SOCIETÀ

Polonia, da inquieta periferia a presidio della cerniera Est europea

L’invasione russa in terra ucraina potrebbe aver innescato un processo di cambiamento radicale in Polonia, che nell’ultimo mese si è trasformata da inquieta periferia dell’Unione Europea (più volte sanzionata per le palesi violazioni dello stato di diritto avallate dal governo populista del premier Mateusz Morawiecki) a indispensabile presidio della Nato sulla cerniera Est, la più minacciata dall’avanzata dei russi. Al punto che perfino il presidente americano Biden ha ritenuto necessario volare a Varsavia lo scorso fine settimana per incontrare il suo omologo polacco, Andrzej Duda, al quale ha ribadito il pieno sostegno degli Stati Uniti. Polonia che peraltro, in questo primo mese di guerra, ha mostrato il suo profilo migliore spalancando i confini in uno straordinario sforzo di accoglienza dei migranti ucraini (finora, si stima, che oltre 2,3 milioni di persone abbiano trovato asilo). Al punto da guadagnarsi un complessivo plauso internazionale, in un arco che va dal Papa all’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Con Christine Goyer, rappresentante dell'UNHCR in Polonia, che ha tenuto a ribadire: «Siamo di fronte a un enorme sforzo da parte delle persone, delle comunità locali, dei comuni e del governo della Polonia nell’accoglienza dei nuovi arrivati. Ora è importante che la comunità internazionale si faccia avanti per aiutare a fornire un sostegno più duraturo».

Eppure parliamo di quella stessa Polonia, e soprattutto di quello stesso partito attualmente al governo, “Law and Justice”, populista e di estrema destra, che sull’odio per gli immigrati e sul nazionalismo esasperato ha costruito il suo successo elettorale nel 2015, creando non poche fratture nei rapporti con l’Unione Europea. Difficile immaginare che d’un tratto sia scomparsa quella profonda trama di xenofobia che sostiene l’azione del governo polacco. Un esecutivo che appena lo scorso anno aveva rifiutato di far entrare nel Paese migliaia di rifugiati siriani e iracheni, cacciati con la forza dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko, negando perfino l’accesso ai rappresentanti delle Nazioni Unite, nonostante «un disperato e prolungato bisogno di assistenza medica e umanitaria», come denunciavaall’inizio di quest’anno l’ong Medici Senza Frontiere. Ma attenzione: la Polonia (come gran parte degli Stati membri dell’UE, compresa l’Italia) ha deciso formalmente di limitare la “protezione temporanea” ai soli profughi ucraini, escludendo migliaia di stranieri che in Ucraina risiedevano regolarmente. Chi riesce, passa il confine polacco da clandestino, da irregolare. E del resto sono già arrivate segnalazioni di nazionalisti di destra sorpresi a molestare e a intimidire alcuni rifugiati di colore, i “non bianchi”, come molti africani e asiatici che in Ucraina si trovavano per motivi di studio o di lavoro (alcuni dei quali raccontano come siano stati discriminati). Secondo l’emittente televisiva statunitense Abc News alcuni testimoni hanno sostenuto che «i nazionalisti polacchi si sono detti pronti ad accettare i rifugiati  ucraini, ma hanno giurato di “difendere” la Polonia dall’afflusso dei non cristiani».

