SCIENZA E RICERCA

La plastica non è un problema

La plastica negli ultimi dieci anni si è resa nota all’opinione pubblica non solo per la sua onnipresenza nel mondo moderno, ma anche e soprattutto per i danni che sta creando all’ambiente in diverse modalità. Per questo motivo, i materiali plastici si trovano ad affrontare una forte campagna denigratoria, che probabilmente però non pone la giusta attenzione su quale sia il reale problema, ed il cui risultato è la sola demonizzazione del prodotto. L’idea che emerge dallo studio della storia e dall’impatto che la scoperta di nuovi materiali hanno su di essa, è che la plastica è un bene ed una risorsa ingegneristica molto importante, e per questo va tutelata, studiata, sicuramente migliorata, ma soprattutto va gestita meglio. Il risultato chiaro, avvalorato dalle conclusioni di studi scientifici, è che il problema della plastica non è la plastica in sé, ma come questa viene gestita, ovvero il problema siamo noi. Inoltre, sembra abbastanza evidente, che anche nella circostanza in cui si attuassero tutte le soluzioni che ogni giorno vengono proposte per risolvere il problema dei rifiuti di plastica, la situazione cambierebbe poco se non si dovesse passare attraverso un processo di sensibilizzazione e di cultura riguardo a come il consumatore gestisce i rifiuti, ed in particolare quelli plastici.

Si può iniziare ad analizzare il problema contestualizzando la nascita della plastica e la sua rapida espansione commerciale. La prima plastica è nata nel 1907, tuttavia la grande espansione della produzione della plastica si ebbe intorno agli anni Cinquanta, e nei successivi 65 anni, la produzione è aumentata di 200 volte. Questo indica che la plastica è un materiale relativamente giovane, e la storia del progresso scientifico ci insegna che la scoperta dei materiali innovativi impiega del tempo per trovare la giusta collocazione nel mondo. Un dato di fondamentale importanza riguarda la produzione primaria di plastica e quella di rifiuti, nel 2015 la produzione di plastica è stata stimata intorno al valore di 270 milioni di tonnellate, ma la produzione di rifiuti è arrivata a 275 milioni di tonnellate. Ovvero generiamo più rifiuti rispetto alla plastica che produciamo. È interessante provare a focalizzare l’attenzione solo sui rifiuti plastici mal gestiti, ovvero quelli che vengono messi in discariche non controllate o all’aperto, dove c’è un’elevata probabilità di dispersione nell’ambiente. Il fenomeno dei rifiuti mal gestiti è stato studiato ampiamente, ed un’analisi geografica ha messo in evidenza che i paesi più poveri ed in via di sviluppo, come lo sono Cina o l’Indonesia, arrivano a percentuali del 30% di rifiuti mal gestiti, con un’altissima incidenza a livello globale. Basti pensare che i paesi europei e nord americani arrivano in media a percentuali del 5%. Nello studio Plastic Pollution by Hannah Ritchie and Max Roser si mette inoltre in evidenza che con l’auspicabile sviluppo dei paesi dell’Africa, ed il conseguente passaggio verso una società più consumista, la situazione potrebbe peggiorare drasticamente. La cattiva gestione dei rifiuti e la conseguente dispersione nell’ambiente, ovviamente si riflette anche sull’inquinamento dell’oceano. Un dato significativo è che l’80% di rifiuti negli oceani viene da terra, mentre il restante 20% da fonti marine, di questo 20% la metà deriva dall’industria della pesca, quindi da lenze o imbarcazioni abbandonate. Questo è un dato importante che ci fa capire quanto l’uomo stia facendo poco per proteggere l’ambiente dalla plastica.

È evidente che il problema della plastica esiste, ma sappiamo davvero cosa stiamo criticando? Sappiamo davvero quali sono i vantaggi e gli svantaggi nell’utilizzare la plastica? Le plastiche sono materiali ingegneristicamente eccellenti, sono flessibili e resistenti, molto leggere (caratteristica non di poco conto paragonata alle alternative), hanno un rapporto costo longevità molto elevato, ed inoltre hanno ottime proprietà termiche, elettriche e chimiche. Spesso non abbiamo a mente i vantaggi che l’umanità ha ottenuto utilizzando le materie plastiche. Grazie alle plastiche si sono potuti creare microchip che hanno tonnellate di potenza di calcolo, dando vita quindi a cellulari, laptop, TV a schermo piatto, inoltre si è aumentata la resa di batterie nell’elettronica. Hanno rivoluzionato l’industria della salute, perché senza plastica non si aveva tutte quelle disposizioni mediche usa e getta che hanno migliorato le condizioni dei pazienti, come per esempio le siringhe, che prima dell’avvento della plastica venivano riutilizzate con la possibilità di trasmettere infezioni. Inoltre le plastiche sono fortemente correlate con le energie rinnovabili, senza plastica non si potrebbero fare pannelli solari. Un altro enorme vantaggio lo si è avuto con l’utilizzo della plastica nel settore dei trasporti, infatti rendendo i veicoli sempre più leggeri si è potuto ridurre le emissioni di CO2.

