Durante la sera americana del 19 aprile scorso, circa un mese fa, il grande scrittore americano Don Winslow (New York, 1953) ha risposto alla domanda di un giornalista televisivo sul suo futuro annunciando il ritiro della scrittura letteraria e l’esclusivo impegno nella comunicazione politica. Il giorno dopo lo ha ribadito in un tweet (il suo principale “social”, decine di levigati cinguettii al giorno, sempre molto seguiti, apprezzati e commentati): “I’m retiring. The #CityOnFire trilogy will be the last 3 new books I publish”. Punto. Il primo volume è appena uscito, subito avanti in tutte le classifiche nazionali, City on Fire, citato anche come emblema della trilogia; il secondo dovrebbe essere pubblicato probabilmente a inizio 2023, data ancora incerta, City of Dreams (ambientato a Hollywood, i sogni …); il terzo probabilmente a inizio 2024, chissà, City in Ashes (… in cenere, ambientato a Las Vegas). Tutto scritto. E diritti già opzionati o acquisiti per essere trasferito sullo schermo con imminenti film e serie tv.
La prima uscita era stata originariamente scadenzata per settembre 2021, ma la recrudescenza della pandemia negli Stati Uniti e in Europa aveva reso impossibile garantire l’abbinata fitta serie di presentazioni pubbliche promozionali. Come per altre grandi manifestazioni (i tour di concerti o le tournée teatrali) è stato deciso di spostare in avanti la programmazione e il 26 aprile 2022, in contemporanea nel suo paese e in tanti di quelli europei dove l’autore è adorato (come in Francia e in Italia), le librerie hanno accolto le copie cartacee e sono iniziate le presentazioni: dovrebbero essere in tutto ben oltre trenta gli eventi pubblici, nel giro di qualche mese; stanno avendo impatto e successo di critica e di pubblico; Winslow si collega in streaming anche con il Salone del Libro di Torino; poi arriverà in presenza sul nostro continente. Dopo le prime occasioni nelle maggiori metropoli americane, è apparso un suo tweet di ironica lamentela verso il proprio agente che sta sottoponendo un esausto 68enne al duro sfinimento di spostamenti lunghissimi, di un tourbillon di incontri, interviste e firme, ogni giorno quasi 24h24. Sanno qualcosa della fatica (magari un poco pure gratificante) alcuni grandi e famosi scrittori italiani, del recente passato e del presente!
Intanto abbiamo letto Città in fiamme di Don Winslow (traduzione di Alfredo Colitto), HarperCollins Milano, pag. 398 euro 22 (dopo la fine a pagina 376, si può leggere l’anteprima del prologo e dei primi due capitoli del secondo volume della trilogia, Città di sogni, come detto). Siamo a Providence, nello stato di Rhode Island (il più piccolo) fra l’agosto 1986 e il Natale 1988. L’irlandese Danny Ryan, vicino ai trent’anni, spalle larghe, un metro e ottantatre, capelli castani verso il rossiccio, è seduto accanto alla moglie Terri Murphy (capelli neri, occhi viola) e a due coppie di cari amici sulla spiaggia davanti alla casa del boss italiano Pasquale Pasco Ferri. Vede uscire dall’acqua una magnifica ragazza e capisce che porterà guai. Lei è Pam, sta con Paul Paulie Moretti, il fratello piccolo della gang mangiaspaghetti. L’irreparabile accade quella sera: al party dell’estate, lo scavezzacollo degli irlandesi Liam, fratello dell’amico prediletto e della moglie di Danny, tocca un seno a Pam, gli italiani lo pestano a sangue ma sopravvive e, all’uscita dall’ospedale, la ragazza si mette proprio con lui, addirittura si sposano. È la guerra.
Dopo essere arrivati là da diacroniche ondate migratorie di un secolo prima, dopo aver lottato duramente (in modo prevalentemente legale ma non solo) ed essersi ritagliati parallelamente uno spazio nella libertà americana, da quarant’anni da quelle parti (costa orientale settentrionale degli Usa) irlandesi (di base a Dogtown) e italiani (a Federal Hill) erano amici. Alleati da generazioni, fronte comune (civile e criminale) contro altri, pubblici e privati. Capaci di controllare polizia e commerci. Gli irlandesi avevano i moli, gli italiani il gioco d’azzardo, e si dividevano a metà i sindacati. Gestivano insieme il New England. Uomini d’onore, leali e vendicativi, maschilisti e gerarchici, ognuno a proprio modo.
