CULTURA

Don Winslow sta arrivando in Italia, il suo Danny Ryan al cinema

Lo scrittore statunitense Don Winslow sta arrivando in Italia, il suo personaggio più recente Danny Ryan lo incontrerete presto al cinema. Dopo il consueto giro di presentazione nelle grandi città metropolitane USA, Winslow a maggio viene in Europa, prima in Italia (dopo quasi un decennio di assenza fisica), poi in Francia. Gli appuntamenti sono ovviamente fissati da tempo: il 10 maggio a Torino alle 19.30 al Salone del libro, l’11 maggio a Mestre alle 18.30 al Centro culturale Candiani (Mestre Book Festival), il 12 maggio a Brescia alle 17.30 all’Auditorium San Barnaba (Librixia). In Francia in due librerie a Vincennes e a Parigi. Sarà inoltre Austin Butler (l’Elvis cinematografico) a interpretare Danny Ryan, protagonista della trilogia di cui è appena uscito l’ultimo volume; il film sarà prodotto dallo stesso Butler con David Heyman (Harry Potter, C’era una volta a….Hollywood, Storia di un matrimonio, Barbie) e Shane Salerno (1972), primo editor e da sempre amico fraterno di Winslow, già “adattatore” del suo Le belve  per Oliver Stone e della Trilogia del Confine per un’imminente serie tv di FX; lo sceneggiatore per il grande schermo sarà Justin Kuritzkes; la Sony produrrà il primo capitolo di quella che dovrebbe essere una trilogia criminale tra gli irlandesi del New England e poi verso ovest fino a California e Nevada, agli studios di Hollywood e agli scintillanti casinò di Las Vegas.

Il primo volume della trilogia, City on fire, Città in fiamme, era uscito ad aprile 2022. Danny era un “soldato” E e abbiamo già ricordato la trama nel contesto della precedente produzione artistica di Winslow e della sua scelta di terminare così la carriera di scrittore. Il secondo volume è uscito esattamente un anno dopo ad aprile 2023, non più ambientato prevalentemente nel New England: Don Winslow, Città di sogni, traduzione di Alfredo Colitto, HarperCollins Milano, 2023 (orig. City of Dreams), pag. 382. Come già nel primo romanzo, al termine del testo del secondo (a pagina 354) si poteva leggere l’anteprima del prologo e del primo capitolo del successivo, terzo e ultimo volume della trilogia, poi uscito esattamente un anno dopo, in questo aprile 2024. Danny è un esule, un profugo.

Dalla East Coast alla California e al Nevada. Fine 1988 - aprile 1991. Danny Ryan, poco più che trentenne, cuore tenero e spalle larghe, un metro e ottantatre, capelli castani ribelli verso il rossiccio, è in fuga, con il vecchio padre Marty (quasi sempre ubriaco e mezzo cieco), il piccolo figlio Ian di diciotto mesi e i pochi amici rimasti vivi. Vengono da Providence, Rhode Island, dove da agosto 1986 al Natale 1988 vi è stata una guerra, la miccia accesasi per una donna, una scintilla casuale per un incendio che comunque covava. Prima le comunità (anche criminali) irlandesi (la sua) e italiane erano state alleate per generazioni, fronte comune (civile e fuorilegge) contro altri, pubblici e privati: gestivano insieme il New England. Loro ne erano usciti sconfitti. Lui ha rubato, picchiato e ucciso per difesa tre uomini (un poliziotto corrotto poco prima); era un aiutante, è divenuto un capo; ha visto morire di cancro l’amata moglie Terri e tante persone care; infine ha buttato nell’oceano dieci chili di eroina (per un valore di due milioni di dollari).

Hanno preso poche cose e due auto, disperdendosi poveri e affranti verso ovest. Devono mettere più distanza possibile dai Moretti, dalla polizia cittadina e statale, dai federali, da traditori e trafficanti. Danny chiama l’anziano boss italiano Pasquale Pasco Ferri, col quale ha sempre mantenuto buoni rapporti, gli dice che non ha la droga e vuole solo ricominciare altrove. Ci prova a San Diego, lavori in nero (ora da barista), profilo defilato (con baffi ridicoli), sempre all’erta, fa il padre. Finché potenti DEA-FBI lo ricattano imponendogli una remunerativa missione armata contro un narcotrafficante, pur potendosi poi tenere molto. Finché per caso scopre che stanno facendo un film a Hollywood sulla loro guerra a est. Finché non viene chiamato sul set a dirimere problemi. Finché non nasce amore con l’attrice.

