La storia di Davide e Golia è una delle più amate perché 'idea che i piccoli possano affrancarsi riuscendo a battere i grandi è davvero suggestiva. Nel calcio, in particolare, è ciò che dà sapore all'intera faccenda: uno dei motivi per cui molte persone si stanno disaffezionando al mondo del pallone è proprio l'egemonia della Juventus a livello nazionale. Naturalmente non si può fare una colpa a questa squadra se mette in campo i più forti, ma è innegabile che si senta un po' la mancanza di quell'effetto sorpresa che scatta quando la Danimarca vince l'Europeo, o quando il Verona vince il campionato o, ancora, quando il Frosinone viene promosso in serie A (il cantante indie Calcutta ci ha scritto anche una canzone).
Chi ha nostalgia di un calcio meno scontato, può affidarsi ai ricordi. Sono passati cinquant'anni dalla storica vittoria del Cagliari, che nel 1970 si laureò campione d'Italia per la prima e unica volta. È dura per una società e i suoi tifosi non potersi trovare nel cinquantennio di un'impresa perché un virus ci ha messo lo zampino. Ed è tanto più dura se si pensa che sono passati anche 100 anni dalla nascita di questa squadra, l'unica formazione sarda ad aver giocato in serie A e in serie B.
La guerra era da poco finita, e il calcio era visto come un modo per gettarsi dietro le spalle quegli anni bui, con l'entusiasmo di chi gioca solo per passione.
Ci sono voluti 50 anni per vincere un campionato, ma se si tratta di entrare nella leggenda ne vale la pena: c'era il mister, quello che una volta era entrato in una stanza durante il ritiro, ci aveva trovato Riva, Albertosi, Gori e Poli indistinguibili in una nube di fumo mista ad alcol, che giocavano a poker come se non avessero una partita ben più importante il giorno dopo. Invece che rimproverarli si era messo a fumare con loro. Cose da anni Settanta, insomma, e cose da filosofi più che da allenatori. Quel mister era Manlio Scopigno, ed era soprannominato proprio "il filosofo". Friulano doc (a quanto pare quelle zone danno i natali ad allenatori anticonformisti), aveva affiancato l'università alla carriera di calciatore. E se studi Platone e Aristotele i tuoi calciatori non li tratti come tutti gli altri (Scopigno è famoso anche per non aver organizzato ritiri: secondo lui era roba da squadre in odore di retrocessione, che poi retrocedevano lo stesso e quindi tanto valeva godersi il campo ma anche la vita).
Apparentemente tutti i suoi sforzi sembrarono inutili: la sua carriera fu stroncata dalla rottura del ginocchio poco dopo il suo primo gol nella massima serie, mentre giocava nel Napoli, e abbandonò anche l'università, perché non credeva di poter riprendere il ritmo dopo l'incidente. Ma il destino di possibilità te ne dà più di una, se le sai cogliere: Scopigno diventò allenatore, e approdò al Cagliari nel '66, dopo un'esperienza poco appagante nel Bologna, da cui fu esonerato, e al momento di commentare il telegramma che glielo comunicava rilevò gli errori di sintassi e un congiuntivo sbagliato. Al Cagliari però trova Gigi Riva, e il miracolo sembra finalmente possibile.
E invece dopo un sesto posto, la sua avventura si interrompe: non per il rendimento, ma per aver urinato nel giardino a una festa all'Ambasciata italiana a Chicago e risposto male al presidente Rocca che gli chiedeva spiegazioni. Ma ecco che gli viene data di nuovo un'altra possibilità: viene richiamato dal nuovo presidente Corrias, e confermato anche l'anno dopo. Ritrova Riva e altri giocatori di livello, come Cera, il capitano di quel Cagliari magico, Domeneghini, Gori e Niccolai, lo stopper ingiustamente passato alla storia per le autoreti e che invece al Cagliari giocò una stagione di prestigio e che dopo la vittoria in campionato giocò anche i mondiali del '70 in Messico, suscitando la sincera sorpresa del suo ex allenatore: "Tutto mi sarei aspettato dalla vita, tranne che vedere Niccolai in mondovisione!".
Ironia della sorte, Scopigno non lo potrà festeggiare in campo quel campionato 1970, visto che viene squalificato per quattro mesi per espressioni ingiuriose contro il guardalinee.
Ma alla fine con le leggende non ci si va troppo per il sottile: l'importante è il risultato. Ed eccoci a quella storica giornata di aprile all'Amsicora contro il Bari (il Sant'Elia fu inaugurato l'anno dopo): il sole brillava e la magia era già nell'aria ancora prima che iniziasse la gara. Attorno allo stadio, una folla unita dalla passione autentica per uno sport e per una squadra.
Anni dopo, De Gregori avrebbe raccontato, romanzandola molto, la storia del bandito Sante Pollastri che veniva arrestato perché andava a vedere le gare del suo amico Girardengo.
Qualcosa di simile successe (ma veramente!) a Cagliari nel 1970: nella folla i carabinieri riuscirono a individuare due pregiudicati, che non ce l'avevano fatta a rinunciare a quella partita. Li arrestarono, ma poi, poco dopo il grido di Sandro Ciotti a Tutto il calcio minuto per minuto "Il Cagliari è campione d'Italia!", portarono i due malviventi incatenati di fronte allo spogliatoio della squadra di casa: avevano espresso il desiderio di avere gli autografi dei loro beniamini prima di scontare la giusta pena, e i due carabinieri non se l'erano sentita di negarglielo.
Storie del calcio dei tempi che furono: al giorno d'oggi la gogna mediatica scoraggerebbe qualsiasi carabiniere a fare altrettanto e del resto, forse, i criminali la partita la guarderebbero al sicuro dal loro divano. Forse ci sono troppe leggende, al giorno d'oggi, e non vale più la pena di farsi arrestare per una delle tante.