Tutto distrutto dopo una notte impazzita, una scintilla casuale per un incendio che comunque covava, lentamente e progressivamente, fra bande sia etniche che criminali. Danny, quando il padre era stato scalzato dal comando per propri errori, aveva provato a fare un lavoro duro e pulito, il pescatore di pescespada, inevitabilmente era tornato ad aiutare rispetto ai racket, ai prestiti a strozzo, ai furti. Ora fa il violento esattore. La sera prima avevano rapinato un camion di vestiti Armani nel Massachusetts occidentale. È un marito fedele, e Terri non riesce a rimanere incinta, adesso si trova a dover guerreggiare. Nei mesi e negli anni muoiono a decine, dovrà fare il capo (e il padre). Verso ovest. Il seguito cambia costa (successe a un certo punto alla vita dell’autore).
Come spesso in precedenza, la narrazione è in terza varia al presente, qui vi sono tre parti (la seconda da ottobre 1986 a marzo 1987, lì il titolo è quello dell’intero romanzo e Danny responsabilmente si “trasforma” in lucido stratega, pur con forze inferiori), ognuna con esergo tratti da Omero e Virgilio (Iliade ed Eneide), ognuna con vari capitoli (in tutto trentatre) e ficcanti dialoghi. Lo stato e il capoluogo (quelli in cui Winslow è cresciuto) sono messi a ferro e fuoco (da cui il titolo). Volutamente, niente di esatto storicamente, tutto plausibile e realistico. Danny è certo il principale protagonista, promosso sul campo, ma il romanzo appare polifonico e corale, buoni (leali) e cattivi (egocentrici) stanno su entrambi i lati del conflitto, tanto quanto fra chi assiste dall’esterno o dovrebbe amministrare giustizia. In sottofondo, il male infernale dell’eroina, spacciatori e consumatori. Di continuo l’autore dispensa magnifici sensibili inserti biografici, funzionali alla storia, in particolare su tre donne cruciali: Pam Davies, Cassie Murphy, sorella maggiore di Terri abusata da ragazzina, e Madeleine, la madre di Danny che lo aveva abbandonato da piccolo. La guerra non è mai ordinata, in ogni campo scattano competizioni e gelosie, accanto a rigide cieche fedeltà e al bisogno di insospettabili alleanze. Vino e whisky, inseparabili a distanza. Canzoni italiane e irlandesi d’epoca, separate ma universali, chiunque le canti. Visti tempi e comunità, questa volta non il jazz in sottofondo, bensì Bruce Springsteen, ringraziato cantore dei medesimi luoghi.
Il memorabile esordio letterario di Winslow risale al 1991 e inaugurò la serie dei cinque volumi con protagonista Neal Carey, pubblicati in italiano a partire dal 2016, passando via via a una narrazione dalla terza alla prima persona. Dopo aver studiato storia all’università e aver letto accuratamente tanta narrativa poliziesca, fino ad allora Winslow aveva fatto di tutto ed era sempre in giro: fra l’altro regista teatrale a Oxford (Shakespeare soprattutto), guida di safari fotografici prima in Kenya poi in Cina, investigatore privato in California (poi ha abitato per un ventennio a San Diego), consulente finanziario di studi legali o assicurativi. Di molto si trovano evidenti esplicite tracce nei primi romanzi ambientati fra il 1976 e il 1983: il protagonista Neal Carey all’inizio (metà anni Settanta) ha 23 anni (più o meno nato coetaneo dell’autore) e vorrebbe fare il professore di Inglese. Scuola privata di lusso, insegnante personale per correggere l’accento di strada, Ivy League, università di Letteratura, master, vestiti di alta qualità. Convive con Diane nell’Upper West Side, vota democratico e il giorno dopo avrebbe un esame importante. Sennonché il lavoro lo chiama.
