raggiungono i duecento anni non sono così infrequenti sul nostro territorio ma, a parte per quelli presenti in luoghi particolari come l'Orto botanico, per la maggior parte di questi non esiste traccia della data di impianto. La verità è che vi è una necessità anche culturale di raccogliere queste testimonianze vegetali e quindi l'obiettivo del Progetto400 è proprio quello di piantare alberi e lasciarli lì, senza che nessuno li tocchi più, per almeno 400 anni. Stiamo piantando alberi in tutta Europa, ma al momento non tanti perché la difficoltà sta nel trovare una amministrazione pubblica che si impegni proprio a non toccare l'albero per quattro secoli e che si impegni a piantare quello da noi indicato: per favorirne la crescita l'albero va scelto in funzione del luogo, del clima, del tipo di suolo. Se decidessimo di piantare una palma da dattero a Padova, probabilmente non riuscirebbe a vivere a lungo. Discorso diverso per il carpino, che invece ce la potrebbe fare".


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