CULTURA
Don Winslow: alta letteratura (crime?) e politica quotidiana (noir?) /2
La prima parte di questo articolo è disponibile qui
Dopo i primi sei romanzi newyorchesi e un certo sperimentale successo (1991-1996), Don Winslow è divenuto un consapevole ed esperto scrittore non a tempo pieno: fra ossimori e metafore coerenti con varie simmetrie biologiche e matematiche, in mezzo a veritieri grandi scrittori e musicisti, si lascia ormai pure andare a innumerevoli puntuali divertenti citazioni di libri, film e canzoni d’epoca (queste ultime nella nota conclusiva del sesto, il primo senza personaggi seriali). Pronto a svoltare. Quando sta per realizzare il settimo romanzo Don Winslow ha 43 anni, nato il 31 ottobre del 1953 a New York, cresciuto nei pressi sulla costa orientale (a Rhode Island), madre libraia, padre pescatore e sottufficiale della Marina, gran lettore con precoce vocazione letteraria, laurea in storia africana. Pur sempre scrivendo molto a vario titolo e raccogliendo materiali per altra fiction, aveva lavorato nei più svariati campi e non riusciva ancora a mantenersi da scrittore. Cambiò costa. Nelle opere successive l’autore e l’ambientazione prevalente migreranno in California, pur se il legame con New York non verrà mai reciso, era e resta la sua “isola” del cuore (da qualche tempo vi è tornato).
“Morte e vita di Bobby Z.” è il primo affascinante romanzo che finalmente fa decollare Winslow (1997, prima immediata edizione italiana, Rizzoli 1997, senza particolari risultati e seguiti, poi Einaudi 2013 e HarperCollins 2021), scritto nei pendolari trasferimenti in treno a Los Angeles e venduto subito a un produttore cinematografico (il bel film con Paul Walker uscirà nel 2007). Da questo fatidico momento, Winslow si dedicherà solo alla scrittura per una ventina d’anni. Nel romanzo ci troviamo in California del Sud e in Messico a metà anni Novanta. La narrazione è in terza al presente, un’innovazione significativa rispetto alle prime prove (riuscite ma poco vendute), che resterà una cifra dell’alta produzione letteraria dell’autore, piena di ritmo ed energia, già incalzante come una sceneggiatura, in questo caso settantanove velocissimi capitoli in presa diretta. Il protagonista è un perdente cronico, moderno povero abile fuorilegge gentiluomo, per ragioni di trama (dalla morte alla vita, come sintetizza l’identico titolo americano), non poteva certo divenire un personaggio seriale.
Il modo in cui al giovane detenuto (a San Quentin) Tim Kearney capita di diventare falsamente il leggendario Bobby Z è questo: affila come un rasoio la targa di un’auto e la usa per tagliare la gola a un gigantesco Hell’s Angel soprannominato Stinkdog (che gli aveva ordinato di entrare nella Fratellanza Ariana), procurando a quello una morte istantanea e a un agente della Dea di nome Tad Gruzsa un’istantanea felicità. Tim è una testa calda, sfigato ladro 27enne condannato a un periodo di ferma nei Marine e congedato con disonore, di nuovo arrestato per un furto ridicolo. Ora l’accusa di omicidio renderebbe probabile la pena dell’ergastolo e l’identità della vittima farebbe di lui, dopo l’isolamento iniziale, un uomo morto in qualsiasi carcere della California. Tad è contento perché può concretizzare l’idea maturata causa la somiglianza di Tim con un trafficante di droga scomparso: liberarlo se proverà a farsi passare per Robert James Bobby Zacharias.
