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UniversoPoesia. Epica e folclore ne “La principessa guerriera” di Marina Cvetaeva

La principessa guerriera è un lungo poema in versi scritto da Marina Cvetaeva nel 1920. L'opera è allo stesso tempo una fiaba popolare russa, una tragedia e un poema epico. Ed è anche la storia di un amore mancato che si svolge in una serie di incontri in realtà mai avvenuti.
A un secolo di distanza dalla sua composizione, l'opera è stata pubblicata per la prima volta nella traduzione italiana da Sandro Teti editore a cura di Marilena Rea, critica letteraria e traduttrice specializzata nella poesia russa.

“Marina Cvetaeva, che è una delle voci poetiche russe più importanti del Novecento, che ha iniziato a lavorare a quest'opera nell'inverno del 1919”, racconta Marilena Rea. “Era un anno terribile in Russia, perché era in corso la guerra civile tra la fazione dei Bianchi e l'Armata Rossa rivoluzionaria. Il marito di Cvetaeva era arruolato al fronte, perciò lei si trovava a Mosca da sola con due figlie piccole. Iniziò a comporre questo poema esattamente in coincidenza con la morte della sua figlia più giovane, Irina, avvenuta a causa della fame e delle privazioni.
Nel giro di pochi mesi, Cvetaeva portò a termine la stesura di questo lunghissimo poema, e fino al giorno della sua morte ritenne che questo fosse il suo lavoro migliore.

L'intervista completa a Marilena Rea, curatrice del libro "La principessa guerriera" di Marina Cvetaeva. Montaggio di Barbara Paknazar

Dobbiamo perciò immaginarci una donna giovanissima, con due bambine di cui occuparsi, che doveva letteralmente sopravvivere in una Mosca freddissima e stremata dalla guerra. Come racconta nei frenetici diari del 1919-1920, non poteva cessare di scrivere e andava al mercato nero a cercare carta e inchiostro. La carta era difficilissima da trovare in contesto di guerra, per cui Cvetaeva scriveva su qualunque superficie, persino sulla carta del pane e sulle pareti della soffitta in cui si era rintanata con le sue figlie.
È in queste condizioni così tragiche che scrisse una fiaba. Cvetaeva era una grandissima cultrice del folclore tradizionale russo, ma anche di quello tedesco e francese che conosceva benissimo. Aveva inoltre già scritto delle opere poetiche che contenevano temi tratti dal folclore. Molte poesie di questi stessi anni contengono anche elementi tratti dalla fiaba e dall'epica sia popolare che colta.
Nel poema La principessa guerriera c'è una confluenza incredibile e quasi al limite della frattura fra elementi della tradizione folclorica russa e temi tratti dall'epica dell'antica Grecia.
Inoltre, questo poema contiene anche una commistione di stili diversissimi tra di loro, che rispecchiano tutte queste tradizioni.

Il 1920, anno della composizione di questo poema, è un momento centrale per la vita di Cvetaeva anche perché dopo circa due anni lei scelse di lasciare la Russia e partire per l'esilio con sua figlia. Visse per oltre 15 anni tra Berlino, Praga e Parigi. Per questo, la fiaba in versi La principessa guerriera è come un lungo addio alla terra di questo folclore, di cui il poema è un'incredibile e rarissima testimonianza”.

Infatti, come è scritto anche nell'introduzione del libro curato da Marilena Rea, è proprio da una tradizionale fiaba russa che Cvetaeva prende ispirazione per questo poema.

“La fiaba in questione si intitola La fanciulla e il re, e i lettori italiani la possono leggere nel famoso volume Fiabe russe curato dall'etnologo Afanasjev. È lo stesso libro che possedeva anche Cvetaeva, che lo aveva ricevuto in regalo da amici di Pietroburgo nel 1915”, racconta Rea.
“La storia tradizionale rispecchia i canoni delle fiabe popolari descritti da Propp. Troviamo quindi il principe che deve affrontare delle prove iniziatiche, lontane dalla casa paterna, per andare a trovare la promessa sposa: la Fanciulla-re, ovvero una principessa che governa uno stato in un paese molto lontano. Il principe dovrà conquistarla e poi portarla a casa, secondo i tropi tipici della fiaba”.

Nella fiaba di Cvetaeva, invece, i tradizionali ruoli del principe eroico e della principessa da salvare sono capovolti. Inoltre, i due personaggi più importanti, nella classica contrapposizione eroe-antagonista, sono i due personaggi femminili, la Zar-fanciulla, ovvero la principessa guerriera del titolo, e la Matrigna follemente innamorata dello Zarevič, il principe.

Infatti, come spiega Marilena Rea, “Marina Cvetaeva, come fa sempre di fronte a un modello tradizionale, ribalta i contenuti e trasforma tutte le dinamiche. La Fanciulla-re o la Zar-fanciulla, come viene chiamata nel poema, non è soltanto una principessa, ma una principessa guerriera, un'amazzone. È una donna che disdegna gli uomini, è votata alla guerra e si comporta come un maschiaccio. Nel poema rappresenta il principio solare, quello che solitamente nella tradizione viene sempre associato all'uomo.