Una strategia per analizzare il problema dei rifiuti causati dall’errato smaltimento della plastica è sicuramente guardare con attenzione all’industria, ed all’interno di questa macrocategoria studiare quali sono i settori dove abbiamo la massima produzione di plastica primaria. Al primo posto non stupirà il 42% del settore del packaging, mentre al secondo posto c’è la plastica utilizzata in edilizia con il 19%. A questo punto si può pensare che il problema sia il packaging e quindi cercare di eliminare o ridurre l’utilizzo della plastica in questo specifico settore. Tuttavia uno studio condotto dalla Trucost per l’American Chemistry Council nel 2016 ha evidenziato che la plastica aiuta a ridurre i costi ambientali di quattro volte rispetto alle alternative, dove per costo ambientale si intende il costo in termini economici relativo alla somma di diverse problematiche quali il cambiamento climatico, il danno agli oceani e danni alla salute dell’uomo e dell’ecosistema. Con questo studio sono state fatte delle simulazioni di sostituzione della plastica con diversi materiali alternativi ed in diversi settori, e per ogni simulazione si è valutato l’impatto ambientale. Per il settore del packaging si stima che il costo ambientale sia di 139 miliardi di dollari con la plastica, ma con le alternative della plastica si arriva a 533 miliardi. Inoltre c’è da considerare un altro aspetto, ovvero la plastica non può essere sostituita in rapporto uno a uno, questo perché le alternative alla plastica hanno una massa maggiore. Quindi si è stimato che per sostituire la plastica con le alternative, solo nel settore del packaging e solo in Nord America ci sarebbe bisogno di 3,5 volte più materiale, il che è decisamente poco sostenibile. La stessa analisi è stata fatta per valutare l’inquinamento degli oceani, ed il fattore di scala è pressoché identico.

Dopo quanto detto finora il valore ingegneristico della plastica dovrebbe essere fuori discussione, tuttavia il problema dei rifiuti permane. Fortunatamente questo è un tema molto sentito dall’opinione pubblica e dalla comunità scientifica e per questo molto studiato. Nel tempo si sono sviluppate diverse alternative o soluzioni che si possono attuare, ed altrettante in fase di sviluppo.

Un primo approccio è quello di gestire meglio la fase di disposal, ovvero il fine vita della plastica. Lo studio Plastic Pollution ha analizzato i metodi di disposal della plastica nel corso della storia. Nel 1980 il 100% della plastica veniva gettato in discarica, ovvero si utilizzava il peggior metodo possibile, se poi consideriamo anche il fatto che probabilmente le discariche non erano completamente a norma, e quindi il rischio di dispersione nell’ambiente era abbastanza concreto, il danno è ancora maggiore. Nel decennio successivo una frazione si inceneriva, ma solo dal 2000 in poi si è avuta una percentuale significativa di riciclo che ad oggi si attesta intorno al 20%. 

Un’altra strada che si sta cercando di percorrere è quella di rendere il settore della manifattura della plastica più ecocompatibile. Il 43% del totale del costo ambientale riferito alla plastica deriva dall’industria manifatturiera, quindi bisogna cercare di spostarsi verso fonti di energia a bassa emissione di carbonio. Si stima che raddoppiando l’attuale quota di energie a basse emissioni, ci sarebbe una riduzione dei costi ambientali del 5% relativo all’intero settore della plastica, e diventerebbe il 25% utilizzando il 100% di risorse a basse emissioni. Inoltre si stanno testando strategie di design per il riciclo, come per esempio WRAP in Inghilterra, cercando di ridurre al minimo l’utilizzo di plastica, anche considerando il fatto che i costi maggiori per la plastica derivano da produzione e trasporto, e quindi progettare packaging più efficienti sotto questo punto di vista, potrebbe ridurre notevolmente il costo ambientale. 