Il vero Bobby Z è un gran surfista (come Winslow), precoce spacciatore di erba, poi ricco trafficante di gran qualità, capace di ben nascondere volto e aspetto. Il più grande signore della droga del Messico settentrionale tiene prigioniero un ottimo agente americano ed è disposto a scambiarlo con il compagno d’affari Bobby Z, che recentemente si era costituito alla Dea in Thailandia, malato come un cane e presto morto per infarto, pare. Tim è costretto ad accettare, lo addestrano nella pericolosa parte da interpretare, la piccola cicatrice di una Z in fronte, le storie raccolte nel relativo fascicolo, i legami più o meno noti. Lo scambio non comporterà vita certa e tranquilla, ma almeno eviterà l’incipiente tragica morte. Tim prova a diventare Bobby Z e inizia una mirabolante violenta avventura, tra deserti e mari, nuovi complicati amori e ingenti ambiti denari, bugie e vendette. Segnalo il crescente rapporto fra Tim e il piccolo Kit, vera favola all’interno della storia di sangue e tradimento. Si tratta di una precisa azzeccata scelta di Winslow: l’interpunto; il continuo alternarsi di scene sentimentali e crudeli, ironiche e drammatiche; la sincronia di eventi con relazioni e figure differenti e la loro evoluzione diacronica. Ovviamente, come spiega l’autore, “il jazz è la colonna sonora del noir”, quindi non solo di questo romanzo: jazz suonato, ascoltato, interpretato, addirittura cantato da alcuni suoi personaggi, alla grande!
Il bel romanzo successivo, California Fire and Life del 1999 (tradotto come “La lingua del fuoco”, edito da Einaudi nel 2010, poi da HarperCollis) sfonda meno e Winslow si prende poi una lunga pausa, non dalla scrittura ma dall’immediata pubblicazione di ciò che scrive, leggendo molto i classici, documentandosi a fondo sulla criminalità organizzata nel mondo del narcotraffico, studiando approfondendo limando: fioccheranno i capolavori, tutti i successivi romanzi! L’inizio della straordinaria trilogia su Art Keller e i cartelli americani è del 2005, si tratta del celeberrimo The Power of the Dog (Einaudi 2009); il magnifico The Winter of Frankie Machine è del 2006 (Einaudi, 2008); la miniserie sul “suo” surf e sulla pattuglia dell’alba, The Dawn Patrol (Einaudi 2010) e The Gentlemen's Hour (Einaudi, 2016), del biennio 2008-2009; la miniserie sui tre giovani trafficanti “buoni” e amanti Ben, Chon e Ophelia del 2010-2012 (Einaudi 2012 e 2011).
Ormai quel che Winslow scrive viene subito tradotto in tante lingue del mondo e spesso conquista una trasposizione cinematografica. Einaudi ripubblica via via tanti romanzi ancora non presentati al pubblico italiano, in ordine cronologico solo l’iniziale pentalogia. I due capolavori restanti della trilogia sul consumo americano di droga che fa ricchi i cartelli criminali messicani (2015 e 2019) sono successi planetari; intanto pubblica almeno cinque nuovi romanzi, non sempre entusiasmanti per tutti, come il tentativo di una nuova serie newyorchese (2014, il secondo nemmeno tradotto in italiano).Winslow si è già conquistato un posto nell’alta letteratura contemporanea. Il fatto è che da tempo lui vorrebbe fare altro nella vita, anzi da qualche anno fa soprattutto altro, di politicamente militante, e ora vorrebbe dedicarsi a tempo pieno a impedire la possibile rielezione di Trump nel 2024. La politica lo realizzerà e magari gli farà cambiare idea in futuro? Possibile… Direi auspicabile, diamogli fiducia (in tutti i campi).
Winslow usaTwitter per contestare e accusare pubblicamente Trump: ha cominciato quando era in carica durante il primo mandato, lo ha fatto in campagna elettorale, continua ora che è si tratta di un ricco potente ex presidente con le dichiarate intenzioni di ripresentarsi tra un paio d’anni. Non è un fatto viscerale e personale: lo scrittore evidenzia le contraddizioni fra parole e atti, fra parole e parole, fra atti e atti; ricostruisce con filmati e documentari i casi più eclatanti di fake news“presidenziali”; ha via via esteso il campo d’azione alle brutte figure politiche di tanti repubblicani candidati o eletti alla Camera, al Senato e nei singoli Stati, sostenendo in parallelo quei democratici che gli sembrano perbene (innanzitutto perché tengono ferma la necessità di far piena luce sull’assalto al Campidoglio di Capitol Hill del 6 gennaio 2021). Ritiene, in sostanza, che “i democratici siano migliori per candidati, idee e visione dell’avvenire, ma non per la capacità di comunicazione”. Così intende dire addio ai romanzi e aiutarli sotto quell’aspetto, a proprie spese e senza accettare alcuna donazione.