Quello che Neal chiama “papà”, Joe Graham, di mezza età, basso (e con paura di volare), faccia tonda e capelli radi, occhi celesti e sorriso malevolo, un braccio artificiale di gomma e una fissazione per le pulizie, lo chiama al burger joint e gli spiega che debbono andare in treno dal Capo degli Amici di famiglia, a Providence, Rhode Island, New England (l’ambiente dove l’autore era cresciuto e dove inizia la trilogia 2022). È lui e sono loro che da 12 anni gli pagano tutto, non può sottrarsi. Era figlio di padre sconosciuto e madre tossica prostituta, da piccolo criminale borseggiava con talento estro rapidità, Joe aveva salvato il proprio portafoglio (prima volta che si faceva beccare in due anni di carriera) e gli aveva insegnato meglio il mestiere, poi lo aveva inserito nell’agenzia (con succursale a Manhattan), che era capace di risolvere ogni problema dei facoltosi clienti dell’antica ricchissima affidabile banca dei Kitteredge: pugni, favori, bustarelle, investigazioni private, pedinamenti, ricerche, furti. C’è un’emergenza: da tre mesi è scomparsa la stupenda irregolare figlia 17enne di un senatore che vuole candidarsi vice-presidente. Pare sia a Londra, Neal deve trovarla entro i primi di agosto, poi ci sarà il Congresso. Parte e scopre che non gli hanno raccontato bene proprio tutto. Si salva, resta petulante e riluttante, negato per la fisica, amante delle librerie, diventa dottorando in Letteratura inglese del XVIII (prossimo alla tesi su Smollett) e investigatore “risolvi problemi” per ricchi “Amici di Famiglia”.
I successivi romanzi sono ambientati a San Francisco, in Hong Kong e Cina nel 1977 (il secondo, 1992), nelle Terre Alte Solitarie là per il Nevada nell’agosto 1981 (il terzo, 1993); ancora in Nevada e in Texas nel settembre 1982 (il quarto, stupendo ed esilarante, 1994); da Austin e Las Vegas verso la California nell’agosto 1983 (il quinto e ultimo, 1996). Neal Carey si era quasi sistemato con la maestra cowgirl Karen Hawley, capelli neri e occhi azzurri, in un’immensa valle a circa milleottocento metri di quota. Ormai ha quasi 30 anni, dovrebbero sposarsi fra un paio di mesi e sta iniziando l’ultimo semestre del master presso l’università del Nevada, tesi su Tobias Smollett, il fuoriclasse della letteratura inglese del XVIII secolo. Il suo prof potrebbe poi fargli avere un posto di assistente a New York dove sarebbero quindi presto intenzionati a trasferirsi (Karen sta pure suggerendo di fare un figlio). Neal, tuttavia, pensa che la vita sia una sequenza casuale di eventi arbitrari, non (come Karen) un viaggio predestinato, pieno di sfide e scoperte. Sono innamorati. Eppure? Arriva Joe, il padre putativo, gli chiedono di riportare a casa (Palm Desert, vicino a Palm Springs) un vecchietto finito nella città del gioco e del peccato, “il posto più assurdo del mondo”, pensa Neal. Prende la Jeep e parte (rivelandosi in seguito incapace di guidare con il cambio manuale).
Qui la narrazione è ancora in prima al passato, ma non mancano, quando la scena si sposta, anche pagine dei diari di Karen e Hope, un professionale scambio di mail fra la sovrintendente agli indennizzi e due avvocati, qualche registrazione da microfono illegale. Lo stile sembra più sbrigativo, lo scrittore cominciava ad avere altri progetti. Di fatto, è un commiato, molto più breve dei precedenti. Neal Carey riapparirà come tutti gli altri protagonisti principali dei successivi romanzi nella meravigliosa recente raccolta unitaria di dettagliate novelle o romanzi brevi intitolata Broken (2020), dove ritroviamo anche il personaggio “doppio” del primo romanzo di notevole successo, settimo in ordine cronologico visto che il sesto, Isle of Joy (1996) non aveva suscitato particolare interesse, pur davvero ottimo e con un taglio storico (la vicenda si svolge negli ultimi giorni del 1958). Il protagonista di “Ultima notte a Manhattan” (tradotto in italiano da Einaudi solo nel 2021) è un ex agente Cia di 33 anni, dimessosi per fare l’investigatore privato e frequentare stabilmente l’amata magnifica minuta cantante di jazz. Per la vigilia di Natale gli assegnano un paio di incarichi che travolgeranno le loro esistenze: deve verificare il fascicolo di Michel Howard, in lista per il posto di vicepresidente della American Electronics e, soprattutto, gestire le marachelle del probabile futuro Presidente, il senatore democratico Joseph Keneally; il tutto sempre intrecciando mystery, spy-story, hard-boiled, noir e classici (Shakespeare) con amorevoli sentimenti rosa.