Come spesso in precedenza, la narrazione è in terza varia al presente, anche qui vi sono tre parti (“Terre deserte” dalla fuga di fine 1988; “Quadri senza vita” dalla seconda fuga dopo la ricca rapina per i federali dal novembre 1989; “cosa vogliono le anime dei morti” dopo la fuga dall’attrice a la morte del padre dall’aprile 1991), ognuna con esergo tratto dall’Eneide di Virgilio, ognuna con vari capitoli (in tutto ventidue) e ficcanti dialoghi, che ricostruiscono quanto trascorso dai vari punti di vista e seguono in diretta i tanti personaggi su molteplici scene e fronti. Il primo sogno del titolo è proprio la migrazione forzata verso le città della West Coast, “il fottuto sogno americano”, legato poi al nomignolo di Los Angeles, “la città che preleva le fantasie dai nostri cervelli e le colloca a dieci metri di altezza” (la grotta di Cartagine con i murali che descrivono la guerra di Troia).

Di continuo l’autore dispensa efficaci misurati inserti biografici, funzionali alla storia, in particolare anche qui su donne cruciali: Madeleine (Afrodite) la mamma che aveva abbandonato Danny da piccolo e ora fa a Las Vegas la potente nonna protettiva di Ian (Ascanio) e del figlio; l’irlandese Cassie Murphy, sorella maggiore di Terri, già abusata da ragazzina che ora finisce per legarsi all’indebolito capo italiano Peter Moretti; la meravigliosa sensibile fragile attrice Diane Carson (Didone), bionda, tette grandi, occhi azzurri, una nuova Marilyn; Reggie Moneta, la vendicativa direttrice dell’FBI per il crimine organizzato. L’industria cinematografica e la classe criminale s’intersecano spesso. Segnalo la cittadina Winslowsulla strada americana verso ovest, a pag. 43. Vodka o whisky, dipende. Canzoni irlandesi d’epoca, con Danny che continua pure a incantarsi con forse il più grande poeta americano contemporaneo, il boss Bruce Springsteen. L’atto conclusivo era già in fieri: Don Winslow, Città in rovine, traduzione di Alfredo Colitto, HarperCollins Milano, 2024 (orig. City in Ruins), pag. 458 (fine della trilogia). Qui Danny ha ormai costruito un impero sulla sabbia.

Siamo ancora a Las Vegas in Nevada, fra il giugno 1997 e la fine del successivo 1998. Danny Ryan, è ancora una volta sopravvissuto a stento, ricco tuttavia. Lo ritroviamo socio multimilionario e responsabile di fatto di due hotel sulla Strip di Las Vegas, una villa in città e uno chalet nello Utah, però scontento, vuole di più, gli piace progettare e intende mantenere lontani da sé e da tutti i ricordi del proprio passato, continuando a non rimescolarsi con le mafie attive. Duramente ferito dalla perdita dei due grandi amori della vita, morti giovani la moglie Terri (per malattia) e l’attrice Diane (suicida), ora frequenta con reciproco piacere in una stabile relazione, segreta per reciproca scelta, la bella introversa psicologa ebrea Eden Landau, capelli neri, labbra piene, occhi luminosi, divertente spiritosa affascinante, appagata dai tanti studenti e pazienti, gran lettrice a sua differenza.

Il figlio Ian di Danny ha ormai dieci anni, sta spesso con la potente regale nonna Madeleine McKay, riceve per la gran festa di compleanno una mountain bike e la promessa di una settimana intera fuori casa, solo con il padre, in macchina, in bicicletta e a piedi, in campeggio mangiando cibi spazzatura in ristoranti e fast food. Danny si destreggia fra i due partiti statunitensi con regalie e mediazioni, pur di non essere indagato e di poter comprare nuovi alberghi da ristrutturare per costruire sogni. La concorrenza e la lotta si fanno più aspre, molti reclamano colpi duri e bassi oltre che di fioretto; ricompaiono antichi complici criminali, sodali mafiosi e potenti Dea-Fbi; vengono richiamate squadre e assoldati killer; molto si frantuma, la vita si fa rischiosa per tutti, gli omicidi risorgono a grappoli; i processi e le storie del New England e della California non sono mai finite, dai sogni restano rovine. Forse.

