SOCIETÀ

Stati Uniti contro Stati Uniti: la guerra interna sul climate change

Un cortocircuito sul clima. O meglio: sui cambiamenti climatici e sul negazionismo. Il brutto spettacolo va in scena – nuovamente – negli Stati Uniti. Non erano bastate le proteste di esperti e di ecologisti contro il presidente americano, Donald Trump, e le sue dichiarazioni insostenibili sull’origine degli incendi in California.

Ora il conflitto si fa squisitamente interno: da una parte il Congresso (e la stessa Casa Bianca) che rende pubblico il quarto – allarmante – rapporto nazionale sulla situazione climatica negli Stati Uniti (realizzato da 13 agenzie federali), dall’altra Trump che non vacilla e mantiene le sue posizioni negazioniste sul climate change.

Il rapporto, in 1.656 pagine, delinea lo scenario peggiore sul clima che gli Stati Uniti abbiano mai visto, parlando di “devastanti effetti sull’economia, sulla salute e sull’ambiente”. Includendo, per quest’ultimo, anche gli incendi in California, “certificati” come figli del cambiamento climatico (tranne che per Trump).

Il documento non usa mezzi termini: l’economia americana da qui alla fine del secolo potrebbe perdere il 10% del prodotto interno lordo, mentre le esportazioni USA e il sistema di approvvigionamento delle derrate alimentari potrebbero tornare, entro il 2050, ai livelli del 1980.

Il contrasto tra i contenuti del rapporto e le politiche climatiche di Trump è palese. E ai media americani è apparso pure palese il tentativo di minimizzare i contenuti, pubblicando lo statement il giorno dopo il Thanksgiving, così da allarmare il meno possibile l’opinione pubblica.

Che ne avrebbe tutto il diritto, di essere allarmata: l’impatto economico del climate change non è infatti trascurabile. Si parla di 141 miliardi di dollari per i decessi collegati alle ondate di calore, 118 miliardi a causa dell’aumento dei livelli del mare e 32 miliardi per i danni alle infrastrutture derivanti da fenomeni meteorologici. Cifre precise, molto di più rispetto al precedente rapporto, del 2014, prodotto durante l’era di Barack Obama. L’ex presidente degli Stati Uniti, da sempre attento alle tematiche ambientali, utilizzò quei dati per redigere le nuove norme anti-inquinamento negli Stati Uniti. Le stesse che poi il partito repubblicano e lo stesso Trump smantellarono, vanificando la “guerra al carbone” e portando gli Stati Uniti fuori dagli accordi sul clima di Parigi.

Ma alla scienza non si sfugge. La si può negare – sbagliando – ma prima o poi i nodi tornano al pettine. Il rapporto denuncia come gli Stati Uniti debbano prendere delle decisioni importanti per mitigare l’impatto sul clima. Le conseguenze sarebbero appunto catastrofiche e investirebbero tutto il vasto territorio americano, senza escludere alcuno Stato.

La Casa Bianca minimizza: “Il rapporto, la cui stesura è iniziata con Obama, si basa largamente sul peggior scenario: i prossimi dati saranno sicuramente più bilanciati”. Difficile dirlo, visto che tutti i rapporti sul riscaldamento globale, a partire da quello dell’IPCC, dimostrano ampiamente il contrario.

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