Questi approcci appena discussi sono soluzioni di contorno, che vanno solo a tamponare il problema. Con le plastiche bio-based e quelle biodegradabili, si potrebbe agire alla fonte del problema, anche se entrambe nascondono dei problemi. Le materie plastiche bio-based sono prodotte nell’interezza o in parte da risorse biologiche rinnovabili. Le bioplastiche derivano solitamente da derivati ​​dello zucchero, tra cui amido, cellulosa, acido lattico, ma nonostante ciò possono essere anche non biodegradabili. A partire dal 2014, le bioplastiche rappresentavano circa lo 0,2% del mercato globale dei polimeri (300 milioni di tonnellate). Un esempio è la canna da zucchero che viene lavorata per produrre etilene, il quale può essere utilizzato per fabbricare ad esempio il polietilene. L'amido può essere lavorato per produrre acido lattico e successivamente acido polilattico (PLA). Il problema che si nasconde dietro questa tecnologia è che si richiede l'uso di risorse naturali (ad esempio terra, acqua) che potrebbero essere sottratte ad altre attività di sostentamento vitali per l’uomo. Pertanto è fondamentale cercare di rispettare i criteri di sostenibilità come prerequisito per tutte le politiche relative alle materie plastiche bio-based. La plastica biodegradabile è plastica che può essere decomposta dall'azione di organismi viventi, solitamente batteri, il tasso di biodegradazione può variare in modo significativo a seconda delle condizioni di smaltimento e della composizione della plastica. Pertanto, la plastica biodegradabile potrebbe non necessariamente decomporsi prontamente nell'ambiente naturale e potrebbe fornire reali benefici ambientali solo nei paesi con l'infrastruttura necessaria per catturare e decomporre questi materiali. E quindi ancora una volta la fase di raccolta risulta decisiva. Negli oceani, l'acqua è solitamente troppo fredda per scomporre la plastica biodegradabile, quindi una bottiglietta di plastica biodegradabile galleggerà per sempre sulla superficie esattamente come le plastiche convenzionali oppure rompendosi potrebbe produrre piccoli frammenti di plastica che sono dannosi per la vita marina, dando vita al famigerato problema delle microplastiche. La conclusione però è che le plastiche bio-based e le plastiche biodegradabili possono svolgere un ruolo vitale in un'economia circolare sostenibile. 

La situazione maggiormente auspicabile sarebbe quella di convertire il nostro tradizionale modello economico lineare (make-use-dispose) dove si cerca di estrarre il valore massimo dalle risorse e aumentare il più possibile il ciclo di vita del materiale, in un modello ad economia circolare il cui slogan potrebbe essere ‘stiamo buttando via le risorse del futuro?’, ovvero i rifiuti. Questo modello economico si basa sull’idea di recuperare sempre più rifiuti in modo da poterli riciclare o riusare. Si stima che aumentando il consumo post vita della plastica al 55% e riducendo le discariche al 10% solo in Nord America ed Europa si potrebbe ridurre il costo ambientale di 7.9 miliardi di dollari. Nel caso del settore del packaging, le aziende della manifattura potrebbero, per esempio, trovare accordi con le aziende che riciclano la plastica per ottimizzare il processo, come per esempio standardizzare i formati di packaging per renderli più facili da maneggiare in fase di riciclo. Ovviamente il passaggio da un’economia lineare ad una circolare è una soluzione che dovrebbe nascere dalla politica, e dovrebbe essere incentivata, anche perché si prospettano guadagni ambientali e sociali reali. Inoltre la politica dovrebbe porsi l’obiettivo di combattere il vero problema della plastica ovvero l’usa e getta.  L'idea stessa di produrre oggetti di plastica come i sacchetti della spesa, che usiamo in media per 12 minuti ma che possono restare nell'ambiente per mezzo millennio, è un abuso di tecnologia che non possiamo permetterci. Per concludere, la sensazione è che il consumatore da solo non può e non potrà risolvere il problema della plastica, ma avrà sempre bisogno di una guida politica attenta e risolutiva. 

Le strade che si stanno intraprendendo dunque sono molteplici, tuttavia non si è trovata ancora una soluzione definitiva al problema dei rifiuti di plastica, anche perché tutte queste idee presentano ancora dei problemi da risolvere. La speranza però è che il mondo si renda conto che la plastica è una risorsa fondamentale, e non un ostacolo da superare, ma soprattutto che la scienza faccia passi avanti per proporre soluzioni alternative volte soddisfare la pigrizia del consumatore medio.

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