Sbilenco dal vento – l’elmetto caudato,
di altezza è una torre, formidabili le spalle!

Sta andando a battezzare la bestia di un mercante?».
Corre dallo sposo promesso, si chiama Vergine-Zar.

«Come?» – È la verità! – «Una donna senza trecce?»
Lei non è come le altre! Guarda che visetto lucente,

da fare invidia al sole! – «Le spalle sono macigni!».
Ma guarda che vitino! Porta un anello per cinta!

Marina Cvetaeva, “La principessa guerriera”. Sandro Teti editore, 2020

Al contrario, lo Zarevič non è certo un ragazzotto coraggioso che parte all'avventura per conquistare la sposa. È invece un giovincello flebile, filiforme e codardo, che non fa nient'altro che suonare tutto il giorno.

Afferra il pettinino
e gli scappa dalle mani!
Indugia pensieroso
infilando lo stivale.

«Non capisco che cosa in me
potrebbe trovarci una donna!
Braccia e gambe fiacche
come fatte di pastafrolla!

Marina Cvetaeva, “La principessa guerriera”. Sandro Teti editore, 2020

Nelle opere di Marina Cvetaeva compaiono altre varianti simili a questo “fanciullo di pasta frolla” dedito solo alla musica, ispirate al David preso dalla Bibbia, ad Amleto o a Ippolito nel mito di Fedra. Lo Zarevič, perciò, rientra in questa gamma di uomini incapaci, deboli, che non sanno prendere le proprie decisioni. Egli infatti non andrà a cercare la sposa. Al contrario, sarà lei a conquistare lui, dopo aver sentito una canzone trasportata dalle onde del mare.
Il ragazzo, a differenza di Zar-fanciulla che rappresenta il principio solare, incarna il principio lunare, che di solito è sempre associato al personaggio femminile.

Questa ambivalenza dei due protagonisti, in cui la donna incarna il principio maschile e l'uomo quello femminile, ci riporta a un altro tema tutto cvetaeviano che è quello dell'androgino e della fusione degli opposti nella coesistenza del maschile e del femminile. I lettori appassionati di Cvetaeva che conoscono altre sue opere sicuramente si ricorderanno di tante donne guerriere presenti nella sua produzione poetica, come l'amazzone Pentesilea e Giovanna d'Arco, in cui l'aspetto femminile si confonde con quello maschile. E allo stesso modo si ricorderanno tanti personaggi maschili che lasciano adito all'interpretazione androgina. Si tratta insomma di un tema caro a Cvetaeva, che nella sua vita, tra l'altro, ha avuto moltissime relazioni, sia con uomini che con donne, e che spesso ribadisce, nelle sue lettere e nei diari, il tema dell'androgino come elemento vitale, costitutivo”.

La traduzione di questo poema è stata una sfida piuttosto ardua per Marilena Rea, che ha lavorato molti anni per trovare il modo migliore di rendere nella nostra lingua la complessità delle scelte linguistiche compiute da Cvetaeva, che fonde in questo poema molti stili tratti da diverse tradizioni poetiche e letterarie.

“Marina Cvetaeva mescola in questo poema forme caratteristiche dello stile fiabesco, di quello epico popolare delle Byliny, di quello epico colto del Canto della schiera di Igor e anche della tradizione dello slavo ecclesiastico, che lei adorava e che riesce a intrecciare e ad amalgamare con tutti gli altri stili”, afferma Rea.
Tutti questi stili rispecchiano ognuno un personaggio o una situazione, e per capire come renderli, la curatrice dell'opera ha dovuto condurre un'ampia ricerca nella nostra tradizione della traduzione.

“Questo poema non era mai stato tradotto da nessuno”, spiega, “ma esistono tante traduzioni nella nostra lingua dell'epica antica e delle fiabe tradizionali popolari, come quelle curate da Italo Calvino, che sono delle traduzioni in italiano delle fiabe in dialetto. Quando ho iniziato a studiare il poema ho svolto quindi un'indagine sulle scelte dei traduttori italiani per rendere le opere antiche anche di altre culture. Si è trattato di un lavoro mastodontico, svolto non verso per verso, ma parola per parola, non solo per comprendere lo stile originale e tradurlo, ma anche per fare sì che il lettore si riconoscesse nello stile dell'epica, o in quello della fiaba, e così via.

Cvetaeva è una maga del trasformismo linguistico. Talvolta il suo stile è talmente esuberante da far girare la testa. Per renderle giustizia e avvicinarmi il più possibile all'originale ho dovuto ricreare giochi stilistici simili, anche se non identici, che potessero rispecchiarne lo stile. Ad esempio, di fronte a una catena di rime baciate che dura 10 versi, che in russo appare molto meno pesante rispetto all'italiano, ho dovuto fare in modo che alcuni versi rimassero e altri no, per cui ho inserito nei punti in cui si perdeva la rima tradizionale baciata un gioco di rime al mezzo oppure delle assonanze, per ricostruire nella nostra lingua la stessa enfasi sonora dell'originale”.

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