CULTURA

I ritratti senza volto di Damnatio figurae

Nella nostra società contemporanea, iper tecnologica ed iper connessa, siamo abituati alla visione quotidiana di volti e ritratti umani, siano reali o impressi in fotografie diffuse attraverso i social network. L’arte del selfie impera ormai da diversi anni.

Nulla di nuovo per il mondo dell’arte, che ha visto il genere del ritratto nascere in senso moderno intorno al Quattrocento del secolo scorso. Se fino ad allora i ritratti erano prerogativa della nobiltà, con l’Umanesimo si diffusero anche tra la nuova borghesia e diventarono uno status symbol. Grande impulso a quest’arte pregna di realismo, fu dato dal mondo fiammingo e da Jan Van Eyck che aprì, appunto, la strada al ritratto realistico.

Cosa capita invece quando i volti vengono celati alla visione? Quando non è più possibile scorgere gli sguardi e i dettagli che rappresentano un volto? Lo racconta la nuova mostra alla Fondazione Alberto Peruzzo di Padova, Damnatio Figurae: Dalla negazione dell’immagine al ritratto.


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Nella città dove Giotto dette forte impulso al ritratto di corte, immortalando signori e committenti negli affreschi trecenteschi della Cappella degli Scrovegni, possiamo varcare la soglia di un’altra cappella (sconsacrata), dell’ex Chiesa Sant’Agnese sede della Fondazione Alberto Peruzzo, per una visione diversa del volto contemporaneo. 

La navata dell’ex chiesa Sant’Agnese è infatti stata allestita con opere di cinque artisti che, in modi diversi, hanno esplorato il tema dell’assenza o del celamento dell’espressione umana, senza arrivare all’iconoclastia: Thorsten Brinkmann, Aron Demetz, Nicola Samorì, Mariano Sardón, Manolo Valdés.

L’esposizione parte in realtà dall’unica opera che in modo permanente è allestita in questi spazi, Senza titolo (1996) di Jannis Kounellis: una sorta di croce laica che si presenta come una trave con un sacco di juta trafitto da un pugnale, alta quattro metri e posizionata nell’area dell’ex altare. Il tutto allude alla crocifissione e alla sofferenza ma senza presentare il corpo del Cristo. Ed è qui che Kounellis attua una poetica del segreto, quando la materia evoca il mistero delle cose sconfinando nella teatralità e l’assenza della figura è potente e tragica.

Da questo concetto nasce l’idea espositiva del curatore e direttore della Fondazione Peruzzo Marco Trevisan, che ha voluto mettere in dialogo le opere dei cinque artisti prima citati in navata, con una selezione di ritratti di importanti artisti della Collezione Peruzzo. Queste opere sono esposte in sacrestia e affrontano il tema dell’immagine in modo più classico. Nella navata, invece, il visitatore è accolto da figure che si ritraggono e si negano, come le sculture di Aron Demetz in legno bruciato o in bronzo lavorato e alterato. Il loro sguardo spesso è nascosto e non facilmente leggibile, al fine di cercare più intensamente l’introspezione e l’interiorità dell’opera. Nicola Samorì prende in prestito l’iconografia barocca per poi annientarla e lacerare così la tela. Thorsten Brinkmann parte dal ritratto borghese usando materiali di recupero, rielaborando l’arte del passato in chiave ironica. L’argentino Mariano Sardón lavora su elaborazioni digitali, legate alla neuroscienza, trasformando il volto in un dato, un segnale e un algoritmo. La figura invece riappare negli spazi dell’ex sacrestia, dove una serie di ritratti sono marcati da un’impostazione classica. Andy Warhol e la sua Reigning Queens (1985) regalano allo spettatore una regalità pop, degna del maestro indiscusso della Pop Art americana, in dialogo con un’altra Elisabetta II, quella realizzata dallo street artist Endless, e con l’immagine dell’artista Warhol, dipinto da Enzo Fiore. Donald Baechler era un pittore e sculture americano della corrente Neoespressionista degli anni Ottanta e in mostra è presente con Kuwana city (1990). Il dipinto rappresenta una figura umana dai colori forti dove il volto e il corpo sono ridotti a simbolo, un’icona infantile e stilizzata che apre ad una riflessione sull’identità. Felice Casorati e Tom Wesselmann presentano al pubblico due figure femminili, dove l’artista statunitense punta sui colori vivaci e forme elementari, mentre Casorati con Donna con scodella (1959) e Nudo nel paesaggio (1954) racconta un tipo di bellezza austera e introspettiva, con colori tenui. 

Manolo Valedés utilizza invece materiali come la tela riciclata e il collage in Ritratto con Fondo Verde e Tracce Beige (2005). Max Ernst in Senza titolo (1940) si esprime con forme giocose e bizzarre, in cui gli elementi onirici sfidano la realtà, ritraendo un essere con un volto a forma di palloncino. L’esposizione prosegue poi con le opere di artisti come Giorgio de Chirico, Julio Larraz, Sandro Chia, Fernando Botero, Zoran Music e Mimmo Paladino che affrontano il tema del ritratto in modo personale e variegato. Il percorso di mostra in sacrestia si completa con l’opera di Maurizio Cattelan Stadium - exibition copy, un calcio balilla di 7 metri per 22 giocatori. Una sorta di palcoscenico teatrale dal forte impianto scenografico, una scena pronta per l’intrattenimento e la critica sociale, un gioco nazional popolare aperto a tutti. Nel contesto dell’esposizione Damnatio Figurae, l’opera di Cattelan completa la riflessione sull’identità iniziata nella navata, offrendo un momento di potenziale riflessione sulla società e i suoi componenti, come infatti è capitato quando l’opera fu realizzata nel 1991. L’artista padovano aveva organizzato un match reale con 11 giocatori italiani del Cesena e la AC fornitore sud, da lui stesso creata, con giocatori senegalesi. Un messaggio di grande pregnanza sociale e politica, per creare una comunità accessibile e antirazzista.

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