Lo scopriremo proprio nelle ultimissime pagine, in una coda ambientata nel 2023. Terzo magnifico atto della trilogia in due anni (tutta scritta col medesimo elegante incedere, ora quieto ora adrenalinico) dell’eccelso Don Winslow, che all’uscita del primo repentinamente annunciò (e sempre confermato) il successivo ritiro dalle scene letterarie. Il libro è disponibile in contemporanea in decine di paesi, subito avanti nelle classifiche (mai ai primi posti in Italia), a primavera 2024 Winslow sta gioendo per il notevole successo di critica e di pubblico in un ultimo giro di presentazioni per gli Stati Uniti e in Europa (come detto anche Italia), mentre si sfinisce la residua vita dedicandosi giustamente a tempo pieno (con tempestivi curati post e video) a impedire la possibile rielezione di Trump nel 2024 (lo considera fascista e razzista, un “traditore dell’America”). Gli e ci appare sempre più urgente e difficile.

Come spesso in precedenza, la narrazione è in terza varia al presente, anche qui vi sono tre parti (“La festa di compleanno di Ian” fino all’acquisto del cruciale albergo Lavinia; “I poteri dell’inferno”, dalla vendetta escogitata dalla vicedirettrice FBI all’accidentale morte del figlio del rivale; “Le regole della giustizia” sui tanti mesi delle guerre giudiziarie, finanziarie e materiali); le prime due con esergo tratto dall’Eneide di Virgilio, mentre nella terza parte ci sono Le Eumenidi di Eschilo (anche queste terze della finale trilogia), decisamente noir; l’epilogo è ancora con Virgilio (contemporaneo e a Casa); ognuna con vari capitoli (in tutto centodue, molti brevissimi) ed efficaci dialoghi. Volutamente, niente di esatto storicamente, tutto plausibile venticinque anni fa, minuziosamente basato sulla classica antichissima epopea di Enea.

Di continuo anche qui l’autore dispensa godibili misurati coinvolgenti inserti biografici, funzionali alla storia (Stavros è diabetico), in particolare su personalità cruciali nel dipanarsi degli eventi, pure in quest’occasione spesso (ma non solo) donne. Comunque, Eden sa che Danny è innamorato del proprio dolore, attaccato al romanticismo delle sue tragedie; sono la sua definizione di sé, che se ne renda conto o meno; non si libererà mai della sua tristezza, non saprebbe cosa fare. Risulta non il solo nelle medesime condizioni. Vino rosso, birra o whisky, dipende. Per riflettere il notturno di Chopin. L’ultimo della trilogia non è meno capolavoro del primo e del secondo, pur ormai con qualche ripetizione di stile. Imprescindibile, forse.

Nel dicembre 2012 Don Winslow ricevette il Raymond Chandler Award al Courmayeur Noir in Festival e da allora è tornato molto raramente nel nostro paese per le presentazioni dei successivi libri. Diversi suoi libri erano stati adattati per il cinema e la televisione ed era già stato componente della giuria cinematografica del festival italiano nel 2008. Poi, nell’occasione del premio, fu possibile conoscerlo meglio per alcuni di noi, ascoltarlo più volte, incontrarlo a cena con la moglie, una personalità mite molto diversa dai personaggi che ha inventato, a conferma di come la scrittura di fiction possa davvero costituire una creativa attività professionale. Chiamato recentemente a ragionare sul suo metodo di scrittura Winslow ribadisce o dice (nella bella traduzione dell’ottimo Seba Pezzani) alcune cose interessanti.

Riassumo: sono sempre stati pochi gli scrittori che si guadagnano da vivere con quel lavoro a tempo pieno; Winslow desiderava far quello fin da bambino ma prima ha fatto molto altro come il direttore di un cinema, l’investigatore privato, la guida di safari fotografico, il direttore di produzioni shakespeariane per programmi estivi a Oxford (per molti di voi e noi sarà stato leggermente diverso); nel contempo scriveva, almeno cinque pagine al giorno, quando e dove poteva, a qualunque costo, in qualunque modo (e dopo tre anni aveva completato la stesura di un potenziale libro); solo il sedicesimo editore contattato condivise la sua opinione a riguardo e lo mise sotto contratto, identità rimasta abbastanza marginale per ben sei altri libri; dopo di allora ha finalmente svolto solo il lavoro che gli piaceva, svegliandosi alle 5 del mattino e scrivendo per 5 ore, altre cinque dopo una pausa fino alle cinque del pomeriggio, è appunto un lavoro; i suoi “trucchi” sono stati la capacità di non mollare mai, l’applicazione specifica sui verbi e sulla forma della pagina, un po’ di tenacia umiltà gratitudine e, soprattutto, una editor che collaborasse a lottare per un numero contrattuale di copie e per un marketing congrui.

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