Diventare un politico a tempo pieno e a tutto campo è questione personale delicata, tanto più in un sistema bipolare quando si sposa un partito (democratico, nel suo caso) in un sistema che, inevitabilmente, ha limiti aporie guai slealtà bugie contrasti anche fra individui del proprio polo. Rispetto ad aborto e diritti civili, diritto al voto e alla lotta al razzismo, alla denuncia di violenze e sopraffazioni (anche poliziesche), Winslow è stato sempre finora tempestivo e preciso, cerca di concentrarsi per comunicare in modo sintetico il merito delle questioni; del resto, il figlio ha collaborato sia con Obama che con Biden, anche se lui non ne parla e non segue lo stesso ordine del giorno delle dinamiche strettamente di partito. Anche fare politica con costanza e disinteresse è snervante e stancante, vedremo. Innanzitutto bisognerebbe sforzarsi di minimizzare i danni degli inevitabili pregiudizi connaturati al confronto pubblico (una certa criminalità politica è ben presente in tutti i romanzi degli autori di genere crime o noir, anche in quelli di Winslow).
Per intanto, il suo primo riuscito atto della saga “irlandese” #CityOnFire (dedicato a tutte le vittime della pandemia) merita di essere letto e commentato. Narra di una classica guerra fra due organizzazioni criminali. Profuma di classici, un’epopea ambientata negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, che segue le tracce millenarie di Orestea Iliade Eneide Odissea, oltre che delle tragedie greche e dei miti primordiali. Vuole raccontare l’inizio della fine del potere della mafia statunitense e delle stesse gang italo-americane e usa l’ambientazione nella Providence (“Provvidenza”) della sua gioventù. Visto il lavoro della madre di Winslow (morta durante la pandemia, non gli è stato possibile far celebrare nemmeno il funerale) aveva letto molto gli antichi in gioventù, si è dedicato a quei classici in modo sistematico e meticoloso dopo i primi sei-sette romanzi, riuscì a trovarvi ovviamente profonda tragica umanità, poesia arte scienza bellezza. E scattò inevitabilmente un parallelismo con Shakespeare e autori successivi, con Poe e il genere letterario da lui avviato, con la realtà (in parte “immutata”) del crimine contemporaneo: onore e disonore, lealtà e tradimento, vendetta e compassione, amore e lussuria, fato e libero arbitrio.
Ciò vuol dire che i classici greci e latini sono crime o noir? Mah! Ma no, non c’entra proprio. Winslow certo non lo dice, afferma piuttosto di non meritarsi il paragone, spiega giustamente tutt’altro. Ciò vuol dire che l’alta letteratura di ogni epoca in ogni contesto sapiens può avere argomenti e caratteri, qualità e stile che tendono secondo alcuni da oltre un secolo a contrassegnare in particolare un genere letterario specifico. In qualche caso chi viene inserito in quel recinto “di genere” (ambito o ghetto che sia) può essere un grandissimo autore, in qualche caso può scrivere capolavori letterari. Winslow scelse quasi trent’anni fa di praticare quegli argomenti e quei caratteri, con le proprie qualità e il proprio stile (via via affinati), è divenuto ben presto un grandissimo scrittore e ha pubblicato numerosi capolavori. Il genere qui non c’entra proprio. C’entra la capacità di durare del narrato, di coinvolgere generazioni di lettori di ogni ordine e grado, di influenzare altri scrittori, di risultare fertile e creativo, di garantire intrattenimento e senso sociale.