Stop alle sanzioni dell’Unione Europea

Questo attenua, ma non cancella la straordinaria risposta che la società civile polacca e le associazioni hanno saputo offrire nell’affrontare l’emergenza in corso, garantendo agli ucraini alloggi, cibo, denaro, assistenza, solidarietà concreta: con la Polonia che nel 2021 era al 101° posto a livello mondiale per numero di rifugiati ospitati e che oggi è al numero 2 (al primo c’è la Turchia). Ma il dato politico più rilevante è nel tentativo messo in atto dal primo ministro polacco Morawiecki, che sta tentando di sfruttare questo rinnovato appeal internazionale della Polonia, per forzare la mano proprio con Bruxelles e tentare di alleggerire il peso delle sanzioni. «La Polonia non ha mai avuto un’immagine così eccellente, in tutto il mondo», ha dichiarato la scorsa settimana Morawiecki. «Siamo tornati a occupare una giusta posizione nella politica internazionale e non più confinati dietro un muro di ingiusto isolamento». Quello che il leader del partito Diritto e Giustizia (PiS, dall’acronimo polacco “Prawo i Sprawiedliwość”) definisce “muro” è l’intransigenza dell’Unione Europea nel pretendere il rispetto dello stato di diritto nelle legislazioni dei Paesi membri. Soprattutto nell’adozione, oltre due anni fa, da parte del Parlamento polacco di una legge che assoggetta la magistratura al controllo del governo e punisce i giudici che criticano le riforme imposte dall’esecutivo. Una legge incompatibile, come stabilito nel luglio 2021 dalla Corte di Giustizia Europea, con i princìpi dell’Unione: “Può essere usata per esercitare il controllo politico sulle decisioni giudiziarie o per mettere pressione sui giudici in modo da influenzare le loro decisioni”. Lo scorso gennaio la Commissione Europea aveva chiesto al governo di Varsavia di pagare circa 70 milioni di euro di multe per non aver smantellato, come promesso, la Camera disciplinare della Corte suprema polacca. Gli altri punti di “tensione” tra Varsavia e Ue sono la legge sull’aborto (che Bruxelles giudica talmente restrittiva da mettere in pericolo la salute della donna), la sistematica mortificazione dei diritti degli omosessuali, fino alla creazione di “zone libere dall’ideologia LGBT”, e la decisione di tenere aperta la miniera e le centrali di carbone a Turow, nei pressi del confine con la Repubblica Ceca, nonostante violi gli standard ambientali europei: multe su multe. Un braccio di ferro che ha portato Bruxelles a bloccare anche (anzi, soprattutto) l’erogazione alla Polonia dei fondi previsti per affrontare la pandemia: circa 36 miliardi di euro.

Ora Morawiecki, quasi appellandosi al “buon nome” che la Polonia si sta ricostruendo, vuole che quei fondi siano sbloccati. «Esiste una strategia per ricattare emotivamente l’Unione Europea affinché prenda una linea più morbida», ha dichiarato al Guardian Ben Stanley, politologo presso la “University of Social Sciences and Humanities” di Varsavia. “Un tentativo di rimodellare il discorso, per dire: “Stiamo cercando di affrontare problemi reali; ci stai solo ostacolando con tutta questa roba sullo stato di diritto”». Sempre il Guardian riporta il risultato di un sondaggio: il 66% dei polacchi vorrebbe che il governo accettasse le regole dello Stato di diritto dell’UE ponendo così fine alla controversia con Bruxelles. Ma il 56% vorrebbe che i fondi fossero rilasciati senza vincoli o condizioni, dal momento che “ha accolto così tanti rifugiati”. L’impressione è che qualcosa a breve possa accadere. Già lo scorso febbraio il presidente polacco Andrzej Duda, prima dell’invasione russa in Ucraina, aveva presentato un “emendamento presidenziale” alla controversa legge sulla autonomia dei giudici, che sostanzialmente proponeva di abolire la “sezione disciplinare” con una “Camera di responsabilità”. Una proposta osteggiata da diversi deputati di destra, ma comunque letta come un tentativo di riavvicinamento all’Unione Europea. Che nel frattempo, proprio ieri, ha erogato alla Polonia un prestito di 1,5 miliardi di euro nell’ambito del progetto Sure (il programma di sostegno temporaneo attivato per proteggere i posti di lavoro e i lavoratori durante l’emergenza dovuta alla pandemia).