Ora Winslow ha deciso di dimettersi dall’onesto mestiere di scrittore di romanzi. Va detto che scriverà comunque quotidianamente e molto, in forme socialmente leggibili. Va detto che la comunicazione politica può essere altrettanto divertente e affascinante. Va detto che scrivere in una logica (non di genere letterario ma) di partito politico espone a rischi pubblici e comporta, comunque, notevole maestria. È un nuovo mestiere usurante. Consensi e insulti si sprecano, non principalmente legati ai gusti e ai meriti. Inoltre nel mondo politico-istituzionale il termine The End ha un significato diverso che in letteratura. Può finire un romanzo come finisce un mandato o una carriera, certo. Tuttavia, nel romanzo sceglie l’autore tutte le parti in commedia (o tragedia che sia) e i seguiti (in una serie o in un’avventura fino alla morte dei personaggi), con maggiore o minore condizionamento o entusiasmo dei lettori. Nella vita politico-istituzionale gli attori in gioco, individuali e collettivi, sono innumerevoli e hanno ciascuno una propria testa, propri opinioni e comportamenti nel determinare le trame (e i voti). Il peso di eventi e accidenti “esterni” (no fiction) è preponderante, un po’ come nelle vite fra un componimento finito e l’altro dei sapiens scrittori totalizzati dalla fiction.
Winslow ha dichiarato che ha terminato gli ultimi tre romanzi della sua vita. Dispiace ma prendiamone atto, forse così si può intanto ripercorrere la tela della sua opera omnia, esprimere un esaltante giudizio riassuntivo. I suoi venticinque testi resteranno nel tempo: dovrebbero essere 24 romanzi (di cui un paio ancora non in italiano e il paio per completare la trilogia) e una raccolta unitaria di racconti lunghi. L’autore è diventato un classico, in lingua originale e nelle molteplici traduzioni. Non è superfluo sottolineare l’impegno dei bravissimi ed esperti traduttori italiani che si sono avvicendati in questi venticinque anni: soprattutto l’ottimo scrittore Alfredo Colitto (già citato per Città in fiamme), anche il critico e studioso Giuseppe Costigliola e, per qualche intervista e l’ultimo articolo su Tuttolibri, Seba Pezzani (interprete principale dei lavori di Lansdale e di altri autori in lingua inglese).
Winslow non ha timore di essere pensato un autore di genere, crime dice lui, noir traduciamo giustamente noi, uno dei tantissimi crime writers (non criminologo ovviamente) o noiristi che popolano ogni letteratura nazionale, una delle forme di scrittura più popolari al mondo: alcuni bravi, altri meno; alcuni stimati e vendutissimi, altri meno. Dopo un’evoluzione millenaria, o almeno secolare, del genere, il termine più omnicomprensivo negli Stati Uniti (dove si fanno minuziose sofisticate sottoclassificazioni) è crime, in Europa forse noir (da un trentennio non più il termine inglese “mystery” o quello italiano “giallo”, conosciuti anche all’estero). Dalle nostre parti autori coraggiosi a partire dagli anni settanta (i precursori, come Macchiavelli) e negli anni ottanta e novanta (i fondatori, alcuni ancor oggi mirabilmente attivi) hanno innovato il giallo classico con la diramazione “noir”, che è via via divenuta la cifra riassuntiva di ogni romanzo con vittime di violenza: crimini violenti contemporanei; criminali individuali od organizzati; personaggi che li subiscono, personaggi che cercano (investigano in modo più o meno ufficiale e coeso), con maggiore o minore successo; personaggi potenti e oppressi, colpevoli e innocenti, corrotti e puri. Il giallo a enigma con chiara soluzione finale (più o meno giusta) è divenuto una diramazione del noir. Se vi abbeverate di senso critico sulla realtà e sulla società cercatelo nei noir. Winslow e altri esprimono alta letteratura e sono grandi scrittori, a prescindere dal genere.