Gestione dei migranti e lo strappo di Visegrad

Ma al di là del denaro (oltretutto: non è da escludere che la Polonia chieda un “risarcimento” per l’eccezionale accoglienza ai migranti, come avvenuto per la Turchia nel 2015) resta il dato politico: la guerra in Ucraina, e il “ruolo cruciale” che oggi può ricoprire nei piani della Nato, potrebbe spingere la Polonia (intransigente come nessun altro paese nel chiedere una risposta ferma e severa nei confronti del Cremlino) a tornare nell’alveo della comunità democratica occidentale. Scrivono Andrzej Bobinski e Wojciech Szacki, del think tank Polityka Insight, in un approfondimento pubblicato sul German Marshall Fund of the United States: «La guerra in Ucraina potrebbe essere un momento catartico per la classe politica polacca, che ha perso l'orientamento. Questo è un momento decisivo per Jarosław Kaczyński, presidente del partito Diritto e Giustizia: è lui che detiene la chiave per il ritorno della Polonia nella comunità democratica liberale occidentale, anche se fino a poco tempo fa credeva in un mondo in cui attori del calibro di Donald Trump, Marine Le Pen e Victor Orbán avrebbero aiutato a costruire una comunità di stati-nazione». Le partite in ballo, per la Polonia, sono tre: sicurezza (da sviluppare all’interno della Nato), questione economica (che migliorerebbe con un allineamento all’UE) e, non ultimo, gestione dell’attuale ondata migratoria, che rischia d’inasprire le pulsioni xenofobe già ampiamente presenti nel paese. Ma cosa accadrà domani? «La società polacca ha ricevuto elogi per le sue azioni, giustamente», scrive la rivista Foreign Policy. «Tuttavia, questa mobilitazione si adattava esattamente a questo momento: fornire una prima risposta a una crisi senza precedenti. I rifugiati ucraini traumatizzati hanno ricevuto cure e calore, ma i volontari non saranno in grado di fornire loro qualcosa di molto più importante: occupazione, reddito, stabilità, istruzione e senso di appartenenza. Questo è il compito dello Stato, un attore che di solito interviene quando la buona volontà dei cittadini ha fatto il suo corso». Ma il governo di Varsavia, che in materia d’immigrazione non è di certo all’avanguardia, potrebbe trovarsi impreparato: «Alla Polonia mancano alcune delle istituzioni più basilari che potrebbero aiutare ad allentare la pressione dei rifugiati», prosegue Foreign Policy. «Servirebbe un’agenzia governativa in grado di operare sulla base di un piano a lungo termine. Un’istituzione per determinare se i migranti soddisfano i requisiti legali per risiedere in Polonia, ma anche in grado di metterli sulla strada giusta per l'integrazione nella società. Non solo sistemerebbe le loro carte, ma offrirebbe corsi di lingua, indicherebbe dove il mercato del lavoro è a corto di manodopera e dove cercare qualifiche professionali aggiuntive, e forse addirittura sponsorizzerebbe la formazione. In breve, la Polonia ha un disperato bisogno di un ufficio per gli stranieri in grado di realizzare una strategia migratoria globale». Amnesty International, dopo aver visitato alcune città a ridosso del confine con l’Ucraina, ha definito la situazione “caotica e pericolosa”. La situazione potrebbe sfuggire di mano.

Dunque una sfida enorme, che potrebbe ridisegnare il futuro del paese, e che riguarda non soltanto il governo ma l’intera società civile polacca, chiamata a scegliere da che parte stare, se dell’isolamento o dell’integrazione. Intanto la Polonia (assieme alla Repubblica Ceca) un segnale l’ha già dato: non parteciperà al prossimo vertice sulla difesa dei paesi del gruppo Visegrad(composto anche da Ungheria e Slovacchia), convocato per il 30-31 marzo. E il motivo del rifiuto è proprio l’ambigua posizionedel premier ungherese Orbán nei confronti di Putin, incapace di pronunciare una sola parola di condanna per l’invasione in Ucraina e determinato a mantenere una posizione di neutralità. Il vice capo del ministero degli Esteri polacco, Marcin Przydacz, ha dichiarato alla Tv polacca che il primo ministro ungherese stava «commettendo un errore» nel suo approccio alla guerra in Ucraina.

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